L’ombra sua torna ch’era dipartita[1]
Il culto dei caduti in Terra d’Otranto
nelle opere di Antonio Bortone
di Paolo Vincenti*
All’indomani della Prima Guerra Mondiale, si avvertiva forte nel Paese l’esigenza di elaborare il lutto e commemorare i tanti eroi caduti per la patria attraverso atti concreti, dimostrazioni plastiche della riconoscenza della nazione nei confronti dei suoi figli perduti. Nacque così il fortunato filone della monumentalistica bellica, incoraggiata dalla politica per scopi propagandistici. Paesi e città di tutta Italia videro fiorire Monumenti ai Caduti. Nelle zone dell’Italia settentrionale, che erano state teatro diretto dell’evento bellico, sorsero Ossari e Sacrari, dato l’altissimo numero di vittime non identificate alle quali sarebbe stato negato il pietoso ufficio della sepoltura da parte dei famigliari. A tutte queste vittime senza nome venne dedicato il grande monumento del Milite Ignoto a Roma, presso l’Altare della Patria[2].
Nel resto d’Italia, sorsero Viali e Parchi della Rimembranza e, soprattutto, Monumenti ai Caduti ad opera sia di enti ed istituzioni che di associazioni laiche e cattoliche, ma anche per iniziativa privata di semplici cittadini che volevano onorare la memoria del proprio congiunto caduto in battaglia, con l’erezione di statue, stele, cippi funerari, targhe e medaglioni.
Il monumento ai caduti saldava, nella sua enorme valenza simbolica, la commemorazione con la celebrazione, la dimensione privata del dolore per la perdita, con quella pubblica del grato riconoscimento da parte della nazione. Attraverso il monumento ai caduti veniva a crearsi una formidabile unione di intenti fra Stato e cittadini, mediante un processo di riappropriazione identitaria che però non tardò a rivelare le proprie discrepanze. Vastissima è ormai l’area degli studi sui monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale[3].
Abbiamo già sottolineato come questi monumenti, dall’essere espressione di lutto da parte della comunità, si trasformino in esaltazione della vittoria, allorquando del mito dell’eroe morto in guerra si impossessa il regime fascista in cerca di legittimazione per imbastire la sua campagna nazionalista, che aveva bisogno di un simbolo identitario, un puntello ideologico sul quale costruire il consenso[4].
L’iconografia funebre allora divenne iconografia trionfale, come ha ben sottolineato Gian Marco Vidor in Riti e monumenti per i morti della Grande guerra[5].
A partire dal 1918 furono edificati in Italia oltre 12.000 monumenti, commissionati dalle amministrazioni locali, su richiesta della cittadinanza o di comitati appositamente costituiti.
Quanto all’iter legislativo, il 27 dicembre 1922, su proposta del Sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi (Primo Governo Mussolini), è emessa una Circolare che promuove l’attuazione di parchi e viali della Rimembranza. Si tratta della Circolare n. 73 del 27/12/1922 contenente “Norme per i Viali e Parchi della Rimembranza”, pubblicata sul «Bollettino Ufficiale» del Ministero della Pubblica Istruzione n. 52 del 28 dicembre 1922 alle pp. 25-26[6]. La realizzazione dell’iniziativa fu affidata alle “scolaresche d’Italia” alle quali fu chiesto di farsi «iniziatrici di una idea nobilissima e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero …»[7].
Con la Legge n. 559 del 21 marzo 1926, i Parchi e Viali della Rimembranza sono dichiarati “pubblici monumenti”. Successivamente, alla “Commissione Nazionale per le Onoranze ai Militari d’Italia e dei Paesi Alleati morti in Guerra”, istituita nel 1919, è affiancato nel 1931 un Commissario di Governo addetto alla «sistemazione definitiva delle salme dei caduti in guerra» e, nel 1935, un Commissario generale straordinario[8].
La monumentalistica celebrativa postbellica si allacciava strettamente a quella risorgimentale, tanto che gli studiosi hanno visto un continuum con la differenza che, nell’iconografia, al monumento equestre, che celebrava gli eroi del Risorgimento, si sostituisce il cippo funerario, la grande stele o la Vittoria Alata. Queste iconografie erano identificative della storia italiana nel particolare momento che stava vivendo. Vidor, nel suo studio, analizza le diverse tipologie presenti nei soggetti scelti per i monumenti: cippi, lapidi, obelischi, figure femminili, soldati morti, eroi, aquile, ecc., non sulla base di una lettura meramente stilistica ed artistica dei monumenti, bensì sul significato della scelta operata dai comuni italiani, scelta influenzata sicuramente dalla disponibilità economica messa in campo e dalla personalità degli artisti ingaggiati, ma anche dagli intenti dell’ amministrazione: se quello di esaltare la vittoria e l’eroismo dei caduti, o semplicemente quello di ricordare i defunti ed il dolore che la loro scomparsa aveva prodotto nelle famiglie[9]. Questi manufatti hanno avuto la precipua finalità di creare il culto della nazione[10]. In quegli anni, vi fu infatti una vera esplosione di monumenti che portò gli studiosi a parlare di una “statuomania”[11].
Questi luoghi della memoria diventavano in ogni comune e città italiani il centro nevralgico della vita delle comunità; infatti venivano collocati quasi sempre nella piazza o comunque in una posizione centrale come se da questi si irraggiasse la pietas religiosa e l’amor di patria, fidando nella disponibilità dei cittadini a farsi contagiare da quell’aura che dai monumenti promanava. Come spiega Mario Isnenghi[12], questi monumenti affratellano le famiglie nel dolore, e vanno ad occupare i luoghi centrali dei paesi, come le piazze, perché il centro fisico del luogo si identifichi col centro simbolico della sua comunità[13].
