di Gianfranco Perri
Era trascorso giusto un secolo dai tempi in cui Margarito da Brindisi – il famoso arcipirata divenuto poi grande ammiraglio – scorrazzava in lungo e in largo nei mari mediterranei con le sue flotte sempre vincitrici incutendo timore e rispetto, quando ecco apparire un altro brindisino che sembra voler ricalcare sugli stessi scenari quelle rocambolesche gesta marinare. Si tratta di Ruggero Flores e per lui, il pirata e poi il grande ammiraglio furono preceduti nientemeno che dal templare.
Ruggero de Flor nacque a Brindisi nel 1267, ultimo figlio di un militare tedesco che si crede fosse stato un falconiere dell’imperatore svevo Federico II re di Sicilia, Riccardo Blum – latinizzato in Flor e poi in Flores – e di una ricca dama dell’alta società brindisina. Riccardo, combattendo dalla parte dei ghibellini, nel 1268 trovò la morte nella battaglia di Tagliacozzo, quella in cui Corradino di Svevia, ultimo dinasta degli Hohenstaufen, fu sconfitto e poi fatto decapitare dall’angioino Carlo I, nuovo re di Sicilia.
A seguito di quegli eventi, che in varie regioni del regno erano stati preceduti da una lunga e aspra guerra civile, i beni della famiglia Blum, così come quelli di tante altre famiglie brindisine del partito ghibellino, vennero interamente confiscati lasciando la madre di Ruggero in povertà e costretta ad alloggiarsi con i figli in una umile casa nei pressi del porto.
Tutto ciò d’accordo al racconto che ne fa nelle sue cronache catalane Ramòn Muntaner, che fu per molti anni compagno d’armi e luogotenente di Ruggero, unica fonte disponibile per il primo periodo della vita di Ruggero Flores. Una fonte forse non sempre del tutto affidabile – perlomeno non proprio sulla veridicità di tutti i dettagli di quello che racconta – spesso incline a corredare di una certa coloritura fantastica e leggendaria la vita dei vari personaggi narrati.
Quando Ruggero aveva circa otto anni, il templare frate Vassayl nativo di Marsiglia e comandante di marina dell’Ordine del Tempio, mentre svernava nel porto di Brindisi per stivare la propria nave e farla riarmare nel rinnovato arsenale brindisino, notò il vispo ragazzino che evidentemente gironzolava tutt’intorno e intuitone le potenziali qualità se lo fece affidare dalla madre per introdurlo all’Ordine e al mestiere marinaro.
Certo è comunque, che Ruggero fece una carriera velocissima: solo quindicenne venne considerato uno dei migliori mozzi della flotta e quando anni dopo prese il manto di frate-converso, era già un esperto navigante, probabilmente il migliore dell’intera marineria templare, tant’è che appena ventenne gli fu affidato il comando del Falcone del Tempio, la più bella e moderna nave della flotta templare, acquistata dai Genovesi ed impiegata nelle rotte del commercio mediterraneo e nel trasporto di pellegrini in Terrasanta.
Ruggero de Flor, al comando di quella sua nave si trovava nei pressi di San Giovanni d’Acri – l’attuale Akko in Israele – nella primavera del 1291, mentre dal 5 aprile era in corso l’assedio poi culminato il 18 maggio con la caduta della città nelle mani degli assedianti Mamelucchi. Nel corso dell’evacuazione che seguì all’assedio e alla conquista musulmana, la Falcone del Tempio di Ruggero riuscì audacemente ad imbarcare numerosi facoltosi profughi civili cristiani che con i tanti beni recuperati furono condotti in salvo. Alcuni degli evacuati si fermarono a Cipro e gli altri proseguirono fino a Mont-Pélerin in Francia.
Quel viaggio dovette certamente fruttare ingenti guadagni per le arche del Tempio, ma presto si sparsero pesanti dicerie rispetto al capitano della nave, Ruggero, il quale fu finalmente e formalmente accusato dai gerarchi templari di aver trattenuto illegalmente per sé buona parte di quei guadagni, tradendo in tal modo il Tempio. I detrattori del giovane e prestigioso capitano brindisino – molti dei quali probabilmente non del tutto esenti da una qualche dose di invidia nei suoi confronti – ebbero la meglio sui difensori e convinsero della veridicità delle loro accuse il gran maestro Jacques de Molay, il quale espulse Ruggero dall’Ordine e ne predispose la cattura.
