Il Pittore Dominicus Carella

a cura di Angelo Sgura

 

Sac. Giuseppe Grassi, da Tapas, anno IV – 1929

Non possiamo affermare con certezza assoluta ove e quando precisamente nacque il pittore Domenico Antonio Carella. Lo si ritiene, comunemente, nato in Martina Franca, ma, in realtà, il suo nome non appare ne’ libri battesimali di questa insigne collegiata; le mie ricerche in proposito, come quelle dell’illustre amico Amilcare Foscarini, conclusero a egual risultato negativo.

Certo è che si sposò in Francavilla Fontana con Vincenza Maria L’Abbate. Ma anche delle sue nozze va corretta la data propostaci da Pietro Palumbo. Secondo il Palumbo si sarebbe sposato il 16 luglio 1757, ed anche io, in altra mia pubblicazione, affermai lo stesso, indotto in errore da una carta volante, che si conserva nell’Archivio Parrocchiale di Francavilla, e che mi fu mostrata. Ma, venuto più tardi in legittimo sospetto dell’autenticità di quella carta, tornai a Francavilla, e rinnovai la ricerca. Rinvenni allora il vero atto di matrimonio del Carella. Eccolo, qual si legge in un registro che novera i matrimoni dal 2 agosto 1744 a tutto il 1763, a pag. 30, retro:

« Die 8aMaii 1746 – Dominicus Antonius Josephi Carella et Vincentia Maria Michaelis L ‘Abbate Matrimonium iter se legittime contraxerunt in facie Ecclesiae per verba de parti mutuo consensu exceprimentia in dicta Collegiata Insigni Ecclesia inter Missarum solemnia modo et forma in S.C.I. factis eosque coniunxit D. Caietanus Arsenio substitutus de ordine et mandato Ill,mi D.Ni Archiep. Prasentibus pro testibus Nicodemo di Quarto Nicola Francischillo ed Angelo Gianfrate>>.

Di qui appare che il Carella non nacque verso il 1738, come vorrebbe il Palumbo perché allora sarebbe passato a nozze nell’età press’a poco di otto anni. Probabilmente, come ne inferì il Foscarini, nacque verso il 1721 al tempo della morte infatti contava <circa 90 anni», come si legge nell’Archivio Parrocchiale di Martina, e più precisamente < 92 anni », com’è notato nell’Archivio Comunale.

I primi lavori del Carella rimontano al 1750. In Martina i germani signori Carmelo e Domenico Fanelli posseggono una tela, Il cieco Belisario, che porta scritto: « Francesco Ribbera – Carella imitavit – 1750».

Sincroni sono sia il Gesù in casa di Pilato, – su cui si legge: « Conversano, 22 giugno 1750 » – sia i due bozzetti in rame L’Assunta e S. Rocco: tutt’e tre, insieme con non pochi altri ritratti, conservati in Francavilla da parenti, si disse, del pittore, ma che io non riuscii a vedere.
Ben osservai invece le tele che sono in quella Parrocchiale, e mentre il De Giorgi e il Foscarini ne noverano sei, io ne contai otto.

La prima, in ordine di tempo, fu quella che m’indusse a ritener nato in Francavilla, anzi che a Martina, il nostro pittore. È la Madonna del Rosario, che una volta dominava l’altare maggiore, e oggi è collocata in una stanzetta tra il coro e la sacrestia. La Vergine, col S. Bambino tra le braccia, presenta la mistica corona a S.. Domenico, che è in ginocchio, e a S. Rosa, mentre schiere d’angeli le volitano tutt’intorno. Vi si legge: <Dom.cus Carella e Francavilla. 1750. E che il pittore abbia sortito i natali in quella città angioina, che della Franca Martina è gemella, ci è confermato dall’architetto Sante Simone.