È con questi monumenti «che dal 1918 doveva confrontarsi la volontà di celebrare i Caduti della Grande Guerra, volontà che nasceva dalla prassi liturgica dell’Italia postrisorgimentale, ma che in questa circostanza si velava di un sotteso senso di sconfitta, di sacrificio inane per le disattese aspettative dell’esito del conflitto e quindi di quel “consenso postumo” che, pur riconoscendo l’inutilità di quelle morti, tuttavia ne accettava e pretendeva il riscatto attraverso l’esaltazione e il culto della loro memoria. L’elaborazione del primo e così drammatico lutto nazionale dell’Italia unita non poteva che trasformarsi in strumento di consenso politico e nell’impossibilità di celebrare i Caduti per una vittoria del tutto fittizia, di costoro si esaltava l’amor di patria, la dedizione fino alla morte per il bene della nazione, il che a conti fatti significava spostare l’asticella del sacrificio “eroico” risorgimentale del “fare” la patria verso quello del “rivendicare” i diritti patri contro altre nazioni e quindi proiettarsi in quel “mistificante auto celebrazionismo nazionalistico” che sarà proprio, ancor prima della fascistizzazione dello Stato della fine anni Venti, alla costruzione della “memoria politica” di regime: la Grande Guerra veniva trasformata in una vittoria senza se e senza ma, presupposto alle attuali e future ambizioni imperialiste dell’Italia fascista»[14].
Il culto dei caduti in guerra e il desiderio di onorarli, fondamentale e avvertita esigenza nel popolo italiano, con l’avvento del Fascismo, da spontanea aspirazione popolare, ebbero concretizzazione allorquando il regime, in una mirata ed efficace polarizzazione del consenso, indirizzò la propria propaganda all’istituzionalizzazione del ricordo. Fu allora che il culto degli eroi caduti, divenendo precipuo programma di governo, assurse a valore sacrale, dovere civico, vessillo, caposaldo di italianità.
Tornando all’apparato legislativo sulla materia, in tempi recenti, la prima legge ad occuparsene è stata quella del 7 marzo 2001, n.78 ,“Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”, in base alla quale, all’Art. 1, primo comma, si «riconosce il valore storico e culturale delle vestigia della Prima guerra mondiale», e al secondo comma si promuovono «la ricognizione, la catalogazione, la manutenzione, il restauro, la gestione e la valorizzazione delle vestigia relative a entrambe le parti del conflitto e in particolare di: forti, fortificazioni permanenti e altri edifici e manufatti militari; fortificazioni campali, trincee, gallerie, camminamenti, strade e sentieri militari; cippi, monumenti, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni e tabernacoli; reperti mobili e cimeli; archivi documentali e fotografici pubblici e privati; ogni altro residuato avente diretta relazione con le operazioni belliche». Questa legge è stata poi recepita nel Decreto legislativo 66/2010 al “Capo VI – Zone monumentali di guerra, patrimonio storico della prima guerra mondiale, sepolcreti di guerra”, e precisamente: «Sezione I- Zone monumentali di guerra, Sezione II- Patrimonio storico della Prima guerra mondiale, Sezione III- Sepolcreti di guerra italiani, Sezione IV- Cimiteri di guerra stranieri in Italia e cimiteri di guerra italiani all’estero» (agli articoli 252-277).
Nel 2012, presso la Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanea (PaBAAC), si è costituito un Comitato tecnico scientifico con il compito di promuovere attività di ricognizione, inventariazione, studi e ricerche sul patrimonio dei monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Il Comitato ha affidato questo compito all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), cui spettava la redazione del progetto finale e l’attività di raccordo con i vari territori italiani, dove sono presenti i monumenti, e i rispettivi uffici periferici del MiBACT, e inoltre la realizzazione di schede redatte attraverso il Sistema Informativo Generale del Catalogo (SIGE Cweb).
Nel 2017 l’ICCD ha terminato il lavoro di catalogazione dei monumenti, definendo attribuzioni, datazioni e tipologie. Il progetto, denominato “Censimento e catalogazione dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, lapidi, viali e parchi della rimembranza” è stato supportato dalle soprintendenze locali come parte integrante delle iniziative per il Centenario della Prima Guerra Mondiale[15].
Su un totale di circa 8100 comuni italiani, sono stati censiti circa 12.000 manufatti, con la redazione di 9457 schede, consultabili on line[16].
Anche nel nostro territorio, all’indomani della guerra, vi fu un enorme fiorire di monumenti ai caduti ed è su questi che vogliamo appuntare la nostra attenzione, rispondendo all’interrogativo alla base del bel saggio di Catherine Brice, Perché studiare (ancora) la monumentalità pubblica[17]. La Terra d’Otranto diede un notevole contributo alla causa. I Militari vittime del conflitto furono 12.331 secondo l’Albo d’oro dei Militari caduti in guerra[18], e come riportato sulla targa, opera di Luigi Guacci, apposta dalla Provincia di Lecce nell’atrio del Palazzo dei Celestini nel 1928[19]. Anche in Terra d’Otranto (nella accezione ampia del termine, comprendente le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto), lo scoprimento e l’inaugurazione delle lapidi furono occasioni solenni, in cui si ritrovavano famigliari, autorità e popolo, nel nome dell’eroe o degli eroi caduti. Intorno ad essi, anche nel Salento, fiorisce una eccezionale pubblicistica ad opera non solo di letterati ma anche di sacerdoti, ufficiali e sottufficiali che hanno partecipato al conflitto, famigliari dei caduti e studiosi locali, i quali producono una enorme messe di contributi a stampa, fra opuscoli commemorativi, discorsi, diari e memoriali di guerra, prose, poesie, rime sparse. La guerra, anche nel nostro territorio, diviene occasione di scrittura, sia nelle dotte analisi degli intellettuali[20] che nella massa dei non addetti ai lavori e degli illetterati i quali si sentono legittimati a prendere carta e penna[21].
