di Sandro D’Alessandro[1]
Premessa
L’osservazione appassionata della natura può permettere a volte di rilevare dei fenomeni che non sono mai stati descritti e che non ci si sarebbe aspettati di riscontrare. È sorprendente verificare come dei processi che per loro natura ed accessibilità sono alla portata di tutti siano stati così a lungo ignorati.
In un mondo come il nostro, in cui tutto sembra essere stato codificato, come dimostra un mio articolo pubblicato nel mese di maggio del 2014[2], in cui per primo rilevai la capacità del Geco comune di mimetizzarsi, c’è ancora spazio per piccole ‘scoperte’ che rendono conto dell’immensa, variegata complessità del mondo vivente.
Ad una prima, semplificata analisi, il mondo vivente si divide in due grandi categorie: il Regno vegetale ed il Regno animale, il primo dei quali fornisce le basi necessarie all’esistenza del secondo, che non potrebbe esistere senza il primo. L’esistenza delle piante è un dato di fatto, scontato se vogliamo, che verifichiamo inconsciamente ogni qualvolta compiamo un atto respiratorio; l’esistenza degli animali è pure quotidianamente accertabile dai nostri sensi, essendo le nostre giornate interessate da una miriade di animali che, piccoli e grandi, dai cieli alla terra, sono rilevabili dai nostri sensi: Insetti, Uccelli, Mammiferi, Rettili…. In particolare l’ultima delle categorie elencate è di per sé notevole, in quanto, se è frequente leggere di Mammiferi e Uccelli che “si inurbano”, questo termine non è altrettanto spesso utilizzato per i Rettili, anzi non lo è proprio mai. Eppure, al di là delle sistematiche persecuzioni a cui i Rettili vengono sottoposti dall’Uomo ogni volta che questo vede un Ofide -il più delle volte inoffensivo-, alcuni degli appartenenti a questa troppo bistrattata categoria di animali realizzano in determinati casi con l’Uomo una vera e propria coabitazione, che giunge fino ad arrivare per alcune specie quasi a una sorta di simbiosi. Parole del genere possono suonare inaspettate, ma già ad una prima analisi ci si rende conto che non lo sono più di tanto, se si considera che il Rettile è un animale a sangue freddo che si avvantaggia dell’esposizione alla luce solare, e che quest’ultima è disponibile in maggior quantità laddove vi siano pochi elementi in grado di ombreggiare: un campo aperto, i margini delle strade, le stesse costruzioni degli Uomini…
A tutti sarà capitato di vedere, sui muri di vecchie case coloniche, animaletti che si crogiolano al sole e che sono prontissimi a rifugiarsi in qualche cavità non appena ci si avvicina ad essi; si tratta di animali assolutamente inoffensivi, la cui superficie bitorzoluta può destare in alcuni una certa ripugnanza, animali che a lungo sono stati erroneamente considerati velenosi per via di un inveterato errore di fondo (a cui sarà forse il caso di dedicare delle considerazioni approfondite in un altro contributo).
Caratteristiche poco note dei Gechi: una recentissima scoperta
Mi riferisco ai gechi, ed in particolare al Geco comune, un piccolo animale con cui tutti hanno familiarità e che si è rivelato in possesso di inattese quanto sorprendenti capacità mimetiche, che consentono di collocarlo a pieno titolo fra altri organismi ben più noti per tale caratteristica. Eppure, fino al 2014, anno in cui fu pubblicato il mio articolo “Il mimetismo nel Geco comune”, tuttora disponibile online, sorprendentemente nessuno ne aveva mai fatto menzione. Era ben nota la possibilità del Geco di effettuare un viraggio della colorazione verso toni più scuri – fenomeno che va sotto il nome di melanismo e che è differente dal ben più complesso mimetismo-, ma alla sua possibilità di cambiare colore, adattandolo a quello dell’ambiente circostante, nessuno aveva mai fatto alcun riferimento. È fin troppo facile – e mi fermo qui – ricordare a tale proposito le parole “Ci sono più cosa in cielo e in terra di quante possa comprenderne la tua filosofia” rivolte a Orazio da Amleto nell’omonima opera shakespeariana. Mi limito solo ad aggiungere che la filosofia viene sviscerata, nei suoi vari significati ed aspetti, per il semplice fatto che è sufficiente aprire un libro per farlo; l’osservazione della natura, se per fini non utilitaristici, semplicemente non viene fatta, qualora non si intravedano in questo degli spunti utili per fare carriera e/o per legare il proprio nome a qualche scoperta. Salvo poi fregiarci tutti, indistintamente, della qualifica di amanti della natura e di accorte sentinelle dell’ambiente.
