di Giammarco Simone
Il dialetto salentino conosciuto e parlato al giorno d’oggi ha avuto un secolare processo di nascita e di affermazione durante il quale ha assorbito nella sua struttura linguistica i tratti tipici delle parlate e delle lingue delle diverse popolazioni che hanno abitato ed occupato la penisola salentina. Da madrelingua salentino, alcune delle domande che mi sono sempre posto erano pure curiosità: da dove nasce la mia lingua? Perché la pronuncia leccese non è uguale a quella brindisina o gallipolina? Quali sono i tratti tipici del dialetto salentino e come si sono originati? A queste domande cercheremo di dare una risposta lungo l’arco di questo articolo e per farlo bisogna iniziare a guardare un po’ indietro nel tempo.
Un dato certo è che il dialetto salentino deriva dal latino volgare, ovvero quella variante latina parlata dalla gente (vulgus) che si contrapponeva al latino classico utilizzato dai grandi oratori e poeti nella sua forma puramente scritta. Per intenderci, il latino classico era la lingua dei dotti utilizzata per la scrittura a cui si affiancavano le numerose lingue volgari del vastissimo Impero Romano utilizzate soprattutto dalla plebe per lo più analfabeta per parlare.
Il processo di romanizzazione e latinizzazione[1] della penisola salentina inizia nel 90 a.C, anno della Guerra Sociale tra i Messapi[2] e Taranto che ne sancì la loro sconfitta e la conquista del Salento da parte dei Romani. Come per qualsiasi altra lingua volgare, anche nel Salento il processo di latinizzazione dovette far fronte a forti resistenze dal punto di vista fonetico e fonologico dovute alle influenze dalle parlate pre-esistenti, quali quelle dei Messapi di base greca, e quelle che invece si erano già diffuse prima dell’arrivo dei Romani, ovvero le parlate osche[3]. La latinizzazione durò molti secoli ma è partire dalla caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C che il sistema fonetico-fonologico del dialetto salentino comincia a mutare e ad assumere le caratteristiche che lo compongono. Infatti, dapprima con i Bizantini e successivamente con i Normanni, il sistema vocalico della penisola salentina subisce un imbarbarimento dovuto alle innovazioni linguistiche portate dalle genti provenienti dalle terre straniere.
Vocalismo tonico
Le innovazioni a cui faccio riferimento prendono il nome di “metafonia” e “dittongazione”. La prima è un fenomeno linguistico che modifica il suono di una parola per l’influenza della vocale postonica su quella tonica, invece la dittongazione è un fenomeno simile alla metafonia ma che si manifesta attraverso i dittonghi ié,ué, in base alla vocale postonica. In seguito vedremo gli esempi. Pertanto, questi due fenomeni linguistici che subentrarono in un’epoca post-romana sono, per così dire, i responsabili della tripartizione del sistema vocalico tonico del dialetto salentino come noi oggi lo conosciamo. Ci siamo mai chiesti perché si pronuncino sia oce che uce (it. voce) sia nuéu che nou (it. nuovo), sia ucca che occa (it. bocca)? La risposta risiede proprio nel mutamento metafonetico e nel fenomeno della dittongazione.
A questo punto, vediamo la suddivisione del sistema vocalico tonico del dialetto salentino nelle sue varianti linguistiche (Mancarella,1974: 10)[4]:
Sistema napoletano: zona del Salento settentrionale
Ī > i ; Ĭ,Ē > e,i ; Ĕ > e,ié ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o,ué ; Ō,Ŭ > o,u ; Ū > u
Cerchiamo di rispondere a delle domande che inevitabilmente possono sorgere. Partendo dalla denominazione, perché si definisce sistema napoletano quando, effettivamente, stiamo parlando del dialetto salentino? Il nome si deve al fatto che questo sistema vocalico si ritrova anche nel napoletano. In generale, quando si studiano i fenomeni linguistici di una lingua o un dialetto, un alleato molto utile per capire alcuni fenomeni è proprio la storia. Infatti, anche Napoli, come tutto il Meridione, è stato dominato per molti secoli sia dai Bizantini sia dai Normanni, i quali si imposero nei territori e inevitabilmente diffusero le loro parlate lasciando tracce nella tradizione linguistica. Continuiamo. Quali sono i limiti geografici del salentino settentrionale? Su questo punto potremmo dire che i territori dove si utilizza questo sistema sono: i territori del brindisino, Oria e Nardò. Dove troviamo nello schema i fenomeni linguistici? La metafonia si ha in Ĭ,Ē > e,i[5] ed in Ō,Ŭ > o,u[6] mentre la dittongazione condizionata si ha in Ĕ > e,ié[7] ed in Ŏ > o,ué[8]. Vediamo alcuni esempi: HĪLU > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pera, TĒLA > tela, SĒRA > sera, STĒLLA > stedda, PĔDEM > pete, MĔRUM > miéru, APIS > apu, RŎTA > rota, FŎCUS > fuécu, CŎRIUS > cuéru, NŎVUS > nuéu, BŎNUS > buénu, CŌDA > cota, VŌCEM > oce, SŌL > sole, SŌLUS > sulu, BŬCCA > occa, VŬLPE > orpe, CRŪDUM > crutu.