Si assiste ad una vera e propria trasfigurazione dei caduti che diventano eroi, assurgono ad una inattingibile sacertà[22]. Il culto degli eroi gonfia il cuore di grandi e piccoli, alimenta la musa di “poeti laureati” e improvvisatori.
Fra gli artisti che diedero i più grossi contributi alla monumentalistica postbellica, Antonio Bortone, il quale realizzò un discreto numero di opere sul tema in provincia di Lecce, come per esempio i monumenti ai caduti di Parabita, di Ruffano, di Tuglie, di Calimera, oltre a vari busti e targhe commemorative.
Antonio Bortone (1844-1938), insigne scultore originario di Ruffano, dopo la formazione napoletana, si trasferisce a Firenze, divenendo uno dei più ammirati artisti italiani dell’epoca. Basti pensare che a Firenze viene chiamato a lavorare alla facciata di Santa Maria del Fiore, per la quale realizza, tra gli altri, le due statue di Sant’Antonino e San Giacomo Minore (1887) e i due bassorilievi di Michelangelo e Giotto (1887), oppure al Michele di Lando (1895), nella Loggia del Mercato Nuovo. Per quanto riguarda le opere salentine, molte sono quelle degne di menzione, fra le quali: il busto di Giuseppe Garibaldi (1867), in marmo, che si trova presso il Castello Carlo V di Lecce; i busti in marmo di Giulio Cesare Vanini (1868), di Francesco Milizia (1872), di Antonio Galateo (1873) e di Filippo Briganti (1875), presso la Biblioteca Provinciale N. Bernardini di Lecce; la statua in marmo di Sigismondo Castromediano (1890), che si trova nel Museo omonimo di Lecce, e il Monumento a Sigismondo Castromediano (1903), nella omonima piazzetta leccese; il monumento a Salvatore Trinchese (1907) a Martano; il ritratto di Pietro Cavoti (1912), presso il Convitto Colonna a Galatina; ma soprattutto Il Fanfulla (1877), che gli valse l’appellativo di “mago salentino dello scalpello”, come lo definì Brizio De Santis, nel basamento dell’opera. Il Fanfulla gli diede fama anche in Francia, poiché all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 ottenne la medaglia di 3° grado. Questo monumento, oggetto pochi anni fa di un intervento di restauro, dopo essere stato a lungo nella Villa Comunale, si trova oggi in Piazza Raimondello Orsini, a Lecce. Fra le altre opere, a lui si devono il Monumento a Quinto Ennio (1913) a Lecce, Il monumento alla Duchessa Francesca Capece (1900) e quello al patriota Oronzo De Donno a Maglie, e molti altri[23]. Recentemente, da parte dell’estensore di questo articolo è stata attribuita ad Antonio Bortone una statua inedita, in marmo bianco di Carrara, intitolata The Girl Knitting For the Front, che si trova nella cittadina di Christchurch, in Nuova Zelanda e che rientra nella statuaria commemorativa bellica[24].
Quando Bortone tornò a Lecce da Firenze, nel 1893, era uno scultore di grande successo e venne accolto come una gloria, tanto che le commissioni si inseguivano; gli giungevano richieste da enti pubblici e da privati in numero tale che lo costrinsero a lavorare forsennatamente negli ultimi anni della sua vita. Il suo talento gli viene riconosciuto da tutta la stampa locale, altissima era la considerazione di cui godeva lo scultore presso critici e giornalisti, ed anche presso il mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia leccese che gli commissionava sovente busti e ritratti. Scrivono di lui il «Corriere Meridionale», il «Propugnatore», «Democrazia», «Fede», la «Voce del Salento», il «Giornale d’Italia», «L’Ordine», «Voce del Sud», ecc.
Dei monumenti ai caduti di Parabita, Ruffano, Tuglie e Calimera si è occupata Maria Lucia Chiuri nel dettagliato saggio Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti per la Patria nel Salento[25]. Il monumento di Ruffano è unanimemente ritenuto il più bello. Raffigura la Vittoria Alata, secondo la sua classica iconografia, rappresentata da una donna con leggero chitone, che impugna una tromba in una mano e la corona di alloro nell’altra. Sulla base di marmo, ai quattro lati, sono scolpiti i nomi dei caduti ruffanesi nelle due guerre mondiali. Questa statua, che campeggia al centro di Piazza IV Novembre, è espressione anche dell’amore del Bortone per il suo paese natale, tanto che egli volle farne omaggio[26]. Tuttavia, nonostante l’atto di prodigalità dello scultore, l’iter per la realizzazione della statua fu molto travagliato, come si può evincere dalla cronaca delle vicende amministrative riportata da Ermanno Inguscio e dalla Chiuri sulla base della documentazione archivistica[27]. Infatti, intorno all’opera del Bortone, fortemente voluta dal Podestà dell’epoca, Ottorino Licci, vi erano in paese pareri contrastanti, e forse furono questi alla base delle lentezze burocratiche e della difficoltà di estinguere il debito residuo contratto con il concittadino Giuseppe Pizzolante-Leuzzi, Presidente del comitato promotore, che aveva anticipato la somma per la sistemazione del monumento. Il Podestà Ottorino Licci avvertiva fortemente l’esigenza di un monumento ai caduti a Ruffano, anche per motivi famigliari, avendo perduto in guerra nel 1915 un fratello, Ernesto, al quale a Torrepaduli è pure intitolata una strada. Nella sua Relazione, si può avvertire tutto il rammarico di fronte ai mancati versamenti delle somme promesse nelle sottoscrizioni e al tempo stesso la fiera rivendicazione di non aver minimamente intaccato il bilancio del Comune a seguito dell’opera[28]. La statua è stata recentemente interessata da un intervento di restauro poiché danneggiata a seguito di una rovinosa caduta dovuta al forte vento.