Parlando de’ lavori di restauro o di rimodernamento fatti eseguire nel Duomo di Conversano dal vescovo Mons. Fabio Palumbo, all’anno 1775 egli dice così: Il pittore Domenico Carelli di Francavilla Fontana eseguì per ducati quindici (!) la pittura dèll’abside centrale dietro l’altare maggiore». La quale pittura aggiungiamo – rappresentava l’incoronazionc della Vergine, e fu preda delle fiamme nell’ incendio che distrusse la storica cattedrale conversanese nel luglio del 1910.

Prova definitiva dovrebbero darci i libri parrocchiali della stessa Francavilla. Ma io li riscontrai diligentemente, e non vi rinvenni il desiderato atto di battesimo, come non lo aveva rinvenuto Pietro Palumbo che cita artisti settecenteschi della sua città natale, ma affermò essere il Carella nato a Martina. Non ancor soddisfatto, ultimamente pregai quel parroco,. don Giuseppe Formosi, a ritentar l’indagine per conto suo, ed egli così mi riscrisse: «ho riscontrato i libri de’ battezzati dal 1705 al 1735, e non ho trovato registrato il battesimo di Domenico Antonio Carella ».

 

Ma torniamo alle tele carelliane di quella chiesa.

Due ve ne stanno su altari: una, sul terzo a destra, rappresenta S. Giovanni con S. Lorenzo,  S. Stefano e S. Francesco, e reca la firma dell’artista con la data 1761; la seconda, di fronte, sul terzo altare a sinistra, rappresenta L‘Addolorata, anch’essa firmata, ma datata il 1769.

 

 

Due grandi tele sono su’ laterali del Coro, dietro l’Altare Maggiore: a destra La conversione di S. Paolo, a sinistra La tradizione delle somme  chiavi a S.Pietro. Per esse il pittore ricevette sessantacinque ducati, mentre per la Madonna del Rosario ne aveva ricevuto cinquantacinque.

 

 

 

Ancora due tele si trovano in fondo al lato destro del tempio, nella cappella speciale dedicata alla Madonna della Fontana, cui si accede anche dal presbiterio. La prima rappresenta il Rinvenimento del quadro della Tutelare; ha la firma e la data del 1777.

Il dipinto che, come su vi notò l’artista, fu eseguito a spese di Tommaso Salerno e de’ suoi figli Giuseppe e Nicola – riproduce la leggenda religiosa dell’antico quadro bizantino, avvenuta il settembre del 1310 nel luogo stesso ove Filippo d’Angiò, principe di Taranto,  avrebbe fatto costruire la cappella primitiva della Madonna della Fontana.

Bel risalto vi ha la figura di mastro Elia Marrese, quegli che, balestrata la freccia contro del cervo, se la vede ritornare contro se stesso. La seconda tela riproduce il miracolo del Rinverdimento degli olivi; porta anch’essa la firma, con la data del 1779.
In fondo al lato sinistro della chiesa, e anche con un secondo accesso del presbiterio, – s’apre il Cappellone del SS. Sacramento; qui troviamo l’ottava tela del Carella, La Cena, così lontana da quel grado di perfezione, che l’artista doveva più tardi raggiungere, trattando l’identico soggetto per la collegiata di Martina Franca.

 


Lavori del Carella si rinvengono a Mesagne, – nella- chiesa annessa al convento dei’ Frati Conventuali, detto di S. Maria di Soleto. È la chiesa che, eretta nel 1425 e restaurata nel 1653, venne ultimamente rifatta e ingrandita, e sempre sotto il titolo dell’Immacolata fu consacrata dall’arcivescovo di Brindisi Mons. Luigi Maria Aguilar, 10 ottobre 1880. Nel suo terzo altare a sinistra c’è la tela di S. Antonio che riceve tra le traccia il Bambino Gesù firmata e datata il 1759. Di fronte, sul terzo altare a destra, c’è S. Francesco d’Assisi, con la data del 1757, e non già del 1767, quale la ri-produssero il De Giorgi e il Profilo.

