di ArmandoPolito
Credo che, se questa domanda fosse posta a chi è mio conterraneo o a chi non lo è, quasi tutti risponderebbero: – Salentini, no? -. E io ribatterei: – Perché?-. La risposta, questa volta, sarebbe forse più scontata della prima: – Perché è da Salento e non da Sallento -.
Eppure, se cercate nell’Enciclopedia Treccani on line (http://www.treccani.it/enciclopedia/sallentini/) non troverete la voce Salentini, ma digitando Sallentini apparirà la schermata che riproduco.
Perché questa secondarietà di Salentini rispetto a Sallentini, tanto da renderne impossibile il reperimento diretto? E perché, se anziché nell’enciclopedia cerco nel vocabolario, sempre on line (http://www.treccani.it/vocabolario/salentino/) non trovo nulla per sallentino e invece compare quanto segue per salentino?
La spiegazione dell’apparente contraddizione sta anzitutto nella natura prevalentemente scientifica di un’enciclopedia rispetto ad un comune vocabolario e nello specifico tutto è dichiarato nell’antica che accompagna la definizione di Sallentini.
La sfortuna sembra accanirsi contro di noi perché, contrariamente al solito (potete provare con altri nomi propri), l’enciclopedia non mi propone alcun etimo, mentre il vocabolario mi dà il Salentinus, anche, se più correttamente, sarebbe dovuto essere Salentinu(m), che essendo un etnico, cioè un nome di popolo (comunque un aggettivo derivante da un nome proprio), suppone la derivazione da un toponimo, nel nostro caso Salentum.
Trasferendo il processo alla voce dell’enciclopedia, ci saremmo aspettato di leggere: da Sallentum o Salentum. Dico subito che né Sallentum né Salentum è attestato da qualche fonte1, mentre l’etnico Sallentini o Salentini lo è ampiamente, ma nel modo che segue (riporto gli autori in ordine cronologico e nella tradizione manoscritta più accreditata):
SALLENTINI
Polibio (II a. C.), Storie (in greco), frammento citato da Plinio (vedi più avanti) in Naturalis Historia, III, 5, 75.
Il Sallentinos che vi compare, però, non è detto che corrisponda ad un originale greco Σαλλεντίνους (leggi Sallentìnus) e non Σαλεντίνους (leggi Salentìnus), tanto più che nella Naturalis Historia Plinio usa costantemente la forma con doppia l.
Varrone (I a. C.), De re rustica, I, 24, 1 e II, 3, 10
Virgilio (I a. C.), Eneide, III, 400
Sallustio (I a. C.), Storie (per tradizione indiretta: citato da Servio (IV-V d. C.)nel suo commento al passo dell’Eneide di Virgilio prima citato)
Ovidio (I a. C.-I d. C.), Metamorfosi, XV, 51
Livio (I a. C.-I d. C.), Ab urbe condita, IX, 42, 4; X, 2, 1; XXIII, 48, 3; XXIV, 20, 16; XXV, 1, 1; XXVII, 15,4; XXVII, 22, 2; XXVII, 36, 13; XXVII, 40, 10
Mela (I), Chorographia, II, 59; II, 68
Plinio (I), Naturalis historia, II, 107, 240; III, 5, 38; III, 11, 9; III, 11, 104; III, 11, 105; III, 23, 145; XV, 4, 20
Silio Italico (I), Punica, VIII, 573
Frontino (I-II), Stratagemata, II, 3, 21
Floro (II), Epitome delle Storie di Tito Livio, I, 15
Festo (II), De verborum significatu, frammenti alle pp. 196 e 441 dell’edizione Lindsay
Solino (III), Memorabilia, 2, 10
Eutropio (IV), Breviarium ab Urbe condita, II, 17
Macrobio (IV-V ), Saturnalia, III, 20, 6
Servio ((IV-V ), Commento all’Eneide di Virgilio, III, 121); Commento alle Georgiche di Virgilio, IV, 119
Marziano Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, VI, 639
Giulio Capitolino (V?), Vita di Marco Aurelio Antonino il Filosofo (in Historia Augusta, 1, 8)
Scholia Bernensia in Vergilii Georgica (VII-IX), III, 1
Stefano Bizantino (V-VI), Ethnica (in greco), alla voce Σαλλεντία (leggi Sallentìa)
SALENTINI
Varrone (I a. C.), frammento delle Antiquitates rerum humanarum citato dallo Pseudo Probo (probabilmente V d. c.), nel suo commento alle Bucoliche (VI, 31) di Virgilio, ma il Salentini che vi compare contrasta con il Sallentini usato, come abbiamo visto, da Catone nel De re rustica e non appare, dunque, come voce originale attendibile.