Molto simile a quella ruffanese è la Vittoria Alata per il monumento di Tuglie, che ricalca dappresso la figura allegorica del monumento a Gino Capponi che si trova in Santa Croce a Firenze (1876) e che a sua volta è molto simile al monumento di Mons. Trama (1932), nella Cattedrale di Lecce. La realizzazione del monumento di Tuglie fu molto travagliata fino alla sua inaugurazione nel 1922, nella centrale Piazza Garibaldi[29]. Luigi Scorrano si occupa della statua nel suo articolo La donna del monumento[30], in cui analizza il particolare della corona che cinge il capo della Vittoria e che raffigura lo stemma civico di Tuglie ed è quindi «allegoria del paese o, meglio, della comunità tugliese che rende un doloroso, benché composto, omaggio ai suoi concittadini caduti sui campi di battaglia». Il monumento di Tuglie è realizzato con un gusto classicheggiante, così come quello di Calimera, realizzato nel 1927, in bronzo e marmo, che all’inizio si trovava su un’ampia esedra che è poi stata rimossa. Questa statua è impreziosita da una palma e da una bandiera. Il comitato che la volle era presieduto da Pasquale Lefons, il quale si rivolse al suo amico Antonio Bortone. Lo scultore si impegnò a realizzarla ma, con la morte del Lefons, le cose si complicarono molto. Dopo svariate vicissitudini, legate a motivazioni di carattere economico, il Monumento ai Caduti venne finalmente inaugurato nel 1930, VIII anno dell’era fascista, in una domenica di giugno, alla presenza del gerarca fascista On. Starace, del prefetto comm. Formica e del Segretario federale della Provincia Cav. Palmentola. L’orazione venne tenuta dal Senatore Brizio de Sanctis, illustre intellettuale calimerese.
La statua venne consegnata alla devozione dei famigliari dei caduti e all’ammirazione generale ma i debiti contratti dal Comune per la sua realizzazione restarono a lungo insoluti. Durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa dell’estremo bisogno di ferro e bronzo dell’industria bellica, la statua calimerese rischiò di essere abbattuta per realizzare cannoni. Molte furono le richieste da parte del regime fascista alle autorità cittadine affinché venisse consegnata la bella Vittoria Alata per essere rottamata, e ciò sarebbe accaduto se nel frattempo non fosse intervenuto un provvedimento governativo a salvare la statua da un triste destino. Vennero però rimossi la catena, le due lastre in bronzo che ricordano i 90 Caduti in guerra Calimeresi, così come la lapide che era posta al lato dell’ingresso del Municipio. Negli anni Quaranta, la statua venne rimossa dalla collocazione iniziale in Piazza Littorio e negli anni Cinquanta risistemata nella nuova Piazza Del Sole, con notevoli interventi di modifica[31]. Una copia della statua di Calimera, riferiva il «Corriere Meridionale» del 17 marzo 1927 venne vista nella fonderia Vignoli dal duca D’Aosta che ne richiese una copia da donare ad un comune della Sardegna[32].
Il monumento di Parabita, posto al centro di un grande parco, era costituito da una statua di donna in bronzo, raffigurante Parabita, nell’atto di appoggiare la mano sinistra sull’ara della stele mentre nella destra reggeva lo stemma civico del paese. Nelle lastre in bronzo, i nomi dei caduti in guerra. Purtroppo la statua non è più esistente poiché durante la Seconda Guerra Mondiale venne fusa per realizzare armi e, dopo la guerra, venne sostituita da due fusti di cannone. Aldo de Bernart pubblica una foto d’epoca in cui si può vedere il monumento originario[33].
Ad A. E. Foscarini si deve invece la pubblicazione del bozzetto in gesso preparatorio del monumento di Parabita il quale, proveniente da collezione privata, è stato poi donato insieme ad altri dello stesso Bortone al Museo di Arte Sacra del leccese Convento di Sant’Antonio a Fulgenzio[34]. Come informa Aldo D’Antico[35], già nel 1919 a Parabita si era costituito un Comitato pro Monumento ai caduti, di cui facevano parte esponenti di spicco della borghesia del luogo, come Carlo Ferrari che lo presiedeva. Il comitato affidò ad Enrico Giannelli e Rocco Serino lo studio tecnico e le proposte da farsi[36]. Questi decisero di affidare l’incarico ad Antonio Bortone il quale aveva già contribuito con preziosi consigli alla realizzazione del Santuario della Madonna della Coltura, amata patrona della città. Fu soprattutto per intercessione dell’amico Enrico Giannelli, che Bortone accettò l’incarico, firmando il contratto e scegliendo anche il luogo dove allocare l’opera, ovvero il piazzale antistante il santuario della Madonna della Coltura, in prossimità della stazione ferroviaria. Anche a Parabita però si verificano degli intoppi che fanno ritardare l’esecuzione dell’opera, la quale viene consegnata finalmente solo nel 1924[37]. Intorno alla statua, vengono piantumati degli alberi, uno per ogni caduto, come per tutti i parchi delle Rimembranze d’Italia, e inoltre l’aiuola fiorita viene cinta da una pregevole ringhiera realizzata dall’architetto Napoleone Pagliarulo, ideatore del Santuario della Coltura. La statua di Parabita che regge in mano lo scudo civico campeggia sulla copertina di un numero della rivista «NuovAlba» all’interno della quale de Bernart ritorna sul non più esistente monumento[38]. Come detto, il monumento venne rimosso e il suo bronzo fuso per fabbricare armi[39].
