Libri| Ugento Sacra - Il Delfino e la Mezzaluna - Fondazione Terra D'Otranto

Libri| Ugento Sacra

Luciano Antonazzo, Ugento Sacra. Ovvero antiche chiese – ex conventi e monasteri – edifici ecclesiastici e monumenti sacri della città di Ugento e della sua frazione Gemini, cm 16,5×23,5, pagine 608, di cui 61 a colori, 159 in bianco e nero, ISBN: 978-88-8431-790-2. Grenzi editore 2020
… frutto di un generoso e minuzioso impegno di ricerca, portato avanti con competenza e passione dal carissimo ed esimio concittadino, Luciano Antonazzo il quale, tra i tanti studi condotti negli anni, ha inteso mettere a disposizione dei lettori un’imponente raccolta di informazioni storiche sulle numerosissime testimonianze storico – artistiche – architettoniche rappresentate dalle chiese insistenti sul territorio, unitamente ai soppressi monasteri e conventi, nonché degli edifici e monumenti ecclesiastici…
… Come confermato anche dall’autore, in questi ultimi anni, significativi interventi di restauro hanno contribuito non solo ad acquisire ulteriori ed importanti elementi conoscitivi, ma a riscoprire antiche tradizioni popolari utilizzate, altresì, per rafforzare la competitività della nostra destinazione turistica nella sua componente esperienziale… (dall’introduzione del Sindaco di Ugento Massimo Lecci)
dalla prefazione:

La fondazione di Ugento, l’antica Ozan dei Messapi, risale secondo gli studiosi, attorno al VII secolo a.C. La città fu un fiorente centro di commercio grazie al suo porto ed in epoca romana ebbe il privilegio di coniare moneta propria. Purtroppo, la città, dopo gli splendori dell’epoca più antica, andò decadendo e fin dal primo Medioevo, oltre a gravi calamità, come le invasioni barbariche e le epidemie di peste che ne decimavano la popolazione, fu soggetta a continue incursioni e razzie da parte di pirati ottomani tanto che, nei primi anni dell’XI secolo, Bisanzio, sotto il cui dominio si trovava allora la città, decise di realizzare una cinta muraria a difesa e a protezione della popolazione.

La sua lunghezza superava di poco il chilometro[1], e racchiudeva la parte alta dell’agglomerato urbano. All’interno della nuova cinta muraria furono costruiti il castello e la cattedrale e furono eretti, tra il XV ed il XVI secolo, il convento dei frati Minori Osservanti ed il Monastero delle Benedettine.

 

Nonostante tutte le misure adottate però, la città fu devastata e, si dice, quasi distrutta dai turchi, la notte del 4 agosto del 1537. Quel tragico giorno, col saccheggio di tutte le chiese e soprattutto con l’incendio dell’episcopio, andò persa anche ogni memoria storica dei tempi più antichi.

La città perse la sua identità e quando lentamente cominciò a ripopolarsi con la confluenza di genti delle terre e dei casali vicini, ebbe inizio una nuova storia. Ma, anche di questa, almeno fino al XIX secolo, abbiamo poche testimonianze e la responsabilità in questo caso è da addebitarsi all’incuria dei nostri antenati che non hanno saputo custodire i documenti delle nostre vicende storiche.

Per quel che riguarda specificamente i documenti ecclesiastici, se quelli anteriori al 1537 erano andati distrutti nel saccheggio operato dai turchi, gran parte dei documenti posteriori è andata invece persa sotto l’episcopato di mons. Lazzaro Terrer (1705-09). In quel periodo infatti l’archivio era stato trasportato

“in una camera di basso nel cortile d’esso vescovato, la quale essendosi ritrovata umida, per detta umidità ritornò offesa la maggior parte delle scritture e processi; e di poi portate in una camera sopra al palazzo, per esser che si ritrovava senza finestre, lo vento ne trasportò in molta quantità”[2].

Questa testimonianza, assieme ad altre[3], offre la spiegazione della povertà documentaria dell’Archivio Storico Diocesano di Ugento, fatto di cui ebbero a dolersi diversi vescovi, e oggi se ne dolgono studiosi e ricercatori.

Non si è così stati in grado finora di conoscere compiutamente, e realmente, la storia non solo delle nostre chiese più antiche, ma neanche dell’attuale cattedrale eretta nella prima metà del XVIII secolo. Per colmare tale lacuna abbiamo cercato, tra tutti i documenti di diversa natura pervenutici, quei riferimenti agli edifici di culto che, confrontati e messi assieme, potevano darci un quadro, se non completo, almeno abbastanza chiaramente delineato delle loro vicende.

Punto di partenza per la nostra ricerca sono state le relazioni per le visite ad limina dei nostri vescovi, disponibili a partire dal 1600[4].  In quelle però sono contenute solo scarne notizie.

Qualche notizia in più era certamente contenuta nelle relazioni delle Visite Pastorali, ma disponiamo integralmente solo di quelle effettuate dal XIX secolo in poi; per il periodo precedente ci è pervenuto solo un ponderoso resoconto sullo stato della diocesi nel 1711 (nel quale però mancano del tutto cenni alla nostra città e alle sue chiese),  uno stralcio della vista effettuata alla chiesa di S. Rocco (e dell’Assunta) da mons. Minturno nel 1559, e alcune carte  riguardanti quella effettuata nel 1628 da don Antonio de Notaris, vicario di mons. Ludovico Ximenez, da noi rinvenute ed in parte edite.

