Francavilla Fontana, città mariana per vocazione. Gli Imperiali e la chiesa della Madonna delle Grazie

1. Chiesa Madonna delle Grazie (XVII secolo) (Foto di Antimo Altavilla)

 

di Mirko Belfiore

Francavilla Fontana, città mariana per vocazione, contava ben nove luoghi di culto dedicati alla Vergine: chiese, complessi conventuali, santuari o piccole cappelle rurali, sparse fra il centro abitato e l’agro circostante. La constatazione di così numerosi siti religiosi dedicati a questa forma di devozione non deve risultare eccessivo, se si vanno a rintracciare tutte le chiavi di lettura di un contesto storico e antropologico così eterogeneo.

Il punto di partenza è sicuramente rappresentato dal mito fondativo, radicatosi fin dai primi anni del XIV secolo. Esso si basa su una tradizione che affonda le sue origini nel “miracoloso” rinvenimento di un’icona bizantina raffigurante la Vergine Odighítria (colei che conduce) e che sempre secondo la tradizione venne ritrovata in una chiesa diruta, durante una battuta di caccia a cui prese parte Filippo I d’Angiò principe di Taranto (14 settembre 1310).

Il culto di questa specifica iconografia cristiana ebbe molta fortuna in Puglia fin dai tempi della dominazione bizantina e in particolar modo fra la Valle d’Itria e il Salento. Questa affermazione è suffragata dalle molte analogie che la leggenda francavillese possiede con altri miti fondativi dell’area (es. Madonna della Scala di Massafra e la Vergine di Cerrate) ma deve essere comunque letta insieme a quella strategia di ripopolamento con fini giurisdizionali, di difesa e fiscali, voluta dalla dinastia angioina e volta a circoscrivere in aree più logisticamente accessibili, tutte quelle comunità “disperse” nei casali disseminati lungo l’Ager Uritanus.

Un disegno feudale ben orchestrato che venne realizzato tramite l’azione congiunta di due manovre politiche: da una parte, creando una narrazione leggendaria “in serie” che potesse fare da richiamo e spingere le popolazioni interessate a spostarsi verso il nuovo centro, dall’altra garantendo alle stesse una sequela di esenzioni in materia fiscale con l’aggiunta di concessioni e privilegi, da qui il toponimo “Franca-Villa”.

La sintesi architettonica di tutto questo processo è sicuramente da ricollegare nelle linee e nei volumi della Collegiata del Santissimo Rosario (modificata in quelle che erano le forme tardomedievali con gli stilemi baroccheggianti allora in voga, perché ricostruita dopo il terremoto del 1743), dove ancora oggi si conserva la succitata icona bizantina che, seppur controversa dal punto di vista storico-artistico, rimane sicuramente l’emblema principe della profonda devozione mariana del popolo francavillese e di quel lungo processo insediativo poc’anzi accennato.

Da non dimenticare l’apporto e il ruolo che ebbero gli ordini mendicanti nella costruzione di alcune strutture ancora oggi riscontrabili nel tessuto urbano, come i Frati francescani e i Padri carmelitani. Essi ubicarono le loro rispettive “case” fuori le mura cinquecentesche e fondarono con l’apporto feudale e il sostegno della popolazione due importanti complessi conventuali: Santa Maria del Carmine e Maria Santissima della Croce.

A tutto ciò, infine, dobbiamo aggiungere come fosse pratica diffusa invocare l’intercessione della Madre di Dio contro ogni tipo di calamità. Anche in questo caso non mancano gli esempi nelle comunità circostanti, una fra tutte Taranto, dove la Vergine venne eletta a patrona della città dopo i terremoti del 1710 e del 1743.

