di Cristina Manzo
Nel Salento approdarono nel 1970 lo scultore olandese Norman Mommens con la compagna Patience Gray, scrittrice e giornalista inglese e ci rimasero per più di trent’anni, fino alla loro morte, vivendo un legame estremo con la terra di Spigolizzi. La loro masseria fu solo spartanamente restaurata e non vollero mai l’elettricità. Normann Mommens e Patience Gray, riconvertirono la campagna in un luogo di arte e conoscenza, e da essi viene la seconda testimonianza di un territorio scelto, come luogo di vita, da gente straniera. Patience, giornalista londinese, orafa, appassionata di botanica e studiosa di gastronomia si era lasciata catturare dal fascino della macchia mediterranea che, in cambio, aveva donato storie di cultura antica e misteri che lei e il compagno, seppero sapientemente tradurre in arte con la pittura, la scultura e la scrittura.
Di fronte alla masseria c’era un’aia circolare dove Normann, l’artista fiammingo, situò un’erma alta tre metri e venti, che chiamò Anatoli, dal greco, perché la statua è rivolta verso est.
I libri che Patience scrisse, vennero pubblicati in Inghilterra, e raccontano il Salento, interrogato nel profondo della sua anima storica e nelle sue tradizioni alimentari.
Esperta botanica, Patience raccoglieva anche funghi e verdure selvatiche nelle vicinanze della masseria, che preparava secondo le ricette della tradizione locale che, già in quegli anni, rischiavano di cadere in disuso perché associate a tempi di povertà e privazioni. Sotto questo punto di vista, il contributo della Gray alla preservazione dell’antica cultura culinaria del Salento, è stato straordinario. Nella loro nuova dimora salentina continuarono a coltivare ognuno la propria arte, ma si trasformarono ben presto in cultori e difensori della macchia mediterranea, delle vestigia archeologiche e dei paesaggi del Salento, che cominciavano ad essere stravolti dall’ondata di speculazione edilizia degli anni Settanta. Patience e Norman cominciarono da subito a coltivare la terra della masseria. Un contadino del posto, “dal nome appropriato di Salvatore”, insegnò loro i metodi ancestrali per la coltivazione di pomodori, piselli, ortaggi e verdure locali. Nel corso della lunga “odissea del marmo”, Patience aveva raccolto centinaia di ricette dalle massaie e dei cuochi delle trattorie. “Sono stati i contadini e i pescatori”, diceva, “a creare le ricette piuttosto che i cuochi degli alti prelati e dei principi. Questi ultimi si erano solo limitati a raffinarle”. Annotava non solo le ricette, ma anche il significato profondo che esse rivestivano nella vita quotidiana delle persone e il loro valore culturale per quella comunità. Così ha continuato a fare nel Salento. La masseria di Spigolizzi diventò, negli anni, meta di visitatori ed estimatori da ogni angolo del Salento e del mondo. Un folto gruppo di giovani del luogo fu da loro ispirato a impegnarsi in campagne per la protezione del patrimonio archeologico e ambientale del Salento. A questo gruppo di giovani volenterosi, il regista tedesco Klaus Voswinckel dedicò il film documentario “I Ragazzi nel 1989”. Troupe televisive e giornalisti inglesi e americani sono scesi nel Salento a intervistare Patience. Tra gli altri, Derek Cooper, conduttore per oltre un ventennio del Food Programme della Bbc, nel 1988 realizzò a Spigolizzi un’intervista alla scrittrice, trasmessa poi su Radio 4. Patience è stata l’antesignana dello slow food prima ancora che quest’espressione fosse coniata e diventasse moneta corrente sulle riviste patinate e nei talk-show. La sua idea di dieta mediterranea era, però, ben diversa da quella presentata in tanti programmi televisivi in Italia e, soprattutto in Europa e in America, spesso a base di leggeri piatti di pesce con un filo d’olio d’oliva. Per Patience, la dieta mediterranea era calorica, ricca di amidi e verdure, ma anche di proteine, destinata a soddisfare il sano appetito dei lavoratori della terra e del mare. Non condivideva le ossessioni salutiste e la paura del colesterolo che, secondo lei “aveva sostituito il concetto di peccato”[2].