Bortone partecipò anche, sia pure indirettamente, con un proprio contributo, all’asta di beneficenza che fu organizzata a Lecce nel giugno del 1916, quindi in piena guerra mondiale, dal Comitato per l’Assistenza civile. Infatti, in città vi era da mesi una vasta mobilitazione da parte di enti ed istituzioni, per fornire assistenza materiale ai soldati sul fronte e alle loro famiglie in difficoltà economiche. In questa gara di solidarietà si distinsero particolarmente la Provincia di Lecce, l’Associazione Mutilati ed Invalidi di Guerra, il Vescovo Mons. Gennaro Trama e il Sindaco di Lecce, Principe Sebastiano Apostolico Ducas. Vi parteciparono anche l’Istituto delle Marcelline, gli uffici pubblici, i giornali dell’epoca, gli ordini religiosi e tantissimi privati cittadini. Alla Lotteria, organizzata dal Comitato di Assistenza, pervenne un’opera di Bortone, il busto in bronzo di Cicerone, insieme a quelle di altri artisti, come Michele Massari, Agesilao Flora, Paolo Emilio Stasi, che donarono loro quadri, così come fecero Giovanni Lazzaretti, Egidio Lanoce, ecc[40]. Nel 1926, nel Cimitero nuovo di Lecce, si deve sempre al Bortone il monumento al sottotenente Francesco De Simone, morto il 30 giugno 1915 a Podgora di Gorizia, uno dei primi militari salentini a perdere la vita nel conflitto, medaglia d’argento al valore militare, come si legge nella lastra in marmo bianco di Carrara che si trova ai piedi della statua[41]. Al 1926 risale anche l’inaugurazione della grande targa in memoria degli alunni dell’Istituto Tecnico Costa caduti nel conflitto. La targa in marmo reca tutti i nominativi degli studenti, ben 92, dei quali alcuni vennero decorati con medaglia d’argento (8) e con medaglia di bronzo (9). Il testo è scritto dal prof. Brizio De Santis, all’epoca Preside dell’Istituto.
Nel 1924, in occasione del Cinquantenario del prestigioso Collegio Argento, l’istituto dei Gesuiti leccesi, venne scoperta una lapide dedicata a tutti i caduti in guerra ex alunni del Collegio, come riportato da tutti gli organi di stampa dell’epoca. In quella solenne occasione, la salma di Padre Argento, grazie all’opera infaticabile del Rettore P. Giovanni Barrella, venne traslata dal Cimitero di Lecce alla Cappella dell’Istituto e fu anche inaugurato il busto del fondatore, opera di Antonio Bortone, e nel locale d’ingresso venne apposta una targa ricordo con il testo di Brizio De Santis, Preside dell’Istituto Tecnico di Lecce e che già era stato allievo dell’Argento presso il Regio Liceo San Giuseppe[42]. La targa in memoria degli ex allievi venne poi rimossa durante i lavori di trasformazione del Collegio Argento in sede della Biblioteca Provinciale fra la fine degli anni Sessanta del Novecento e i primi anni Settanta. Di essa si perse da allora ogni traccia[43]. Molto probabilmente anche quella targa era opera di Bortone ma non ne abbiamo il riscontro data l’irreperibilità dell’opera. Una nostra visita nei locali sotterranei dell’attuale Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano”- dove giacciono diverse lapidi marmoree – si è rivelata infruttuosa.
Bortone venne anche coinvolto, insieme a Eugenio Maccagnani, nella realizzazione del Monumento ai Caduti voluto dall’Amministrazione Comunale di Lecce nell’allora Piazza Libertini (oggi Piazza D’Italia), sostenuto da un Comitato promotore presieduto dal Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas e inaugurato nel 1928. Tuttavia, il ruffanese rinunciò all’incarico, sicché l’imponente opera venne realizzata dal solo Maccagnani, al quale Bortone non mancò di esprimere vive felicitazioni per il brillante risultato ottenuto. Per altro, Bortone era grande amico del Maccagnani con il quale aveva condiviso gli anni del praticantato a Lecce, quand’erano allievi entrambi del maestro cartapestaio Antonio Maccagnani[44]. La stampa locale, a partire dal «Corriere Meridionale», passando per «La voce del Salento», fino a «L’azione pugliese», diede ampio risalto all’opera[45]. Bortone ammirava, ricambiato, il talento del Maccagnani, di diversi anni più giovane, al di là della rivalità fra i due grandi artisti: rivalità, più presunta che vera, attribuita loro per via della mancata assegnazione al Bortone della realizzazione a Lecce del Monumento al Re Vittorio Emanuele II, nel 1880, affidata invece dal Comitato Promotore, al Maccagnani, il cui bozzetto venne ritenuto più convincente[46].
Nel 1925 Bortone realizza il busto in bronzo del sottotenente Luigi Falco, morto sul Monte Grappa nel 1918, al quale è dedicato anche un cenotafio nel Cimitero Comunale dove è insieme al cugino, il maggiore Carlo Falco, morto durante la Seconda Guerra Mondiale, in Albania nel 1941[47]. Il busto di Luigi Falco appartiene a collezione privata[48].
Nel 1926, nel Palazzo Comunale di Guagnano, al Nostro si deve il busto in bronzo del sottotenente Benedetto Degli Atti, medaglia d’argento al valore militare, appartenente all’8° Reggimento Artiglieria, morto il 19 novembre 1917 sul Monte Grappa[49]. Un altro ritratto in gesso del sottotenente è conservato in collezione privata[50].
