di Mirko Belfiore
Incastonata fra la moderna via Cairoli e l’antica via San Luca, nel quartiere della Maddalena, trova sede uno dei più antichi templi cristiani della città di Genova: la Basilica di San Siro.
Eretta, secondo la tradizione, intorno al IV secolo d.C. su un luogo di culto già dedicato ai Dodici Apostoli, fu la prima cattedra vescovile della città fino a quando la sede non venne spostata presso la Cattedrale di San Lorenzo (X secolo). Ospita le spoglie di uno dei santi più cari della tradizione cittadina: il vescovo San Siro (IV secolo) e leggenda vuole che lo stesso abbia scacciato da un pozzo il temibile “Basilisco”, una creatura mitologica che con la sua presenza atterriva i genovesi; metafora di quella lotta all’eresia ariana, allora imperante, che l’Episcopo intraprese durante il suo governo e che gli valse la riconoscenza dei suoi fedeli e l’intitolazione della suddetta chiesa.
Superata la soglia dell’imponente portale d’ingresso neoclassico opera dell’architetto genovese Carlo Barabino, si viene subito catturati dalla complessità decorativa delle superfici, uno dei massimi esempi del Barocco genovese e frutto di una ricostruzione avvenuta dopo il terribile incendio del 1580.
L’immenso ambiente scandito da una serie di imponenti colonne binate e suddiviso in tre navate, affascina non solo per la magnificenza della cupola e delle ampissime volte, rivestite da affreschi, stucchi e fregi, opera della bottega dei Carlone (1650-1670) ma anche per l’ampio presbiterio dove, in tutta la sua raffinatezza, si erge l’altare maggiore realizzato dal francese Pierre Puget (1670), realizzato in bronzo e marmo nero. Considerevole poi, la successione di cappelle nobiliari e imponenti statue di apostoli che si stagliano lungo i lati delle navate minori e che nel ricco corredo artistico portano la firma di famosi artisti della scena seicentesca genovese e non: Taddeo Carlone, Gregorio de Ferrari, Orazio de Ferrari, Orazio Gentileschi, Domenico Fiasella, Aurelio Lomi, Domenico Piola e Andrea Semino.
Queste molteplici tombe gentilizie erano riservate alle principali famiglie patrizie della città (Centurione, Grimaldi, Invrea, Lomellini, Pallavicini, Pinelli, Serra e Spinola), le quali contribuirono profumatamente alla decorazione artistica della Cattedrale, ricevendo in cambio l’assegnazione di questi spazi tramite un giuspatronato (sistema di privilegi e oneri concessi dall’autorità ecclesiastica).
Una di queste fu concessa nel 1599 alla famiglia Imperiale e divenne subito il luogo di sepoltura della dinastia. Fra i molti membri che quivi trovarono sepoltura ricordiamo: Gian Giacomo, facoltoso banchiere e Doge di Genova nel biennio 1617-1619, il figlio Gian Vincenzo, illustre collezionista e celebrato poeta, e Francesco Maria, Senatore della Repubblica e Doge nel biennio 1711-13.
La cappella nobiliare, posta subito alla sinistra del varco d’accesso, si presenta come uno spazio non troppo ampio ma dall’ambientazione intima e raccolta. Essa è introdotta da una massiccia balaustra e da una coppia di imponenti colonne in marmo arabesco di Carrara, su cui poggia un architrave spezzato con mensole aggettanti, al centro del quale si inserisce lo stemma gentilizio della famiglia. L’intera superficie interna è rivestita da un diffuso rivestimento lapideo, caratterizzato da compositi intarsi marmorei che riprendono fedelmente gli stilemi baroccheggianti dell’edificio.
All’interno, altre due eleganti colonne corinzie in marmo nero di Portovenere sorreggono un imponente architrave spezzato, manufatto che trova solide basi su compatti parallelepipedi dalla bicromia B/N, collegati a un ampio altare in marmo. Nell’incavo creatosi, un piccolo podio accoglie uno dei tre putti posti in alto che insieme ai restanti due, posti ai lati, vanno a comporre un elegante gruppo statuario. Un pregevole motivo a dentelli decora sia l’architrave centrale che le mensole poste ai lati mentre alcuni fregi si diffondono su tutta la superficie emergendo sottoforma di cartigli, volute e arricci.
Sui profili angolari, il prospetto è scandito da una nicchia posta a mezza altezza, dove probabilmente trovava posto un’opera d’arte, e da un piccolo portale cieco inquadrato da greche e bassorilievi dalle linee sinuose.
L’intero paramento marmoreo fu messo in opera dagli artisti Battista Orsolino e Domenico Solaro mentre l’unica opera artistica presente, un olio su tela, venne realizzata nel 1605 dai fratelli Agostino e Giovanni Battista Montanari, i quali rappresentarono le concitate fasi del martirio di San Matteo, ucciso in terra etiope per mano di un sicario inviato dal re Irtaco. Ciò che più addolora è sicuramente la perdita senza possibilità alcuna di recupero degli affreschi e degli stucchi che impreziosivano la piccola volta a botte della cappella, opera dell’artista Bernardo Castello (primi decenni del XVII), molto attivo nelle commissioni della famiglia Imperiale. Questi realizzò una serie di riquadri con tematiche inerenti alle storie della “Sacra Famiglia”, irrimediabilmente danneggiati da una delle frequenti incursioni aeree intercorse durante la Seconda guerra mondiale e che sconvolsero Genova fra il 1940 e il 1945.
Veramente interessante vedere come riusciamo a diffondere una cultura della storia del nostro Paese.
Veramente NON riusciamo più a diffondere Cultura, siccome troppo presi dallo stress della comunicazione in luogo della preventiva meditazione.