Dionigi di Alicarnasso, ( I a. C.), Antichità romane (in greco), I, 51, 3
Verrio Flacco (I a. C.-I d. C.), citato da Festo (II) nel De verborum significatu
Strabone (I a. C.-I d. C.), Geographica (in greco), VI, 3, 1; VI, 3, 5
Tolomeo (II), Geografia (in greco), III, 11 ; III, 67
Tabula Peutingeriana (la redazione originale risale al IV secolo), VI 5- VII 2)
Jordanes (VI), De summa temporum vel origine actibusque gentis Romanorum, 161
Guidone (XII), Geographica , 28 (citando Virgilio, Eneide, III, 400) e 67
Quanto finora riportato mostra la prevalenza della forma con una sola l negli autori greci, di quella con due nei latini e nella statistica globale. Per quanto riguarda la cronologia il primato spetta ai greci con Polibio, pur con tutti i limiti della tradizione indiretta di cui s’è detto. Se escludiamo Polibio, il conto, dal punto di vista cronologico, è pari, essendo dello stesso periodo Dionigi di Alicarnasso da una parte e Varrone, Virgilio e Sallustio dall’altra.
Conclusioni: Salentini e Sallentini appaiono entrambe forme corrette e in ambito scientifico l’uso dell’una o dell’altra potrebbe essere ispirato, più che dalla maggiore simpatia riservata alla cultura greca o a quella latina, dalle risultanze statistiche che fanno prevalere Sallentini su Salentini. Per questo motivo, se la voce dev’essere scomodata, mettiamo, per dare un nome latino ad una collana di pubblicazioni, potrebbe porsi, per esempio, il dilemma: la chiamiamo Sallentina fragmenta o Salentina fragmenta? Non sarei intellettualmente onesto se continuassi a spacciare tale dilemma come esempio e non come esperienza vissuta, nel senso che avevo optato per la seconda soluzione, quando non un illustre sconosciuto, ma Marcello Gaballo mi ha orientato verso la prima, obbligandomi, senza volerlo, a scrivere questo post (se nel leggerlo la noia è progressivamente montata, sapete con chi dovete prendervela …).
Tutt’altra piega ha preso, com’è noto, la voce nell’uso comune, in cui domina incontrastato Salentini, non certo, credo, per suggestione della forma greca ma per scempiamento di –ll– interpretato, forse, come una volgare geminazione, fenomeno che contraddistingue molti dialetti meridionali, in primis il salentino; e non mi riferisco solo al raddoppiamento della consonante iniziale: bbinìre (venire), bbitìre (vedere), etc. etc.
Così Sallentini, la forma filologicamente e storicamente (se riferita al mondo romano) più corretta, divenne un ricordo sempre più sbiadito, essa che aveva avuto un uso costante nelle pubblicazioni a stampa dalla sua invenzione fino al secolo XIX; di seguito due esempi: il frontespizio del manoscritto autografo dell’Atlante Sallentino di Giuseppe Pacelli (1803) custodito nella Biblioteca Marco Gatti di Manduria (MS. Rr/5) e quello di una pubblicazione del 1833.
___________
1 È creazione del tutto moderna, anzi contemporanea, il Sallentum nel quale ci si può imbattere: dal titolo di un libro o di una rivista,
alla proposta di uno stemma territoriale o a quello di un club,
e, per citare prodotti più volatili, il Salentum di una serie di deodoranti per l’ambiente e di un profumo per l’uomo dinamico e carismatico,
nonché, e poteva mancare?, il Salenzio di cui ho avuto già occasione di occuparmi in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/16/tuttal-piu-me-lo-bevo-ma-non-me-la-bevo/.
Professore- gentilissimo : mi ” corre ” il pensiero su / Sallentum e Salentini /, è certamente una divagazione la mia, da umilissimo allievo Salentino. Lei, ci offre il risultato di una ricerca storico-scientifica di ineccepibile – inconfutabile valore culturale. Le esterno ,( la mia divagazione ),può essere, che la doppia ” elle ” di Sallentum appartenga a un visione culturale reverenziale verso il Greco – per via anche delle accentuazioni ?! . La ringrazio – mi scuso – augurandoLe ogni bene.