A Francavilla, la comunità innalzò piccoli siti devozionali come manifestazione religiosa e segno di fede, realizzati o sul luogo dell’accadimento stesso o in aree extramoenia che poi finirono per essere inglobate nel centro abitato in espansione: la chiesa di Santa Maria dei Grani, posta sulla strada per Villa Castelli, la chiesetta della Madonna degli Ulivi, sita nell’antico quartiere di Casalvetere e la piccola cappella della Madonna della Neve, incastonata nel centro storico. A conclusione di questo breve excursus trovo interessante menzionare un edificio che, oltre a sottolineare il rapporto fra la famiglia feudale degli Imperiali e il culto della Vergine, rappresenta un unicum architettonico poco approfondito fra quelli presenti: la chiesa della Madonna delle Grazie.

2. Madonna della Fontana (Icona bizantina, XIV secolo, affresco, Francavilla Fontana, chiesa Matrice).

 

Il suo nome è legato a uno dei tanti eventi “miracolosi” che costellano la storia dell’abitato francavillese e che trova come protagonista un membro di quella dinastia feudale di origine genovese che per più di due secoli governò la città e l’area circostante: Aurelia Imperiali.

Nacque nel 1646 dal matrimonio fra Brigida Grimaldi e Michele II, primo principe di Francavilla e quarto marchese di Oria, e venne data in sposa a solo 16 anni (1662) all’ottavo duca di Martina Franca, Petraccone V Caracciolo, esponente di una delle più importanti dinastie nobiliari del Meridione.

Quest’unione matrimoniale presenta i classici connotati di un vero e proprio disegno dinastico, volto a stringere legami non solo di sangue ma anche di borsa con le famiglie più prestigiose del Vicereame napoletano. Parte di quella cospicua componente genovese radicatasi nel Mezzogiorno d’Italia, il casato degli Imperiali seppe ritagliarsi un ruolo di forza in un dei mercati fra i più prolifici del Sistema Imperiale spagnolo, anche legando i propri interessi a dinastie potenti e influenti come i Caracciolo, che potevano favorire un più rapido inserimento nel substrato sociale regnicolo.

Gli stessi Caracciolo avevano dignità di nobiltà fra i Sedili di Napoli (Seggio di Capuana), organo amministrativo a cui anche la famiglia Imperiali assurse autonomamente il 4 gennaio del 1743. Il raggiungimento di questo traguardo sociale decretò il compimento di un altro disegno di integrazione che li vide protagonisti nel Sud Italia fin dalla seconda metà del XVI secolo, evento quest’ultimo, suggellato dal trasferimento dei principi Michele IV ed Eleonora Borghese nella capitale partenopea. Al contempo non dimentichiamo che queste nozze portarono una boccata di ossigeno agli stessi Duchi di Martina Franca, i quali ricevettero in dote una cospicua somma (60.000 ducati), reimpiegata in buona parte per coprire i numerosi debiti contratti con l’acquisto del feudo di Mottola.

A differenza delle altre leggende cittadine, che in maniera diffusa vanno a comporre la genesi di alcuni degli eventi e degli edifici più rilevanti di Francavilla, la narrazione che vede protagonista la principessina Aurelia rimane una delle vulgate fra le più enigmatiche.

Poco dopo aver lasciato la città, la carrozza che conduceva lei e il suo seguito venne ostacolata lungo il suo percorso da un terreno paludoso particolarmente insidioso; Ed è proprio in questo frangente che la leggenda si fonde con il misticismo, perché solo grazie all’intercessione della Vergine Maria, il gruppo di viaggiatori poté scampare da morte certa visto il gravoso pericolo accorso. Che verità e mito vadano a confondersi con la visione fortemente cristiana della quotidianità dell’epoca, questo non deve sorprenderci, visto che molti sono quegli elementi che possono far presupporre come questa piccola “epopea” possa essere stata creata ad hoc come possibile tentativo di “santificazione” di un’area ben precisa. Il sito dell’accadimento miracoloso si ricollega indubbiamente al luogo dove oggi sorge l’edificio, posto lungo una delle vie di comunicazione che portano all’insediamento di Ceglie Messapica (Viale delle Grazie) e a meno di un chilometro da una delle porte di accesso delle mura settecentesche (Porta Cappuccini o Porta Nuova), il tutto inserito lungo la direttrice che conduce a Martina Franca.

