di Sandro D’Alessandro
Piccole storie di piccoli Gechi alla ricerca di una vitamina
Ma, alla luce delle possibilità dell’affine Geco comune di cambiare colore non solo nel senso del melanismo, ma di un vero e proprio considerevole mimetismo, appare più che plausibile l’ipotesi (suffragata peraltro dalla foto riportata) che il Geco di Kotschy sia dotato anch’esso, e forse a maggior ragione, di potenzialità mimetiche di alto livello.
Nel caso del Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), con la cautela che accompagna chi fa delle affermazioni inedite, riportai che, più che di un melanismo che procede di pari passo all’aumento della luminosità, si potesse parlare al contrario di una riduzione della pigmentazione in concomitanza di ridotte illuminazioni (in condizioni di ridotta luminosità il corpo di questo Geco, specie se si tratta di un individuo giovane, appare quasi trasparente). Ma si trattava ragionevolmente di un eccesso di prudenza, dato che in questo Geco la depigmentazione non si limita a far assumere all’animale un colore semplicemente più chiaro, ma si spinge ben più oltre, fino a rendere evidenti gli organi interni; è poi la possibilità del piccolo Sauro di assumere una colorazione differente a rendere meno visibili i suoi organi interni. Ciò indica senza dubbio una capacità di cambiare colore di livello superiore rispetto a quella della semplice depigmentazione, per quanto in tale specie non si evidenzi una netta tendenza al mimetismo allo stesso modo che nel Geco comune.
Un Geco verrucoso, rinvenuto da chi scrive al coperto nel periodo invernale, risultò quasi privo di colorazione, al punto da rendere possibile vedere gli organi interni attraverso la pelle. Se la cosa può essere messa in relazione con le basse temperature, essa può però, forse a maggior ragione, essere connessa con le basse intensità luminose della stagione, di solito caratterizzata anche da cielo coperto, e con il fatto che l’animaletto era stato sorpreso in un pozzetto, con illuminazione pressoché assente.
Per quanto riguarda il melanismo vero e proprio, documentato per il Geco di Kotschy e rilevabile da chiunque nel Geco comune, è difficile dire se la variazione di colore sia legata in qualche modo anche alla temperatura ambientale. Di fatto, il rendersi più scuro ha fra i suoi effetti quello di assorbire maggiore radiazione calorifica, esistendo un fenomeno fisico che sancisce effettivamente una relazione diretta fra la colorazione ed il riscaldamento corporeo.
Non va però dimenticato che, almeno in apparenza, il colore scuro del Geco comune sia in relazione diretta non tanto con la temperatura ambientale, quanto con la luminosità dell’ambiente; in tal modo, la possibilità di diventare più caldo sarebbe un effetto secondario della variazione cromatica dell’animaletto.
È questa un’osservazione molto interessante, poiché non limita il discorso al solo immagazzinamento di calore (che, essendo il corpo del Geco di piccole dimensioni, oltre che dotato di numerosi elementi di dissipazione della temperatura -coda, bitorzoli, zampette, ecc.-, avrebbe effetti di breve durata e pertanto poco significativi dal punto di vista dell’efficienza metabolica dell’animale), ma si estende ad una “intelligenza di specie” che fa sì che essa adotti un comportamento avente importantissimi effetti sulla metabolizzazione della vitamina D. Il che, in un animale tendenzialmente notturno e sempre pronto a rifugiarsi all’interno di cavità oscure, è quanto di più opportuno ci possa essere.
Sorprendenti scoperte sul più comune dei Gechi: il… Geco comune
Nel Geco comune (Tarentula mauritanica) – di seguito chiamato semplicemente “Geco” – che compartecipa sia della possibilità di diventare più scuro in funzione della luminosità ambientale che della possibilità di cambiare colore nel senso di un vero e proprio mimetismo, la caratteristica della possibilità di variazione cromatica si annida in processi che sono forse più complessi rispetto a quanto avviene in altri Gechi ed avvicina in maniera alquanto singolare l’animaletto al ben più proverbiale Camaleonte.
Con questo il Geco condivide la capacità di assumere lo stesso colore del substrato sul quale l’animale si trova, o per lo meno un colore molto simile, adattando inoltre le sue tonalità a quelle dell’ambiente, del quale è in grado di riprodurre le linee, le chiazze, le sfumature.
Il colore, di norma concorde con l’ambiente, soggiace però alla regolazione cromatica del Geco in funzione della luminosità, il quale si giova, nelle giornate assolate, di un inscurimento della sua colorazione al fine dell’assorbimento di una maggior quantità di radiazioni solari, anche a scapito di un suo evidentissimo risalto sul substrato, magari molto chiaro, su cui esso si trova.
Mimetismo, melanismo o entrambi? Una speculazione su un interessante dilemma
E’ l’animale in grado di modulare la sua variazione di colore, optando per il melanismo anziché per il mimetismo? Difficile dirlo.
E’ un fatto che, quando l’illuminazione è molto bassa, è possibile rinvenire dei Gechi comuni il Geco comune pressoché candidi[1] nelle ore serali o notturne[2]. Ciò, che è stato rilevato da chi scrive su muri bianchi, avviene nelle ore notturne, come dimostra per contro la foto sopra che, scattata anch’essa su un muro molto chiara, evidenzia un Geco comune estremamente scuro alla piena luce del giorno.
E’ possibile presumere due meccanismi diversi, entrambi finalizzati alla conservazione dell’animale:
- – uno, il melanismo dovuto alle forti intensità luminose, destinato ad esplicare i suoi vantaggi nel medio e lungo termine, legato all’acquisizione di luce necessaria per il buon funzionamento della vitamina D, che svolge un ruolo fondamentale nel regolare l’omeostasi fosfo-calcica e in particolare i processi di mineralizzazione ossea, efficace rimedio contro il rachitismo, destinato a garantire la sopravvivenza dell’animale nel corso della sua vita;
- un altro, il mimetismo, con effetti nell’immediato, avente la funzione di nascondere l’animale alle potenziali prede ed ai potenziali predatori;
- una via intermedia è quella del melanismo per motivi di mimetismo, come ad esempio si verifica su tronchi dalla corteccia scura, quali ad esempio gli alberi di Olivo; in tal caso si ottiene il massimo del vantaggio per l’animale, che si trova contemporaneamente nelle situazioni ottimali, potendo massimizzare sia il metabolismo della vitamina D che il mimetismo per motivi di predazione o di protezione.
[1] Il fenomeno è, come detto, ancora più appariscente nel Geco verrucoso, che decolora la sua pelle a tal punto da permettere quasi di vedere i suoi organi interni. Va detto a tal proposito che il corpo dell’Emidattilo è, a maturità, molto meno massiccio di quello del Geco comune e che pertanto si presta a dare maggiore risalto a ciò che lo costituisce internamente, ma la sua pelle, indubbiamente molto più sottile e meno scabrosa di quello del “cugino maggiore”, gli permette di dare un ben maggiore rilievo alle differenze cromatiche (per quanto non strettamente “mimetiche”) che l’animale manifesta.
[2] La cosa va in direzione opposta a quanto rilevato in altre occasioni, in cui l’assunzione di colore da parte dell’animale risente del colore di ciò che appare nel suo campo visivo: di sera il Geco vede colori molto scuri, ma in questo caso l’animale non sembra concordare con essi.