“Tutt’altra piega ha preso, com’è noto, la voce nell’uso comune, in cui domina incontrastato Salentini, non certo, credo, per suggestione della forma greca ma per scempiamento di –ll– interpretato, forse, come una volgare geminazione, fenomeno che contraddistingue molti dialetti meridionali, in primis il salentino; e non mi riferisco solo al raddoppiamento della consonante iniziale: bbinìre (venire), bbitìre (vedere), etc. etc.”. La sua “reverenza” coincide con la mia “suggestione”; lei la ammette io meno, anche perché in campo linguistico spesso una scelta è frutto di un capriccio del momento imposto poi all’uso: penso a “pubblico” dal latino “publicum” e “obiettivo/obbiettivo” dal latino “obiectivum”.
Articolo piacevolissimo e, al solito, ben documentato. Grazie. Purtroppo il riferimento alla / al Treccani mi ha risvegliato ricordi non piacevoli. Avevo segnalato al front office qualcosa che per deferenza ho chiamato “inesattezza” già anni fa, senza che questo avesse seguito. Ora è lecito chiedere : ” Chi sei tu per dubitare della Treccani?” Mettiamola così: io non sono nessuno ed ho un titolo di studio minimo. Detto questo, la perseveranza dell’Istituzione nel mantenere la stessa spiegazione per la voce che mettevo in discussione non è titolo di merito. Voci, termini difficoltosi non sono rari. La locuzione “olio essenziale”, materia di cui mi occupo, è una di quelle. Fortunatamente sia l’ultima Legislazione italiana, sia ancor prima la Farmacopea Ufficiale Italiana ed Europea per l’autorità che compete loro,hanno fatto chiarezza. Così la Legislazione italiana classifica gli oli essenziali come Integratori Alimentari; le Farmacopee Europee inserendole al loro interno ne fanno dei farmaci, specificando chiaramente che trattasi di “distillati”. Quindi, escludendo solo gli agrumi i cui oli essenziali vengono estratti meccanicamente per pressione dell’epicarpo, caso previsto nelle Farmacopee, risulta evidente che le sostanze di cui parliamo possono essere prodotte solo per distillazione. Applicare il termine di olio essenziale a sostanze di origine animale, e non mi pare di ricordare che lo zibetto venga distillato, è errore grave che equipara Farmaci e Integratori alimentari normati da leggi specifiche, a materie prime profumiere normate dalla legislazione cimica e/o cosmetica. Tutto ciò scritto da me con profondo dispiacere e senza rinunciare a priori a continuare a consultare Enciclopedia e Vocabolario. Peccato.
Sono sette anni che aspetto …
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/26/lettera-aperta-a-massimo-bray-titolare-del-mibac1/
MONACI “BRASILIANI” NELLA TERRA DELLA “TRECCANI”. Filologia e civiltà…
ALLA LUCE DELLA PRESENTE STORICA SITUAZIONE, ricordando il recente intervento del prof. Armando Polito dal titolo “Quando l’Amazzonia era vicina a noi, ma c’è speranza…” (https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/05/28/quando-lamazzonia-era-vicina-a-noi-ma-ce-speranza/#comment-279453), sottoscrivo la sua “Lettera aperta a Massimo Bray,titolare del Mibac1″(https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/26/lettera-aperta-a-massimo-bray-titolare-del-mibac1/) e rinnovo la sua costituzionale sollecitazione a non alimentare la già iperbolica diffusione di “fake news” e a correggere l’involontario refuso tecnologico.
PER LA STORIA E LA MEMORIA DELLA TERRA D’OTRANTO, non è più sopportabile che nella scheda relativa a Cesare Maccari(http://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-maccari_(Dizionario-Biografico)/) si legga e si continui a leggere che “Nel 1895 […] fu incaricato da monsignor G. Ricciardi, vescovo di Nardò, di affrescare la cattedrale di S. Maria de Nerito […] Il programma iconografico, dettato dal committente, era dedicato alla storia della salvezza dell’uomo e agli episodi locali del Trasporto delle reliquie di s. Gregorio Armeno, protettore della città, da parte dei monaci *BRASILIANI* e del Miracolo del crocifisso nero”! O no?!
Federico La Sala