Quattro altre tele si trovano a Massafra, nella chiesa delle Benedettine: sul primo altare a destra, La Presentazione di Gesù al Tempio, firmata e datata il 1764; sul secondo La Galilea, con egual firma e data; sul terzo la bellissima Deposizione di Gesù dalla croce, che i Francesi volevan portar via a’ princìpii del secolo XIX, e che conserva tuttoggi il sigillo in ceralacca da essi apposto; sul secondo altare a sinistra, Il battesimo di Gesù. Probabilmente è della stessa mano La Madonna col S. Bambino, che troneggia dietro l’altare maggiore, nell’abside.

Nella cattedrale di Castellaneta sono cinque tele. Tre stanno nella cappella del SS. Sacramento: Gesù tra gli Apostoli nel Cenacolo del 1796, Cristo che comunica S.Pietro del 1797, e le Nozze di Canaan del 1801 Le altre due ornano i muri del presbiterio, e sono migliori David che balla dinanzi all’Arca e La restituzione dell’Arca da’ filistei agli Ebrei, del 1802.

Luigi De Simone, dopo aver chiamato il Carella « mediocrissimo e manierissinio solimenesco » aggiunse che «in qualcuno di questi quadri trovi due o tre belle teste, qualche persona bene trattata e panneggiata, ma niun partito tolto dalle masse, da’ colori, dagli effetti di luce, dal paese, da glorie, da interni, ecc. »  Giustamente il De Giorni in quel giudizio del collega De Simone notò «molta severità» e chiamò invece quelle pitture « larghe composizioni, un po’ manierate, ma con una discreta intonazione di Colori ».

In Taranto il Carella dipinse un’Immacolata per la chiesa di S. Pasquale, ultimo altare a sinistra. Nell’angolo inferiore destro è riprodotto lo scudo di casa Cantore, ed è scritto: « Tutatricis Mariae Immaculatae conception Ludovica De Cantore ex Taren-tinorum patriciis F.F. »; in quello sinistro: «Dom° Carella 1794 ».

Affrescò pure alcune sale della villa di Monsignor Capecelatro su la baia di S. Lucia, del cui incanto scrissero tanti viaggiatori e, ultimamente, Vito Forleo, il valoroso bibliotecario dell’Acclaviana di Taranto. Il nome del pittore e quello di suo figlio Francesco, che lavorava con lui, furono ricordati in una lapide oggi trasferita nell’Ospedale di Marina:

Martina Franca, la città che D. A. Carella predilesse al punto da chiamarsi e farsi chiamare Martinese, è la più ricca di lavori carelliani.

Non v’è cultore appassionato, o anche semplice dilettante di arte regionale, che non conosca gli affreschi del Palazzo. Ducale di Martina, o che, per lo meno, non ne abbia inteso parlare.

È risaputo che su le rovine d’un Castello qui eretto, a Porta S.Stefano, dal principe Raimondello del Balzo Orsini nel 1388, il duca Petracone V Caracciolo fece sorgere nel 1688 un superbo Palazzo Ducale, che fu e rimane sempre uno de’ più maestosi e de’ più imponenti di tutta la Puglia, e che dal dicembre 1928 è divenuto il Palazzo di Città.

A decorarne le sale ampie e luminose, Francesco III Caracciolo, marito di Stefania Pignatelli e successo al padre Petracone VI nel ducato di Martina il 1771, invitò Domenico Antonio Carella, la cui fama varcava ormai i confini della provincia. Il Carella vi si accinse con ardore, e ultimò gli immani lavori nel 1776.