Il mimetismo nel Regno animale… e nei Gechi in particolare
Il mimetismo, processo ben noto nel Regno animale, vede rappresentanti in pressoché tutte le categorie di tale Regno; senza entrare nel linguaggio tecnico, accanto a delle livree cosiddette “eclissali”, che pur non modificandosi fanno sì che l’animale si confonda nell’ambiente (femmine di variate specie di Uccelli, Felidi di macchia e di foresta, ecc.), esiste un mimetismo per così dire “dinamico”, in cui l’animale assume la colorazione dell’ambiente circostante adattando istantaneamente la propria a quella di questo.
Accanto ad un mimetismo universalmente conosciuto come quello del Camaleonte, noto al punto da essere stato preso in passato a simbolo del trasformismo opportunista, c’è un’altra categoria di animali, ad esso affini e ben più comuni, che appare in grado di cambiare colore, assumendo toni simili a quelli dell’ambiente circostante: alcuni membri della Famiglia dei Gekkonidae.
Nell’ambito di tale Famiglia, ben quattro specie vivono in Italia; di queste, almeno tre, ossia il Geco comune (Tarentula mauritanica), il Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus) ed il Geco di Kotschy (Cyrtopodion kotschyi o – per indicarlo con il nome, oramai desueto, che gli fu assegnato dal suo classificatore, il grande Theodor Kotschy, “Cyrtodactylus” kotschyi) sono in grado di cambiare colore.
Sulla quarta specie, il Tarantolino (Euleptes europaeus) chi scrive non ha alcuna notizia al riguardo, ma non ha nessuna difficoltà ad immaginare che non ci sia nessun motivo per cui questa specie si differenzi dalle altre tre in merito alla sua possibilità di effettuare un qualsiasi cambiamento di colore.
Gechi, “Tarantole”, Camaleonti….
Malgrado tutto quanto esposto prima in merito alla diffusione ed alla facile accessibilità a questi animaletti da parte dell’Uomo, a dire il vero, ed a dirlo tutto, neanche sulle altre tre specie sopra enunciate fu possibile a chi scrive reperire nei canali ufficiali la minima notizia al riguardo: era possibile, all’epoca, (parlo di soli sei anni fa) possibile rinvenire solo dei semplici accenni ad un possibile melanismo “indotto” dalle elevate luminosità nel Geco di Kotschy.
Ciò non potè che spingermi a fare l’osservazione – doverosa – che, mentre il Camaleonte era universalmente riconosciuto per le sue incredibili possibilità di mimetizzarsi, poco o niente si sapeva dei Gechi, di questi umili animaletti così strettamente ed incredibilmente associati – anche a livello etimologico – alla Tarantola, al punto da essere ancora, nella terminologia corrente, tuttora confusi con essa.
Così, in assenza di documentazione “ufficiale” che lo attestasse, chi scrive, che aveva avuto in svariate occasioni la possibilità di osservare e di documentare fotograficamente la variabilità cromatica del Geco, trovò quanto meno singolare il fatto che queste piccole creature, talmente comuni da essere considerati banali, avessero delle incredibili quanto inattese – e sorprendenti! – capacità di cambiare colore, e non solo: ancora più singolare trovò che tale caratteristica non fosse documentata.