Per quanto riguarda il contesto temporale, grazie a una serie di disegni conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli e di probabile mano dello scultore francavillese Carlo Francesco Centonze, possiamo inserire il tutto in un lasso di tempo compreso fra la prima metà e la seconda metà del XVII secolo, nella fattispecie tra il 1649 e il 1662. Ciò comunque non dissipa i dubbi sulle suddette tempistiche, visto che tra la possibile fase costruttiva e la narrazione stessa i tempi non coincidono, dal momento che alla prima data rilevata (1649) Aurelia non aveva che solo 3 anni.

Bisogna aggiungere poi che dall’analisi dei suddetti prospetti, i dubbi che essi non siano dei veri e propri progetti ma dei rilievi di qualcosa di già esistente, aumentano inevitabilmente gli interrogativi in materia. Ragionando in maniera del tutto ipotetica, possiamo provare a dire che o il mito si sia sviluppato successivamente all’edificazione della struttura o che lo stesso nasca e si perda fra i meandri della tradizione cittadina come parte di quel gruppo di racconti difficilmente verificabili.

Se invece vogliamo rintracciare elementi a sostegno della veridicità della narrazione possiamo constatare alcuni dati fattuali. In primis, le croniche difficoltà che i viaggi dell’epoca erano soliti avere, il fatto che la stessa Aurelia si recò frequentemente a Martina Franca o viceversa a Francavilla in visita ai suoi familiari e infine, che l’area in cui l’edificio si posiziona presenta tutte le caratteristiche morfologiche dei terreni argillosi, condizione quest’ultima che viene avvalorata non solo dall’idrografia dell’agro francavillese, particolarmente ricca di falde acquifere, ma anche dalla presenza del Canale Reale, posto a pochi km dal luogo preso in esame e che all’epoca contava su di una portata sicuramente più consistente di quella attuale.

Tutto questo discorso storico-dinastico, seppure molto interessante, non può distogliere dal forte fascino che questo piccolo gioiello architettonico alimenta, se valutiamo anche il contesto feudale e artistico in cui esso si generò. A sostegno della commissione artistica voluta da Casa Imperiali, possiamo evidenziare di come il Centonze, scultore e progettista molto attivo in Terra d’Otranto, lo si possa ricollegare anche alle famose vedute a “volo d’uccello” realizzate nel 1643, sempre su commissione di Michele II, e che ritraggono le Terre di Francavilla, Oria e Casalnuovo, documentazione quest’ultima che conferma ulteriormente l’attività dell’artista presso la corte feudale.

Ciò che stupisce più di tutti è sicuramente la struttura, un’inedita pianta ottagonale sviluppata su due livelli, su cui poggia l’elegante cupola, chiusa in alto da un sobrio lanternino cieco. L’ampio tamburo si posiziona su di un basamento leggermente aggettante, da cui si dipana un piccolo ballatoio perimetrato da una ringhiera in metallo. Due eleganti scalinate poste sul lato sud mettono in collegamento l’edificio con il piano strada. A questo livello si aprono le quattro aperture con arcate a tutto sesto che in maniera simmetrica si raccordano con la serie di portali posti al primo piano, racchiusi fra eleganti cornici quadrangolari con motivi alla greca. A rendere il complesso meno compatto contribuiscono sia le quattro nicchie contenenti statue di santi che le quattro monofore strombate, decorazioni che con la loro semplicità regalano armoniosità al prospetto.

Nella ricostruzione della genesi costruttiva del plesso bisogna tenere a mente di come il progettista o i progettisti, tennero sicuramente in considerazione l’opera di Sebastiano Serlio: “I Sette libri dell’architettura” (XV secolo). Questo trattato di architettura ebbe molta risonanza all’epoca e grazia alla sua ampia tiratura a stampa, ebbe la capacità di diffondere con uno stile pratico e facilmente assimilabile oltre che gli schemi della tradizione classica anche gli elementi di novità portati dalla moderna architettura quattro-cinquecentesca, risultando molto utile nel reperire tipi di strutture non molto diffuse in determinate regioni. Seppur interessante per la comprensione dei motivi che portarono alla costruzione di questo edificio, bisogna sicuramente ridimensionare l’ipotesi dello studioso Giorgio Martucci, il quale ipotizza l’utilizzo di questa struttura come mausoleo dove raccogliere le spoglie dei defunti di Casa Imperiali.