In dette carte, accorpate ad un fascicoletto con sulla copertina l’intestazione “Inventario dei beni del R.mo Capitolo ut intus- de anno 1628[5], sono descritte alcune delle chiese extramoenia e suburbane della città incontrate in successione lungo il percorso della visita, nonché quella di Pompignano e della futura parrocchiale di Gemini. Nonostante l’incompletezza il documento è preziosissimo in quanto è il più antico a fornirci notizie di alcune delle nostre chiese, soprattutto di quelle non più esistenti e delle quali non si conosceva assolutamente nulla. Ne faremo pertanto ampio riferimento, riportandone pressocchè integralmente il testo.

Di grande utilità sono stati i protocolli notarili conservati nell’Archivio di Stato di Lecce (ASLe): i documenti ivi rinvenuti sono stati infatti fondamentali per un’effettiva ricostruzione delle vicende dei luoghi sacri della nostra città e di quelli appena fuori l’abitato. Preziosa è stata infine la cronaca sui generis di don Stefano Palese nei registri parrocchiali[6]

Nella prima parte di questo volume, dopo un accenno all’origine della diocesi e ai diritti feudali del vescovo, si tratterà delle vicende delle chiese e degli edifici ecclesiastici ubicati nell’antico centro storico, a cominciare dal palazzo vescovile e a seguire di quelle della cattedrale e dell’erezione del seminario. Si esporranno quindi le vicende attinenti all’ex convento dei Francescani Minori e all’ex monastero delle Benedettine; di entrambi (e delle rispettive chiese) sono esposte estesamente anche le traversie che li hanno riguardati nel periodo successivo alla loro soppressione nel XIX secolo. Da ultimo si tratterà della chiesa della Madonna Assunta (e di S. Biagio) e della sua confraternita.

Nella seconda parte si parlerà delle antiche chiese e cappelle erette lungo il percorso della via Sallentina[7] (o nei suoi pressi). Tale strada attraversava (e attraversa) il borgo di Ugento per innestarsi alla vecchia via per Gemini e proseguire, attraverso il feudo di Pompignano passando per la chiesa di S. Maria della Natività, fino a Vereto, per giungere infine al Capo di Leuca, meta per secoli di una moltitudine di pellegrini diretti al Santuario della Madonna de finibus terrae. Nel solo tratto dell’antica via attraversante il territorio della nostra città, lungo circa due chilometri, si contavano almeno dodici luoghi di culto; sette di quelle antiche chiese esistono tuttora, ma della loro storia e soprattutto di quelle non più esistenti, avevamo fin qui solo qualche sporadica notizia. Gli atti della visita acclusi al citato documento del 1628 ci permettono ora di fissare dei punti fermi che sgombrano il campo da ipotesi e congetture fin qui avanzate.

Infine, nella terza parte diremo dell’antica chiesa di Pompignano, nel feudo omonimo, e degli antichi luoghi di culto e monumenti ecclesiastici esistenti nel feudo di Gemini…

 

[1] Quella delle antiche mura messapiche era di circa 4.900 metri

[2] ARCHIVIO STORICO DIOCESANO di UGENTO (ASDU), Benefici- Ugento/ 18 – (Beneficio dell’Assunzione della B.M.V. e di S. Margherita – 1672, cc.30v, 32r., 34r).

[3] C. DE GIORGI, La Provincia di Lecce – bozzetti di viaggio, vol. I, p. 202. L’A.  riferisce che il vescovo mons. Angelico de Mestria (1828-1836) permise la vendita di “tutte le carte inservibili, fra le quali vi erano parecchi documenti assai preziosi, accumulati nei secoli precedenti; e chi eseguì gli ordini ne abusò in modo indegnissimo”. Le carte sarebbero state vendute ad un artigiano di Matino che le utilizzò per confezionare fuochi pirotecnici.

Mons. Spinelli (1713-18) lamentò invece che molti documenti erano stati distrutti dolosamente dagli stessi ecclesiatici (cfr. S. PALESE, Le relazioni per le visite ad limina dei vescovi ugentini del Seicento e Settecento, in “La Zagaglia”, 1974, nn. 64-66, pp. 37-48). 

[4]Fino a poco fa erano disponibili a partire da quella del 1620, mentre ora si dispone anche di quelle che vanno dal 1600 al 1617, grazie all’interessamento di padre Alfredo di Landa del Pontificio Istituto delle Missioni Estere, che me ne ha procurato copia dall’Archivio Apostolico Vaticano (ex Archivio Segreto Vaticano).

[5] ASDU, Capitolo –documenti (Cap. docc.) 7/41. Sul verso dell’ultima carta è annotato: “Inventario fatto nel 1628 dè stabili del R.mo Capitolo, ed atti della visita delle cappelle della città, e Gemine. Nel qual inventario sono annotati li stabili della Calandria e delle cinque parti”.  La prima è contrassegnata col numero 2 e l’ultima col numero 30. La prima delle carte accorpate successivamente (come si desume dalla diversa grafia e numerazione) e attinenti la visita è la 11v.

[6] Don Stefano Palese, come arciprete della cattedrale, compilò i registri parrocchiali dal 31 agosto 1729 al 12 maggio 1754. Non si limitò alla semplice registrazione delle nascite, dei matrimoni e delle morti, ma, oltre a riportare diversi “testamenta animae”, appose delle annotazioni dalle quali abbiamo tratto notizie importanti.

[7]L’antica via Sallentina era una strada paralitoranea che congiungeva Taranto ad Otranto, attraverso il capo di Leuca. Il suo percorso, che per ampi tratti coincideva con antiche vie di comunicazione messapiche, è tracciato nella Tavola Peutingeriana, copia del XIII secolo di una carta della viabilità romana in epoca imperiale.

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