Nel piano nobile, le due migliori sale del quartiere di mezzogiorno egli decorò alla pompeiana, con figurine rosse su fondo bianco o bianche su fondo nero. « Questi freschi -riconobbe il De Giorgi – sono toccati con molto gusto ed eleganza, e con una certa lindura che ci rivela la mano d’un artista geniale. »

Nella vastissima galleria sporgente a ovest, su Piazza del Popolo, riprodusse costumi del tempo e, se dobbiamo credere alla tradizione locale, personaggi realmente esistiti. Perciò, il Prof. Pietro Marti, dopo aver riconosciuto che il Carella <<fu fecondo nell’ inventiva, ebbe largo e sicuro il disegno, ma mancò di vigore nella tavolozza, difetto, del resto, comune anche a’ grandissimi della sua epoca», aggiunse: « uno de’ pregi caratteristici di questo nobile pittore fu quello di ritrarre carattere e il costume del suo secolo.

Sul muro di destra vi è una Scuola di ballo in aperta campagna; su quello di sinistra La scuola di canto, La Poesia estemporanea, Scene d’amore; su la volta Le Arti belle: larghi affreschi, tutti intramezzati da pomposi fregi e, da medaglioni vari.

Nella sala attigua alla galleria, vi è una scena omerica sul muro di destra, Anchise salvato da Enea; una scena mitologica su quello di sinistra, Il ratto di Proserpina; sul muro d’oriente Atalanta che raccoglie i pomi di  oro gittati da Ippomene in corsa, e una scena campestre; su quello d’occidente La corona al vincitore del drago; finalmente un brutto Carro del sole, che s’avanza tra nuvole di fumo color rossastro, ne copre la volta.

Nell’altra sala che segue, sono scene di storia biblica. Su’ muri Tobia sanato dalla cecità, Mosè salvato dalle acque, Giuditta che mostra il capo reciso di Oloferne, ecc. e, su la volta, La cacciata dal Cielo.

L’esame di tali dipinture faceva così conchiudere al De Giorgi: «Il disegno di questo artista non è sempre molto corretto, ma vi è però del genio nelle sue composizioni. Sulla sua tavolozza egli faceva un grande sciupio di terra d’ambra, ma il chiaroscuro lo toccava molto abilmente ».

Ma particolarmente degna di rilievo pare una sala dell’appartamento interno al cortile, cui si accede per una scalinata riservata. Tutte e quattro pareti han quadretti di scene famigliari. Tra queste, una, dipinta in bistro, rappresenta una signora seduta, con su le gambe e stretta al seno una bimba dalla fronte fasciata con una benda; una fanciulla con un pupattolo tra le mani scherza d’accanto, e assistono altre donne. In alto, a’ quattro angoli della volta, son dipinti i medaglioni de’ quattro Poeti massimi d’Italia. Nel centro della volta, dentro una riquadratura, è dipinta una rappresentazione non decifrabile, e, tutto intorno, il cielo della volta è seminato di farfalle, uccelli, grilli, nottole, draghi volanti policromi. Ne’ soprafregi vi sono sirene alate, che recano nelle mani profumieri fumanti. Su. le pareti son dipinti nastri svolazzanti tra lunghe volute di ramoscelli, da’ quali pendono medaglioni di Santi, e tra gli altri quello di S.Martino. Altri uccelletti svolazzano su’ ramoscelli, e fra i tirsi incrociati sostenenti drappeggiature a festoni si vedono conigli, arpie, altri animali fantastici. Medaglioni di soggetto mitologico pendono da’ tirsi satiri che giocano con animali; un Ercole che solleva in alto un cervo; una pastorella, elegantemente vestita, con cappello a larghe falde, che guida una pecoruzza. Nel decorar questa camera, che probabilmente fu il santuario in cui vissero le famiglie de’ Duchi, l’artista si sbizzarrì a suo beneplacito per le figure, e per colori preferì il rosso e il verde su fondi giallognoli, opalini e perlacei.

Altri affreschi sono in varie sale dell’ammezzato e anche in alcune stanze a pianterreno.

Troviamo affreschi del Carella anche in edifici privari di Martina.