Sistema di compromesso: zona del Salento centrale
Ī,Ĭ,Ē > i ; Ĕ > e,ié ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o,ué ; Ō,Ŭ,Ū > u
Anche qui cerchiamo di dare delle risposte. Innanzitutto, questo sistema viene definito di “compromesso” in quanto trovandosi nel mezzo tra quello settentrionale e quello meridionale prende tratti vocalici sia da uno sia dall’altro sistema. Il sistema vocalico centrale si può incontrare nel leccese e a differenza di quello settentrionale non presenta casi di metafonia, bensì casi di dittongazione condizionata in Ĕ[9] ed in Ŏ[10]. Alcuni esempi sono: HĪLUM > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pira, TĒLA > tila, SĒRA > sira, STĒLLA > stidda, PĔDEM > pete, MĔRUM > miéru, APIS > ape, RŎTA > rota, FŎCUS > fuécu, CŎRIUS > cuéru, NŎVUS > nuéu, BŎNUS > buénu, CŌDA > cuta, VŌCEM > uce, SŌL > sule, SŌLUS > sulu, BŬCCA > ucca, VŬLPE > urpe, CRŪDUM > crutu.
Sistema siciliano: zona del Salento meridionale
Ī,Ĭ,Ē > i ; Ĕ > e ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o ; Ō,Ŭ,Ū > u
La zona del salentino meridionale comprende tutti i territori all’interno della linea immaginaria che va da Gallipoli-Maglie-Otranto fino al capo di Santa Maria di Leuca. Questo sistema si definisce di tipo “siciliano” per la sua vicinanza al dialetto siciliano, anch’esso costituito da 5 vocali e privo di fenomeni linguistici. Inoltre, prima di procedere con l’esemplificazione, è bene sapere che tale sistema è fonte di grande interesse da parte degli studiosi, i quali ritengono che proprio la presenza del sistema penta vocalico nelle zone del estremo Salento, nel centro Calabria e in alcune zone della Sicilia, possa essere la prova di un’antica unità linguistica del Meridione. A tal proposito, Parlangeli afferma che “il dialetto salentino continua una fase arcaica di una comune unità linguistica meridionale in quanto si è sviluppato in una regione d’antica romanizzazione” (Mancarella, 1974: 70). Il sistema di tipo arcaico, così come definito, deriverebbe da una koiné dialettale[11] originatasi dall’antica lingua osca che era ben diffusa in tutto il centro-meridione prima dell’arrivo dei Romani. Il fatto stesso che la zona del Salento meridionale abbia conservato questo sistema confermerebbe l’idea che le innovazioni linguistiche portate dai Bizantini e dai Normanni si infiltrarono gradualmente dal nord fino alla zona centrale del Salento, lasciando così il Meridione isolato da tali cambiamenti (Mancarella, 1998: 280-281).Vediamo alcuni esempi: HĪLUM > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pira, TĒLA > tila, SĒRA > sira, STĒLLA > stidda, PĔDEM > pete, MĔRUM > meru, APIS > ape, RŎTA > rota, FŎCUS > focu, NŎVUS > nou, BŎNUS > bonu, CŌDA > cuta, VŌCEM > uce, SŌL > sule, SŌLUS > sulu, BŬCCA > ucca, VŬLPE > urpe, CRŪDUM > crutu.
Vocalismo atono
Un altro aspetto dell’analisi sul vocalismo salentino verte su quello atono. Per vocalismo atono si intende il comportamento delle vocali atone (quelle su cui non ricade l’accento) sia in posizione iniziale, intertonica e finale. Per capirci meglio, ci siamo mai chiesti perché nel brindisino si dica lu pani, invece nel leccese lu pane?. Ecco, quindi, che per comprenderne la differenza dobbiamo analizzare il vocalismo atono. Vediamo di seguito i diversi sistemi:
Zona del Salento settentrionale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > i ; Ā,Ă > a ; Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
Dallo schema possiamo vedere come tutte le vocali atone latine in Ī,Ĭ,Ē,Ĕ danno come risultato i. Ad esempio: FORĪS > fori, PĀNIS > pani, SEMPĔR > sempri, FACĔRE > FARĔ > fari, MĂRĔ > mari, VĪCĪNUM > vicinu, FĔNESTRA > finešša , NĔPŌTIS > nipute.