A quel punto a Ruggero de Flor non restò altro che levare le ancore, e con il Falcone del Tempio si diresse a Marsiglia. Poi, senza l’abito templare, ricomparve a Genova dove comprò a messer Ticino Doria – a detta di Muntaner R. grazie al denaro prestatogli da amici – una galera, l’Olivetta, allestita la quale pensò bene dirigersi a Sud e prestare i suoi servizi di capitano marinaro di ventura nel regno angioino ‘di Napoli’ del re Carlo II d’Angiò, ormai privato della Sicilia, che dopo la rivolta dei Vespri del 1282 era passata agli Aragonesi.
E proprio nell’aragonese Sicilia, sul finire del 1300, finì per approdare da rinomato corsaro il condottiero di mare Ruggero Flores per porsi al servizio del re Federico III in permanente conflitto – nella ventennale guerra dei Vespri – contro gli Angioini di Napoli.
Nella primavera del 1301, con una flottiglia di cinque navi, condusse una fruttuosa spedizione contro gli Angioini sulle coste della Puglia, nella quale riuscì ad impadronirsi ripetutamente di navi cariche di granaglie che, predate, furono impiegate per soccorrere diverse città della Sicilia colpite dalla carestia, ovvero vendute per pagare le guarnigioni aragonesi dislocate in Sicilia e in Calabria. Quindi, non disdegnò nuove azioni di più franca pirateria, che condusse principalmente lungo le coste della Provenza delle Baleari e della Catalogna, appartenenti tutte al regno d’Aragona dell’antagonista re Giacomo II.
Poi, alla fine dell’estate di quello stesso 1301, al comando di dieci galee, prese parte alle operazioni condotte per la liberazione di Messina assediata dalla potente flotta angioina di Ruggero Lauria e dall’esercito di Roberto, principe d’Angiò. Liberazione per la cui riuscita risultò fondamentale il contributo di Ruggero de Flor.
Tutti quei considerevoli successi ottenuti sul mare dall’ormai famoso condottiero brindisino, indussero Federico III a nominarlo viceammiraglio della flotta siciliana e a conferirgli la signoria sui castelli di Tripi e Licata, nonché le entrate dell’isola di Malta.
Poi, quando finalmente la guerra dei Vespri giunse al termine con la pace di Caltabellotta del 31 agosto 1302, che formalizzò il teoricamente ‘temporale’ riconoscimento della Sicilia agli Aragonesi, il corsaro Ruggero de Flor restò senza una formale occupazione e l’inquieto ed ancor giovane condottiero di mare cominciò a volgere il suo sguardo verso altri lidi.
D’altra parte, le sue turbolenti milizie catalane, con gli almogavari parcheggiati senza occupazione in Sicilia, costituivano un potenziale problema per il re Federico III e questi vide subito di buon occhio l’idea prospettatagli da Ruggero Flor di ‘prestarle’ all’imperatore d’Oriente Andronico II Paleologo, il quale si era mostrato interessato al loro ingaggio per combattere la crescente avanzata dei Turchi che erano riusciti a sottomettere quasi tutta l’Asia minore e a ridurre il dominio bizantino a una sottile fascia costiera tra Nicea ed Efeso.
«Gli Almogavari erano soldati della Corona d’Aragona reclutati prevalentemente in Navarra Aragona e Catalogna, che nel trascorso dei secoli XIII e XIV operarono su vari fronti iberici ed europei e la cui origine – nonché lo stesso nome – ebbe certamente qualcosa di arabo. Fanti leggeri senza corazza, indossavano corte braghe di cuoio molto spesso ed erano armati con due pesanti giavellotti un grosso coltello ed una spada corta. Erano soldati di professione, al servizio di chi era disposto alla loro remunerazione, praticamente milizie mercenarie. Quando in seguito ai Vespri siciliani il re Pietro III d’Aragona appoggiò la rivolta e mosse guerra a Carlo I d’Angiò, gli almogàveres formarono l’elemento più efficace del suo esercito. La disciplina e la ferocia, unite all’abilità con cui lanciavano i loro giavellotti contro i cavalli, li resero formidabili contro la cavalleria pesante sulla quale riportarono sistematiche vittorie.»
Ruggero de Flor colse al balzo quella ghiotta occasione, e nella primavera del 1303 stipulò accordi con l’imperatore che previdero: per le truppe della sua ‘Grande Compagnia Catalana’ riorganizzata ad hoc, quattro mesi di stipendio anticipato e per se, il titolo di megadux – megaduce, comandante della flotta – nonché la mano della nipote dell’imperatore e figlia dello zar bulgaro Ivan Asen, Maria. All’inizio di agosto il fiammante megadux prese il largo con ben 36 navi e circa 6000 almogavari alla volta di Costantinopoli, dove fu ricevuto con grandi onori e dove fu fastosamente celebrato il matrimonio convenuto.
(1. continua)