Il palazzo in via Mazzini, che appartenne a una delle più belle e distinte dame del tempo, a D. Romana Montemurro, e che nel 1846 fu comprato dal medico e botanico Martino Marinosci, ha le pareti della galleria affrescate in istile pompeiano e con decorazioni barocche simili a quelle del Palazzo Ducale, Il De Giorgi vi notò che « l’impasto delle tinte è un po’ grossolano e il disegno più libero, ma è trattato con molto gusto». Un ignoto restauratore che tentò ravvivarne i fondi troppo oscuri, li deturpò con brutti colori.

Nel palazzo Fanelli, in via Cavour, sono affrescate due sale con gentilissimi motivi ornamentali.

Il palazzo Motolese, in via Roma, ha affrescata la cappella e la sala maggiore.

La galleria del palazzo, già Recupero, in via Grillo, ha Le quattro Parti delmondo, con esempi della flora e della fauna rispettiva ne’ fregi e ne’ sottofregi.

E di soggetti sacri il Carella disseminò le chiese di Martina. In S. Domenico c’è la tela della Madonna del Rosario, firmata e datata il 1776. In S. Maria della Purità c’è la Madonna della Salute tra S. Tommaso Villanova e S. Nicola, del 1777. In S.Francesco di Paola c’è a tela di S.Antonio da Padova, ormai sciupatissima, ma che lascia scorgere ancor chiara la firma e la data del 1778. Nella cappella suburbana di S.Michele sono due affreschi, La Madonna della luce e S. Michele Arcangelo, e due altri sono nella vicina cappella di S.Maria di Loreto, rappresentanti L’entrata di Gesù a Gerusalemme e La lavanda de’  piedi.

Nella chiesa parrocchiale di S.Martino, il cappellone del Santissimo ha i ventagli del cupolino affrescati con I quattro Evangelisti; vi si legge a lettere cubitali « Dominicus Carella pinxit 1785», e, come scrissi altrove, (2) sono tra i più be’ lavori carelliani, ma furono mal restaurati nel 1844, e oggi son minati dall’umidità. La chiesuola della Masseria Cappella, proprietà del signor Domenico Fanelli, ha una tela della Deposizione di Gesù con firma e data del 1801.

Ma – a voler tacere d’ innumeri altre tele in possesso di privati, e su l’autenticità delle quali non sempre si può giurare – due sono i quadri in cui il Carella mostrò a qual punto di perfezione fosse giunta l’arte sua dopo mezzo secolo e più di attività fecondissima.

Il primo, posseduto da’ su dètti signori Fanelli, fu dipinto nel 1803, e rappresenta Gesù  invitante S..Tommaso a mettergli la mano sul costato. Vive e dolci a un tempo ne sono le tinte; ben espresse la tenerezza del volto del Salvatore e la timida titubanza dell’Apostolo incredulo.

L’altra tela è la Cena, che domina l’altare del Sacramento nell’or ricordata Parrocchia. Le tinte calde e ben intonate, l’esattezza del disegno, gli svolazzi delle pieghe, gli scorci degli angeli nella parte superiore, il contrasto tra la luce che si diffonde su Gesù e su’ Discepoli, e l’ombra che avvolge l’Iscariota traditore, c’ inducono a ritener questa Cena come il lavoro in cui il Carella superò se stesso, dandoci un vero capolavoro dell’arte settecentesca. « Tela – sentenziò il Foscarini – ben concepita e ben eseguita per raggruppamento di personaggi, giustezza di proporzioni, freschezza di colorito ». Porta scritto «Domenicus Carella senior fecit, 1804», e il perché di quel « senior » spiegheremo più innanzi.

La tradizione locale vuole che insieme con la Cena c’era un’altra tela, ben degna di starle accanto, ma che i Francesi la portaron via dopo i torbidi del 1799.

Domenico Antonio Carella morì in Martina il 23 settembre del 1813, come risulta sia da’ registri della Parrocchia, sia da quelli del Comune; oltre il nome del padre, Giuseppe, questi ultimi ci fanno conoscere anche il nome della madre, Laura Agrusta.

La moglie, Vincenza, era premorta il 23 gennaio 1807, all’età di 8o anni.

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