All’indomani della caduta del fascismo un moto di generale riprovazione nel Paese per i misfatti del regime finì con il coinvolgere anche i monumenti ai caduti che, nell’immaginario collettivo, vennero identificati con la propaganda fascista. L’ondata di indiscriminato rifiuto nei confronti della monumentalistica bellica iniziò ben prima, ossia già nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando moltissimi busti e statue in bronzo vennero distrutti, in nome di una equivoca concezione estetica che vedeva in queste opere delle risultanze del pessimo gusto di artisti non accreditati. Come precedentemente scritto, molte opere in bronzo vennero divelte dai loro basamenti e fuse per costruire cannoni, a partire dagli odiati fasci littori che ornavano moltissimi monumenti, per far fronte alla incessante richiesta che proveniva dall’industria bellica. In provincia di Lecce diede molto risalto alla rimozione dei monumenti in bronzo il giornale cattolico «L’Ordine». Venne per esempio distrutto il monumento a Gaetano Brunetti, opera di Eugenio Maccagnani del 1922[51],e stessa sorte toccò alle figure in bronzo del grande Monumento ai Caduti di Lecce del Maccagnani; per quanto riguarda il nostro Bortone, vennero sottratte le parti in bronzo e l’aquila del Monumento a Quinto Ennio, del 1913, il busto a Cosimo De Giorgi, del 1925, ed altri.
Più in generale, terminata quella perfetta operazione di nation building operata dal regime fascista in Italia, con lo scollamento generale seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale e col tramonto del mito della «nazione armata»[52], ben presto iniziarono ad operare fattori psicologici del tutto diversi rispetto a quelli che avevano animato gli anni caldi dei conflitti; il diffuso moto di rifiuto del fascismo fece il resto, portando ad un rigetto di simboli, immagini, rituali e insomma di tutto ciò che si identificava col regime. Quelle connessioni che avevano operato fino ad allora si sfilacciarono nel secondo dopoguerra quando «la capacità delle istituzioni statali di governare il lutto collettivo avrebbe perduto efficacia, mentre sarebbero state soprattutto famiglie e associazioni ad essere protagoniste di riti mortuari che non contribuivano più al consolidamento del legame tra cittadini e Stato ma che rinviavano alla maturazione di altre diverse identità collettive. Del resto, le due istituzioni italiane che, operando in stretta simbiosi, avevano tradizionalmente gestito la raffigurazione monumentale della patria e il culto dei caduti erano state la monarchia e l’esercito ma, dopo il 1943, né i Savoia né i militari disponevano più del consenso, del prestigio o degli strumenti culturali adeguati per assolvere efficacemente quel compito»[53]. Sicché, venendo meno lo stretto legame fra commemorazione e patriottismo, declinò inevitabilmente anche il culto dei caduti[54], e la pratica della memoria divenne obsoleta[55].
Sic transit gloria mundi, potremmo concludere, citando i latini, se non fosse che, per i corsi e ricorsi storici di cui disse Vico, affermandosi negli anni a seguire la dimensione privata e, sfrondate le politiche funerarie e commemorative di quella zavorra ideologica che veniva da una parte dalla retorica patriottarda e nazionalista di una certa destra e dall’altra dall’enfasi catto-comunista di una certa sinistra, la memoria è diventata finalmente valore condiviso, patrimonio collettivo.
* Società di Storia Patria per la Puglia, paolovincenti71@gmail.com
Note
[1] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, IV, v. 72.
[2] B. Tobia, L’Altare della Patria, Bologna, Il Mulino, 1998; L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, Udine, Gaspari, 2004.
[3] Per limitarsi ai più conosciuti, occorre citare almeno, per i monumenti romani e laziali: Aa.Vv., La memoria perduta. I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, a cura di V. Vidotto, B. Tobia, C. Brice, Roma, Nuova Argos, 1998; per i monumenti liguri: R. Monteleone, P. Saracini, I monumenti italiani ai caduti della Grande Guerra, in La Grande Guerra. Esperienza, Memoria, Immagini, a cura di D. Leoni, C. Zadra, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 631-662; per l’area torinese: C. Canal, La retorica della morte. I monumenti ai caduti della Grande Guerra, in «Rivista di Storia Contemporanea», 4, 1982, pp. 659-669; per l’area trentino tirolese: I monumenti ai caduti della prima guerra mondiale nell’area Trentino tirolese, a cura di G. Isola, Trento, Università degli studi, Dipartimento di scienze filologiche e storiche, 1997. A questi studi fa riferimento, per rivendicare invece al Museo Civico del Risorgimento di Bologna l’unica raccolta che documenta su scala nazionale, e con immagini d’epoca, tutti i monumenti italiani ai caduti della Grande Guerra, G. M. Vidor in Il “costituendo albo generale dei monumenti”. Studio preliminare della collezione fotografica bolognese dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, in Bollettino Del Museo Del Risorgimento, Archiviare la guerra: La Prima Guerra Mondiale attraverso i documenti del Museo del Risorgimento, a cura di M. Gavelli, n.50, Bologna, 2005, pp.109-121 (oggi anche consultabile on line, nella sezione Collezioni Digitali all’indirizzo www.comune.bologna.it/museorisorgimento).
[4] P.Vincenti, Nomina nuda tenemus.La memoria ricomposta dei caduti in guerra attraverso i sacrari. Il caso di un piccolo centro del Sud Salento: Gagliano Del Capo, in «Eunomia- Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», Anno VIII, n. 2, 2019, pp.317-330.
[5] G. M. Vidor, Riti e monumenti per i morti della Grande guerra, in «Studi Tanatologici-Thanatological Studies-Etudes Thanatologiques», n.1, 2005, pp. 139-159.
[6] Si veda: D. Lupi, Parchi e Viali della Rimembranza, Firenze, Bemporad, 1923.
[7] G. Lazzerini, Parchi e viali della rimembranza, in «Bullettino della R. Società Toscana di Orticultura», 4.a Serie, Vol. 8, n. 9/12 (Settembre-Dicembre 1923), pp. 30-32.
[8] Ministero della Difesa – Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra, Relazione sull’attività del Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra negli anni 1988-1997, Roma, 1998, pp. 1-3.