Nel 1968 Normann, lavorando a Carrara, aveva capito di avere bisogno di più spazio per tutte le sculture che aveva realizzato, di un grande spazio in cui vivere e così lui e Patience fecero il primo viaggio in Salento, insieme ad amici: Helen Ashbee e Arno Mandello. Inizialmente l’idea era stata quella di acquistare una casa per viverci tutti insieme, poi però, i due amici avevano acquistato la Bufalaria verso la marina di Ugento e loro avevano acquistato Spigolizzi. A quei tempi non c’erano neanche le strade e i luoghi erano tutti molto isolati.
Ogni masseria era dotata di tutto l’indispensabile per poter vivere, come un forno di pietra e una cantina per le scorte, e avevano un orto e un giardino e distese di verde a perdita d’occhio e, anche se era tutto inselvatichito e le case sembravano ruderi, Patience e Normann erano felici.
Producevano l’olio e il vino, facevano il pane, le frise, i taralli e ogni incontro era una festa. Nel tempo la masseria Spigolizzi di Normann e Patience è divenuta insieme alla Bufalaria di Helen e Arno, crocevia di incontri e di esperienze con altri artisti, un punto d’incontro, di condivisione e di progettualità per moltissime persone[5].
Anche Normann si dedicò alla scrittura e pubblicò in particolare un libro, “Remembering Man”, scritto – disse – «nello stesso modo con il quale scolpisco la pietra», in cui diede forma al suo pensiero; apprese dalla natura e s’applicò alla geometria sacra; tentò di conciliare gli antichi miti con la moderna cosmologia; curò l’orto, lavorò la vigna; comprese la continua festa celebrata «da un capo all’altro del mondo» dalle correnti magnetiche che avvolgono il pianeta; s’impegnò attivamente per la tutela del territorio nel Basso Salento. In breve, ebbe modo di immergersi di volta in volta nell’«azione del momento». Per Norman Mommens l’arte e, in generale la cultura, avevano una «funzione-base umanizzante», e riguardavano l’essere umano nel suo complesso, e dunque la vita, l’abitare la terra, il rapportarsi con l’Altro. Di conseguenza non erano tanto le questioni prettamente estetiche a suscitare il suo interesse. La scultura era una modalità attraverso la quale si poteva percepire, con i sensi liberi dalla tirannia del fine, l’accadere del mondo. Per questo egli riteneva che la preoccupazione maggiore dell’artista fosse «per la sua precipitazione immaginativa nello sconosciuto. Il valore del risultato può essere discutibile, ma l’atto stesso, segno del creatore, sarà sempre attinente alla nostra umanità». Così, le sculture possono anche essere sepolte, nascoste – il loro potere terapeutico, persino taumaturgico, non verrà meno. All’opera compiuta viene assegnata minor importanza rispetto all’atto creativo. E colpisce la forza e la perseveranza, accompagnata sempre da un atteggiamento positivo nei confronti della vita, con cui seguì la sua strada. Tipico è il suo metodo nel rappresentare il serafino: queste metamorfosi della figura dell’angelo diventano figure a piombo estremamente stilizzate con le braccia unite protese in alto, le gambe dritte in tensione che la forza di gravità tiene inchiodate al basso, le punte dei piedi ritte e fuse in una forma convessa, le mani che sorreggono modellando un tutt’uno concavo. A volte, non sempre, lievi segni di divaricazione accennano lo stacco tra le gambe e tra le braccia. Ma il blocco di pietra mantiene tutta la forza dei monoliti arcaici, alieni dalla dispersività dell’articolazione. – Come racconta Philip Trevelyan, i Serafini «presero origine da uno schizzo che Norman fece dopo la guerra, nel quale rievocava il salvataggio di poveri innocenti in fin di vita