L’excursus personale sull’argomento, in merito all’interesse per questa categoria di animali ed a quanto ad essa correlato, nacque in concomitanza delle mie personali ricerche a proposito del Camaleonte salentino, quando mi resi conto delle strane concordanze fra l’areale di questo e quello di uno dei quattro Gechi italiani, il “Cyrtodactylus” kotschyi, organismo la cui peculiare diffusione fu da me analizzata per ipotizzare un processo di importazione similare, ma per certi versi ben differenziata, a quello ipotizzato per il Camaleonte.
Il Geco di Kotschy, un italico endemismo salentino (e di Matera)
Da queste strane considerazioni in merito alla possibile importazione a partire dalle coste mediterranee orientali derivò il mio interesse per il piccolo Geco di Kotschy (che tuttora, malgrado i miei molteplici tentativi, finora non sono mai riuscito a vedere di persona); questo strano Geco dalle dita prive di ventose e dalle caratteristiche più simili a quelle delle Lucertole che a quelle dei Gekkonidae, al punto da formare, in alcune isole greche, colonie insieme alla Podarcis milensis, la Lucertola di Milo, con la quale condivide l’habitat, le prede, il territorio e persino l’etologia.
Di questo termofilo Geco che, forse a causa delle sue apparentemente scarse possibilità di salire su muri completamente lisci – è privo di cuscinetti adesivi, avendo delle zampe in tutto e per tutto simili a quelle delle Lucertole – si trova meno frequentemente nei pressi delle abitazioni umane.
A proposito di questo Geco è accennata in letteratura la capacità di cambiare colore, che tende al nero in corrispondenza delle ore più luminose della giornata; a parere di chi scrive, potrebbe sì trattarsi di una variazione legata alla sola termoregolazione (fatto che potrebbe risultare anche controproducente ai fini di un’eventuale mimetizzazione dell’animale, rendendolo spesso ben più appariscente che non se fosse rimasto con la livrea pressoché “eclissale” che lo caratterizza quando non diventa scuro).
Ma potrebbe più probabilmente, alla luce delle considerazioni che saranno fate da qui a breve, trattarsi di un fenomeno, ben più complesso, molto vicino a quello descritto in queste pagine per il Geco comune.
Nel caso del “Piccolo Geco dei muretti a secco” (così si intitolava un mio articolo, presente online per diversi anni e attualmente non più disponibile, sul Geco di Kostschy), qualora limitato ad un semplice melanismo, questa caratteristica non apporterebbe infatti, presumibilmente, alcun vantaggio in fase predatoria, in quanto il colore nero risalta notevolmente sul colore chiaro dei susbstrati, siano essi sassosi o murari, di calcarenite (fatto questo che il che lo renderebbe ben visibile da parte delle prede e, allo stesso modo, dei predatori). Un aiuto in tal senso certamente viene al “Cyrtodactylus” dall’essere più veloce e meno flemmatico degli altri Gechi, tanto che esso riesce a sfuggire ai predatori ed a rincorrere le prede con un’efficienza tale da annullare gli eventuali effetti sfavorevoli derivanti da un’eccessiva visibilità.
(continua)
[1] Sandro D’Alessandro, residente a Brindisi, laureato in Scienze Forestali, è autore dei libri La Vallonea Quercia di Chaonia – un viaggio nell’ecologia, nella storia e nella mitologia della Falanida salentina. albero delle civiltà mediterranee, Il Serpente simboli miti etologia – dalla Sacara con le corna al Malpolon in Terra d’Otranto e Il Lupo e altri Lupi – Il Lupo di Gubbio e la Bestia di Gevaudan, il Lupo cerviero e la Lonza, nonché coautore di altri libri a firma di svariati autori e di numerose pubblicazioni, tutte a sfondo naturalistico, pubblicate su riviste sia cartacee che telematiche del settore naturalistico-ambientale.
[2] S. D’Alessandro, Il mimetismo nel Geco comune, in “Silvae”, Rivista tecnico-scientifica del Corpo Forestale dello Stato, maggio 2014, poi su “Natura”, Rivista dell’Arma dei Carabinieri, http://www.carabinieri.it/editoria/natura/la-rivista/home/tematiche/ambiente/il-mimetismo-nel-geco-comune