[9] G. M. Vidor, Il “costituendo albo generale dei monumenti”. Studio preliminare della collezione fotografica bolognese dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, op. cit., passim.
[10] Celebrare la nazione. Grandi anniversari e memorie pubbliche nell’Italia contemporanea, a cura di M. Baioni, F. Conti , M. Ridolfi, Milano, Silvana editoriale, 2012.
[11] M. Agulhon, La «statuomanie» et l’histoire, in «Ethnologiefrançaise», VIII,1978, 1, pp. 143-172, ripubbl. inI’Histoire vagabonde, vol. I, Ethnologieetpolitiquedans la France contemporaine, Paris, Gallimard, 1988, pp. 137-185.
[12] M. Isnenghi, Le guerre degli italiani. Parole, immagini, ricordi 1848-1945, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 342-348.
[13] S. Bonelli, Gli spazi della memoria. La scelta dei luoghi, in Aa. Vv., La memoria perduta. I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, cit., 1998, pp. 29-37.
[14]A. Migliorati, I Monumenti ai Caduti umbri della Grande Guerra: dalla “religione della patria” risorgimentale alla “religione della Nazione” dell’Italia fascista, in Aa. Vv.,1918-2018 Cento Anni di Memoria Rilievo e catalogazione dei monumenti ai Caduti della Prima Guerra Mondiale in Umbria, a cura di P. Belardi, L. Martini, V. Menchetelli, Università degli studi di Perugia, Foligno, Il Formichiere, 2018, pp.38-39.
[15] http:// iccd.beniculturali.it/index.php?it/428/progetto-grandeguerra-censimento-dei-monumenti-ai-caduti-della-primaguerra-mondiale;http://www.catalogo.beniculturali. it/sigecSSU_FE/carica PercorsoTematicoPubblicato. action?id=2007&titoloPercorso=censimento%20dei%20 monumenti%20ai%20caduti%20della%20prima%20 guerra%20mondiale
[16] www.iccd.beniculturali.it › SIGECweb › sistema-informativo.
Sull’argomento: R. Lorusso Romito, Il progetto “Grande Guerra” Censimento dei monumenti celebrativi ai caduti. Il contributo della Puglia, in «Dire in Puglia», V/2014, Mibac, Viterbo, BetaGamma Editrice, 2014, pp.117-122. Nello stesso numero,V. Fasanella, La Grande Guerra: il lutto e la memoria. La catalogazione dei monumenti ai caduti per recuperare la memoria, pp. 123-126; R. Piccininni, La tutela del patrimonio storico della Grande Guerra e la legge n. 78/2001. Brevi riflessioni, pp.149-152.
[17] C. Brice, Perché studiare (ancora) la monumentalità pubblica, Introduzione a Aa. Vv., La memoria in piazza. Monumenti risorgimentali nelle città lombarde tra identità locale e nazionale, a cura di M. Tesoro, Milano, Effigie, 2012, p.13.
[18] Ministero della Guerra, Militari caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918Albo d’Oro, Vol. XVIII-Puglie, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria, 1938. Redatto anche da Cosimo De Carlo, nell’Albo d’oro dei caduti di Terra d’Otranto per la Patria, Lecce, Tip. Editrice Salentina, F.lli Spacciante, 1918-1919, voluto dall’editore Francesco Zaccaria Pesce.
[19] V. De Luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019, p. 136.
[20] F. Martina, Il fascino di Medusa. Per una storia degli intellettuali salentini tra cultura e politica (1848-1964), Fasano, Schena Editore, 1987.
[21] Sulla pubblicistica bellica e post bellica: G. Caramuscio, Stampa e opinione pubblica a Lecce tra provincialismo, nazionalismo ed ecumenismo (1914-18), in «L’Idomeneo – Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi. Lecce, Monastero degli Olivetani, 5 dicembre 2014 », Società Storia Patria per la Puglia, sezione di Lecce, n.18, Università del Salento, Lecce, 2014, pp.51-110; Idem, Elaborare il lutto bellico. Gli opuscoli commemorativi di caduti nel Salento (1915-1923), in «Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», a. IV , n. 2, 2015, pp. 459-500.
[22] Cfr. C. Briganti, La trasfigurazione dei nostri Eroi sul Mare e sull’Alpe, Lecce, Tip. O. Guido, 1922.
[23] Per una bibliografia sul Bortone, fra i contributi più recenti, si segnalano: I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Aa.Vv., Antonio Bortone, Pro Loco Ruffano, Lecce, Conte Editore, 1988, pp.15-34; A. de Bernart, Antonio Bortone nella stampa periodica salentina, ivi, pp. 37-45; A. Laporta, Rarità bibliografiche: un sonetto dedicato ad Antonio Bortone,ivi, pp.49-51; A. E. Foscarini, Lettere edite ed inedite di Antonio Bortone,ivi, pp.53-67; A. de Bernart, Antonio Bortone e le figure dei suoi monumenti. Nel 150° di sua nascita (1844-1994), in «Bollettino storico di Terra d’Otranto», 4, 1994, pp. 72-78; O. Casto, Bortone a Firenze, in Colloqui 150° Anniversario della nascita di Antonio Bortone. 1844-1994, Pro Loco Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis, 1994, pp. 3-8; A. E. Foscarini, Bozzetti in gesso di Antonio Bortone, ivi, pp.27-28; E. Inguscio, Della “vittoria alata” di Antonio Bortone in Ruffano, in «Il Bardo», Copertino, a. VII, n.2, dicembre 1997, p.13; Idem, La civica amministrazione di Ruffano, 1861-1999, Galatina, Congedo, 1999, p.71; A. de Bernart, Antonio Bortone e la sua casa natale in Ruffano, Amministrazione Comunale Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis, 2004; Idem, La statua della Duchessa Capece nella piazza di Maglie, in «Note di Storia e Cultura salentina», Società Storia Patria Puglia, Sezione di Maglie, n. XVI, Lecce, Argo Editore, 2004, pp.55-56; Idem, I grandi salentini. Antonio Bortone, in «Anxa News», Gallipoli, settembre-ottobre 2008, p.14; Idem, Nel primo centenario del Monumento di Antonio Bortone a Quinto Ennio (Memorabilia 33), Ruffano, Tipografia Inguscio e De Vitis, maggio 2012; P. Vincenti, Dal Fanfulla a Quinto Ennio nel segno di Antonio Bortone, in «Il Filo di Aracne», Galatina, n.3, luglio-settembre 2019, pp.42-43; Idem, Una statua per Francesca Capece, in «Nova Liberars», Novoli, n.1, 2019, pp.22-26.