Ciò non può trovare riscontro, visto che le fonti d’archivio attestano con certezza di come l’antica chiesa dei Padri francescani conventuali (poi intitolata a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) ospitasse la cappella di Sant’Antonio, oggi non più identificabile ma che durante il governo feudale, accolse alcune importanti figure come: Michele II (morto nel 1664), Andrea I (1678), Michele III (1738) con sua moglie Irene Delfina Simiana, e Michele IV (1782).

A ciò dobbiamo aggiungere di come altri luoghi situati lontani dai feudi atavici, divennero l’ultima dimora di altri componenti: Andrea II (1734, Santuario dei Padri agostiniani a Pianezza, Torino), Davide I (1575, Abbazia di San Benigno, Genova, oggi scomparsa) e i Cardinali Lorenzo (1673), Giuseppe Renato (1737) (Chiesa di Sant’Agostino, Roma) e Cosimo (1764) (chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, Roma).

3. Palazzo ducale di Martina Franca (XVII secolo)

 

Lo studio qui intrapreso vuole essere punto di partenza per un’analisi più approfondita del tempio religioso in questione, con lo scopo di fare un po’ di luce su alcuni dei quesiti ancora esistenti, uno su tutti la scelta costruttiva che ha portato all’utilizzo della pianta ottagonale. Questo tipo di configurazione architettonica si inserisce nel nugolo di quegli edifici a pianta centrale tanto diffusi in Italia, ma che in un’area come quella salentina presenta una certa unicità, ancor di più se osserviamo un territorio come la Terra d’Otranto.

A noi francavillesi, che fra i tanti capolavori del nostro cospicuo patrimonio artistico abbiamo ereditato anche quest’insolito quanto straordinario edificio, non rimane che perseguire l’importante compito di salvaguardia e valorizzazione che ci aspetta.

L’obiettivo che ci dobbiamo prefiggere non deve rimanere esulato solo al riappropriarsi di un bene culturale così importante, ma deve diventare uno degli elementi imprescindibili dell’offerta turistica locale, la quale potrà avvalersi della fruizione di questa struttura per poter meglio spiegare come Francavilla divenne vero centro pulsante di tutta la Terra d’Otranto, punto di incontro fra le province del Nord e del Sud della Puglia e sede di una delle corti fra le più vivaci di tutto il Regno di Napoli.

4. Prospetto_ pianta datata 1649_ particolare delle scalinate (Carlo Francesco Centonze, XVII secolo, Napoli, Archivio di Stato).

 

APPENDICE DOCUMENTARIA

Archivio di Stato di Napoli (=ASN), Allodiali, I serie, Inventario delle carte del già “Archivio de Stati Allodiali esistenti in detto archivio”, f. 42, cc. 16,18,26.

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4 Commenti a Francavilla Fontana, città mariana per vocazione. Gli Imperiali e la chiesa della Madonna delle Grazie

  1. Ottima e puntuale analisi storica di parti territoriali molto importanti sotto l’aspetto culturale della nostra regione

    • Grazie mille per l’opinione espressa e
      mi scuso per la risposta tardiva.
      L’edificio rappresenta un unicum eccezionale se paragonato alle strutture coeve dell’area e la difficoltà di trovare riscontri nel territorio salentino alimenta le particolarità di un edificio che andrebbe approfondito in toto nonchè salvaguardato da quella che è la sua infelice situazione.
      Cordiali Saluti

  2. Articolo ricco di informazioni e di suggestioni interessanti.
    È possibile averlo in edizione cartacea.

    • Grazie mille per la recensione positiva.
      Per adesso abbiamo solo la versione digitale ma chissà in futuro cosa si possa raccogliere in un’unica pubblicazione.

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