Zona del Salento centrale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > e ; Ā,Ă > a ; Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
Per quanto riguarda il vocalismo atono del salentino centrale possiamo notare la differenza con quello settentrionale nel comportamento di Ī,Ĭ,Ē,Ĕ. Infatti, le vocali latine danno sempre e. Ad esempio: FORĪS > fore, PĀNIS > pane, SEMPĔR > sempre, FARĔ > fare, MĂRĔ > mare, VĪCĪNUM > bbešinu, FĔNESTRA > fenešša, NĔPŌTIS > nepute.
Zona del Salento meridionale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > i,e ; Ā,Ă > a ; Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
Generalmente nel sistema vocalico atono del salentino meridionale le vocali latine Ī,Ĭ,Ē,Ĕ possono dare sia i sia e. Tuttavia, un tratto abbastanza diffuso in questa zona è quello di pronunciare le stesse vocali in a. Per esempio: PĔNSABAM > pansava, FĔNESTRA > fanešša, NĔPŌTIS > napute.
Consonantismo
L’ultimo aspetto fonetico-fonologico del dialetto salentino riguarda le consonanti e la loro pronuncia. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un panorama abbastanza variegato e pieno di casi particolare. Tuttavia, seguendo lo studio condotto da D’Elia ne Ricerche sui dialetti salentini (1957) in Mancarella (1974: 109-118), è possibile avere una panoramica dei diversi fenomeni consonantici che occorrono nelle diverse zone del Salento:
- Occlusiva velare sorda –C- ([k]): si mantiene nel Salento meridionale e settentrionale (ĂPŎTHĒCA > putèca), mentre scompare in quello centrale (putèa).
- Occlusiva velare sonora – G- ([g]): si pronuncia k se seguita da a,u nel salentino meridionale e centrale (GUSTŬS > kustu, GALLŬM > kaḍḍu), mentre in quello settentrionale se in posizione iniziale e seguita da a si converte in i (GALLŬM > iaddu), se invece è seguita da o,u cade (it. GUARDO > wardu).
- Occlusiva dentale sonora –D- ([d̪]): in posizione intervocalica si pronuncia come sorda [t] (PĔDEM > pete).
- Gruppo –LL: si pronuncia come cacuminale ḍḍ ([ɖ]) in tutto il salentino centrale e meridionale, ad eccezione di quello settentrionale dove il suono è una dentale dd (CĂBALLUS > cavaḍḍu / cavaddu). Tuttavia, troviamo casi particolari di pronuncia cacumiale nel neretino.
- Gruppo –TR: il suono è cacuminale [ṭṛ] nel salentino centrale e meridionale, mentre nel salentino settentrionale è una dentale [tr] (PĔTRA > peṭṛa/petra).
- Gruppo –STR: nel salentino centrale e meridionale è molto frequente la palatalizzazione in šš ([ʃ:]) mentre nel salentino settentrionale questo fenomeno è abbastanza irregolare (NOSTRUM > noššu/nuéstru).
- Gruppo –ND- y –MB: si tratta di due gruppi ai quali l’assimilazione è alquanto irregolare. In alcuni casi si mantengono (QUANDŌ > kuandu, PLUMBUM > kiumbu), in altri si assimilano entrambi (QUANDŌ > kuannu , PLUMBUM > kiummu).
- Gruppo: BR: generalmente si mantiene però in alcuni casi si pronuncia vr o r (BRACHIUM > bracciu/ vrazzu/razzu).
- Gruppo CR: generalmente si mantiene però, soprattutto nel salentino centrale e meridionale, è possibile che la occlusiva [k] cada (CRASSUS > crassu/rrassu).
- Gruppo GR: si mantiene nel salentino meridionale e settentrionale, mentre dà solo r nel salentino centrale (GRĀNUM > granu/rranu).
- Gruppo ALC: nel salentino settentrionale dà –aṷč– mentre in quello centrale e meridionale troviamo diverse soluzioni come –ṷče– ğğe – š – ṷğğe– (CALCEM > kaṷče, kağğe, kaše, kaṷğğe).
- Gruppo NG + E,I: può sia rimanere sonoro sia prendere il suono [č] (MANDŪCĀRE > it. mangiare > mančiare).