[24] P. Vincenti, L’arte commemorativa postbellica. Antonio Bortone da Ruffano e una sua opera inedita, in «L’Idomeneo», Società Storia Patria per la Puglia, sezione di Lecce, n.26 -2018, Università del Salento, Castiglione, Grafiche Giorgiani, 2019, pp.247-282.
[25] M. Chiuri, Antonio Bortone e i Monumenti ai Caduti per la Patria nel Salento, in «Leucadia», Miscellanea storica salentina “Giovanni Cingolani”, III, n.1, 2011, pp.181-213.
[26] E. Inguscio, Della “vittoria alata” di Antonio Bortone in Ruffano,cit., p.13; Idem, La civica amministrazione di Ruffano, 1861-1999, cit, p.71; A. de Bernart, Antonio Bortone e le figure dei suoi monumenti. Nel 150° di sua nascita (1844-1994),cit., pp.72-78.
[27] Cfr.M. Chiuri, Antonio Bortone cit., pp.208-211.
[28] Cfr. E. Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano, cit.,pp.71-73. A Ruffano, oltre al Monumento ai caduti, Bortone ha lasciato un suo autoritratto che oggi è conservato presso la sede della Pro Loco, allocata proprio nella cinquecentesca casa dove nell’Ottocento è nato lo scultore.
[29] Cfr. M. Chiuri, Antonio Bortone cit., p.192.
[30] L. Scorrano, La donna del monumento in «Nuovalba», Parabita, n.3, dicembre 2008, pp.6-7.
[31] Cfr. M. Chiuri, Antonio Bortone cit., pp.207-208.
[32] Cfr. I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, cit., p.34.
[33] A. de Bernart, Note a margine di alcune foto,in Aa.Vv., Noi il tempo le immagini. Album di vita parabitana, Centro di Solidarietà Madonna della Coltura-Italia Nostra sezione di Parabita, Galatina, Editrice Salentina, 1993, p.18.
[34] A. E. Foscarini, Bozzetti in gesso di Antonio Bortone, in Aa.Vv.,Colloqui 150° Anniversario della nascita di Antonio Bortone. 1844-1994, cit., pp.27-28.
[35] A. D’Antico, Il monumento ai caduti e la bella statua di Parabita, in «NuovAlba», Parabita, n.2, luglio 2004, pp.9-11.
[36] Cfr. M. Chiuri, Antonio Bortone cit., p.165.
[37] Ivi, p.192.
[38] A. de Bernart, Lo stemma civico di Parabita in un’aiuola fiorita, in «NuovAlba», Parabita, n.3, dicembre 2005, p.2.
[39] Cfr. A. de Bernart, Note a margine di alcune foto, in Noi, il tempo, le immagini cit., p.17.
[40] Cfr. V. De Luca, Lecce cit., pp.179-180.
[41] Ivi, p.72. Su Francesco De Simone, si veda: G. Caramuscio, Il milite noto. Modelli di eroismo bellico in opuscoli commemorativi salentini, in Aa.Vv., «Colligite fragmenta». Studi in memoria di Mons. Carmine Maci, a cura di Dino Levante, Centro Studi “Mons. C. Maci”, Campi Salentina, Minigraf, 2007, pp.491-496.
[42] Cfr. V. De Luca,“Stringiamoci a coorte siamo pronti alla morte l’Italia chiamò” La Prima guerra mondiale nei monumenti e nelle epigrafi di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2015, pp.61-64. Si veda: G. Barrella, P. Nicodemo Argento S.I. e il suo “Istituto”, nel primo cinquantenario della fondazione dell’“Istituto Argento” 1874-1924, Lecce, Tip. Masciullo, 1924.
[43] Ivi, p.64.
[44] Cfr. I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Antonio Bortone cit., p.15.
[45] Cfr. V. De Luca, Lecce cit., pp.86-93.
[46] Cfr. I. Laudisa, L’opera di Antonio Bortone, in Antonio Bortone cit., pp.20-21.
[47] Cfr. V. De Luca “Stringiamoci a coorte cit., pp.50.51.
[48] Catalogo, in Antonio Bortone cit., p.170.
[49] Cfr. V. De Luca, Lecce cit., p.72.
[50] Catalogo, in Antonio Bortone cit., pp.170-171.
[51] Bortone era grande amico dell’On.Brunetti. La statua del politico salentino venne spedita a Milano nel 1942 per essere fusa:
- De Luca, Lecce cit., p 239.
[52] G. Conti, Il mito della “nazione armata”, in «Storia contemporanea», 6, 1990, pp.1459-1496.
[53] G. Schwarz, Tu mi devi seppellir. Riti funebri e culto nazionale alle origini della Repubblica, Torino, Utet, 2010, p.XIII.
[54] Cfr. G.L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza, 1990.
[55] Cfr. J. Winter, Il lutto e la memoria, la grande guerra nella storia culturale europea, Bologna, Il Mulino, 1995.