di Mirko Belfiore
In questi insediamenti gli Imperiale seppero lasciare un’impronta del loro operato con risultati artistici oggi ancora apprezzabili e che corrispondono, in parte, a quel “consumo ostentativo” di cui tutta l’area salentina ne fu caratterizzata in molti dei suoi centri più prestigiosi.
Una delle particolarità principali di quest’area sta proprio nel fatto che i profitti di un’agricoltura fortemente commercializzata, basti pensare alla produzione olearia o vinicola, venivano reinvestiti in una “nuova visione feudal-aristocratica della vita” che andò affermandosi a cavallo fra Seicento e Settecento, quando vengono ridisegnate le nuove residenze nelle città e i castelli si ingentiliscono con arredi e decorazioni.
Qui emerge con una certa consistenza una gusto nuovo nell’adibire a palazzo gli antichi manieri fortificati, già usanza in passato, ma che divenne un metodo ancora più in voga presso l’aristocrazia, fra il XVI e il XVII secolo. Le grandi famiglie nobiliari sentono il bisogno di vivere in maniera più consona alla propria condizione e se in principio si accontentano di far restaurare gli antichi manieri, ormai provati da numerosi assalti, terremoti e dall’usura degli anni, ora commissionano restauri sostanziosi che trasformano le strutture in un ibrido fra castello e palazzo.
Nell’elenco degli aristocratici stilati dal Labrot, fra coloro che nelle varie parti del Regno adottano questa soluzione, compaiono gli stessi Imperiale. Effettivamente gli stessi lasciarono traccia oltre che a Francavilla anche nelle altre dimore usate periodicamente per caccia o villeggiatura (Avetrana, Carovigno, Massafra, Latiano, etc.) seguendo il gusto dell’epoca e traducendo l’immagine lussuosa degli edifici napoletani nelle proprie residenze con interessanti risultati artistici di cui possiamo farci un’idea anche tramite l’analisi degli inventari pervenuteci.
Un progetto concretizzatosi anche alla luce di quei rapporti con Napoli dove i più importanti feudatari avevano residenza stabile e da dove giungeva in periferia un modello che poteva essere replicato. In ambito pittorico, per esempio, la frequentazione diretta delle botteghe napoletane dei grandi artisti poteva tradursi nell’acquisto sia di quadri opera del pittore affermato quanto dei più bravi allievi presenti, con la possibilità di splendere qualcosa in meno.
D’altro canto, e il caso di Domenico Carella e della bottega dei Delli Guanti a Francavilla ha fatto scuola, la strategia di valorizzare gli stessi pittori locali salentini, i quali avevano avuto modo di formarsi a Napoli nelle stesse botteghe, poteva restituire opere d’arte dalla resa più che discreta e al passo con i grandi nomi della scuola napoletana.
Tutto ciò si tradusse in un collezionismo dai risvolti multipli, inteso sia come scelta ponderata e consapevole, finalizzata all’acquisto di opere legate da una tendenza o da un filo coerente quanto alla semplice realizzazione di ricche quadrerie, dove spesso le scelte se non erano casuali, erano dettate da oscillanti motivi di moda, convenienza, gusto e, probabilmente, anche da assembramenti ereditari.
Il più importante di questi elenchi di opere riguardante gli Imperiale è sicuramente quello redatto nel 1735 per conto di Michelle III. La lista ben ci delinea la cospicua collezione d’arte di proprietà del nobiluomo, la quale era costituita da più di 400 pezzi fra opere d’arte di ogni genere e oggettistica di pregevole fattura.
Nella sezione “quadri diversi” molte delle tele rimandano ai grandi nomi della scuola veneta, molto apprezzata, e replicata anche sotto forma di copie dagli originali (come in uso all’epoca) come il Veronese, il Tiziano, il Bassano e il Salviati di cui la Terra d’Otranto come buona parte della costa adriatica fu terra d’approdo per la folta presenza di mercanti veneziani. In aggiunta troviamo i grandi artisti napoletani come il Solimena, il Giordano, il de Matteis, il Pacecco de Rosa o Jusepe de Ribera e una piccolissima sezione dedicata agli esponenti della scuola romagnola come il Guido Reni.
Di questa celebrata collezione sappiamo che il nipote Michele IV Juniore la trasferì in blocco a Napoli presso palazzo Cellamare, sontuosa dimora napoletana sita in via delle Chiae, e di proprietà della nobildonna Costanza Eleonora Giudice, vedova di Giovan Francesco, affittata fin dal 1755 dall’Imperiale per una cospicua somma di ducati. Di questa collezione, alla morte del Principe, sappiamo che venne smembrata e in parte venduta dagli eredi, nella fattispecie dal cugino Vincenzo Imperiale e di cui una piccolissima parte possiamo ancora ritrovarla nel nucleo principale della pinacoteca di palazzo Imperiale a Latiano.
(continua)
Per la prima parte:
Gli Imperiale e le loro residenze in Terra d’Otranto (prima parte)
Con riferimento alle opere d’arte presenti nella sede Napoletana degli Imperiali al museo nazionale di Napoli, sulla scalinata che porta al primo piano vi è una scritta che ricorda come il museo è stato fondato partendo dalla collezione delle opere presenti a Palazzo Francavilla (o Cellamare).
Mi scuso per la risposta un pò tardiva e la ringrazio del commento.
Sarei molto curioso di approfondire questa sua affermazione perchè mio malgrado non nè ero per nulla a conoscenza.
Sapevo dell’esistenza di una collezione conservata nel palazzo Francavilla (Cellamare) ma non pensavo fosse confluita in un museo di Napoli. Una curiosità, esattamente di che Museo parliamo ?
grazie mille
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Se vuoi maggiori chiarimenti chiamami al fisso. Lo trovi con pagine bianche a Francavilla.
Con riferimento alla residenza napoletana degli imperiali (Palazzo Cellammare) o Francavilla a Napoli, in libreria vidi un libro completamente dedicato alla residenza degli Imperiali.
Ho trovato informazioni relative alla collezione e si parla di molti documenti, qualche contributo ecobomico e alcune statue confluite nel Museo.
Trovo comunque lo spunto molto interessante e da approfondire.
Grazie mille