Conclusioni
Dall’analisi condotta è stato possibile rispondere ai quesiti posti all’inizio dell’articolo e in particolar modo si sono potuti osservare i tratti tipici del dialetto salentino in tutte le sue varianti. E’ stato possibile avere un quadro generale di come il nostro modo di parlare si diversifichi in base alla zona geografica in cui ci troviamo e capire che il perché di tali differenze è da ricercarsi molti secoli addietro. Inoltre, vorrei esortare i lettori a non prendere quest’analisi come un qualcosa di totalmente fisso ed invariabile. Per intenderci, gli schemi rappresentano i tratti generali dei tre sistemi nelle rispettive zone linguistiche ma ciò non esclude il fatto che si possono incontrare dei casi in cui i tratti di una zona linguistica si ritrovino anche in quella limitrofa. Inoltre, quando si trattano temi riguardanti i dialetti italiani, bisogna sempre tenere in considerazione la componente della lingua italiana che ha una fortissima influenza sui parlanti, soprattutto tra i più giovani, e ciò ha provocato un ulteriore, permettetemi il termine, imbarbarimento del vernacolo, modificandone così non solo i tratti fonetico-fonologici ma anche quelli lessicali. In definitiva, gli esempi presentati sono utili per spiegare i fenomeni generali di ciascuna delle zone linguistiche osservate e servono ad affermare che il dialetto salentino è figlio del latino volgare.
Bibliografia
Mancarella, G.B.,(1974), Note di storia lingüística salentina, Lecce, Edizioni Milella.
Mancarella, G.B., (1998), Salento. Monografia regionale della Carta dei dialetti Italiani, Lecce, Edizioni del Grifo.
[1] Per romanizzazione si intende il processo mediante il quale i Romani, una volta conquistato un determinato territorio, importavano la loro cultura e religione diffondendole in maniera non coatta. In un certo senso era un orchestrato ricatto psicologico in quanto non si forzava la popolazione vinta ad aderire alla cultura romana però solo chi decideva romanizzarsi poteva godere dei benefici sociali, mentre chi si rifiutava rimaneva ai margini della società. Per latinizzazione, invece, ci si riferisce prettamente al processo linguistico di diffusione della lingua latina per scopi puramente ufficiali, cioè come mezzo per poter controllare dal punto di vista politico e militare le innumerevoli provincie.
[2] Gli antichi abitanti del sud della Iapigia, insieme ai Peucezi al centro e i Dauni al nord.
[3] La lingua osca era una lingua italica diffusa nel centro-meridione prima ancora del latino.
[4] G.B. Mancarella ,(1974), Note di storia lingüística salentina, Lecce, Edizioni Milella
[5] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre danno i quando è I-U.
[6] Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre danno u quando è I-U.
[7] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ié quando è I-U
[8] Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ué quando è I-U.
[9] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ié quando è I-U
[10]Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ué quando è I-U
[11]Dal greco κοινὴ διάλεκτος “lingua comune”.
Articolo molto interessante , mi ha dato le risposte che mi ponevo da anni, e cioè perché gli abitanti di due paesi che abitano a brevissima distanza , si pensi Galatone e Nardò ,fra loro usano nel loro dialetto
Parole che hanno uguale significato ma pronunciate in modo diverso. Complimenti
Grazie per il suo commento e sono veramente lieto di averle dato risposta alle sue domande.
Complimenti per questo fantastico lavoro, Giammarco. È bello vedere che cè ancora chi si occupa di studiare i dialetti e di non lasciarli morire. Grazie!
Grazie. Cito il grande scrittore Camilleri che sul dialetto affermava: Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto”. Un saluto.
Articolo indubbiamente interessante, ma difficile per i non addetti
Grazie per il suo commento. Oggettivamente la parte riguardante gli aspetti linguistici può essere di difficile interpretazione. Tuttavia, per i meno addetti, è utile seguire la breve linea storico cronologica proposta per dare riposta alle possibili domande che possono sorgere sul perché di tali differenze nelle zone geografiche. Un saluto.
Grazie Sig. Giammarco per aver ricordato il Prof.Parlangeli, sono Novolese classe 47 preciso Non Addetto, anni fà conobbi l’amico Oronzo Parlangeli Nato a Novoli (Lecce) il 10 marzo 1923, scomparve molto giovane l’1 ottobre 1969, all’età di 46 anni, in seguito a un incidente stradale nei pressi di (Rieti).Anche a Novoli seguendo le orme del nostro concittadino Dialettologo succede che moltissime parole le pronunciamo in modo diverso dai paesi limitrofi, forse come diceva Pirandello: il dialetto di una cosa esprime il sentimento.
Un cordiale saluto da Torino Ersilio Teifreto
Grazie Giammarco, per il tuo post, mi auguro che in seguito posterai un approfondimento sulla diversita’ lingustica del Salento, molti sono I temi da trattare.