da un cinema colpito dalle bombe, al confine tra la Germania e l’Olanda. […] Per estrarre le vittime, era necessario sollevare sezioni del pavimento collassato e sostenerle in alto a braccia». – I Serafini, dunque, medicano il dolore e, nonostante tutto, annunciano la vita. Inoltre, le statue assumono immediatamente una rilevanza cosmica. Quei corpi stesi verticalmente, allungati, protratti, schiudono di fatto uno spazio-tempo vitale tra un sopra e un sotto. O meglio: aprono un vuoto – un intervallo – che rende possibile il trascorrere e l’abitare. Separano e, nel contempo, mettono in relazione un basso e un alto, impedendo il collassare dell’uno nell’altro in un’aderenza senza resto, mortifera.[6]
Le rughe sul volto di Patience, segnate dal sole, assomigliavano ai solchi della campagna ma, “Questa linea dell’orizzonte, questa distesa di spazio, sempre vivo, sempre diverso, ormai mi accompagna dentro e quando mi allontano, quando a volte vado a Londra, comprendo la fortuna di vivere in questo posto. Io mi sento leale al silenzio della pianura”, diceva. Gli studi di Patience sui legami tra cibo, cultura e territorio vanno al di là delle semplici ricerche gastronomiche. Nei paesi anglosassoni e, in America, i suoi libri “Plats du jour”, (piatti del giorno) e “Honey from a weed” che significa pressappoco “Miele da un’erbaccia”, sono testi fondamentali per gli specialisti che così, si sono potuti avvicinare, lontani ospiti, alle nostre tavole. Da noi i suoi libri rimangono ancora non tradotti. La masseria d’arte è in continuo fermento. Sono tante le persone che vengono, parenti da molto lontano e poi amici, tanti: intellettuali e persone semplici.
Fra essi ci sono Salvatore e sua moglie, contadini del posto che insegnarono a Normann e Patience a coltivare la loro terra. Sicché anche Normann e Patience divennero contadini del posto: – “ Salvatore a volte mi sgridava, poi insieme abbiamo coltivato le patate e i pomodori. La nostra è stata una grande amicizia” – [9].
Oggi questi luoghi sono custoditi con cura da Nicolas Gray, figlio di Patience, e dalla sua compagna. Edoardo Winspeare ha più volte dichiarato l’importanza estrema che ha avuto Mommens nella sua formazione e nell’ispirazione del suo lavoro. Qui si respira il ricordo tangibile di Norman e Patience, in particolar modo nelle grandi sculture primitiviste interrate nei terreni vicini alla casa-studio, nei piccoli scudi dipinti su carta e nelle fotografie che narrano di una vita sospesa tra i ritmi della campagna e le visioni dell’arte. D’altronde, come ricorda Nicolas, «Giunsero qui perché cercavano il sole. Ma arrivati a Salve si fermarono perché non c’erano più strade. Era la fine del mondo »[10]. E arriviamo così a una terza e bellissima testimonianza.
3) Gerhard Cerull era l’amico fidato di Normann e Patience, uniti dalla convinzione che le ragioni dell’arte coincidono con le ragioni della vita e con quelle della natura.
Per Gerhard Cerull le cose sono andate così: un mattino di circa trent’anni fa era a scuola, come ogni giorno, e d’improvviso un’illuminazione: perché fare l’insegnante? Torna a casa, raccoglie i pennelli, i suoi colori e si mette in viaggio con la sua vecchia mercedes rimessa a nuovo. Nessuna meta precisa: sicuramente verso sud. Prende per l’Italia che già conosceva e strada facendo pensa “troverò un posto dove fermarmi a dipingere”. Gli sarebbe piaciuto in Toscana ma era un marzo piovoso e proseguì oltre. Pioveva anche quando giunse a Napoli. Al bivio fra la Calabria e la Puglia, scelse la Puglia che non conosceva. Nell’attesa che smettesse di piovere la percorse tutta. Così giunse a Santa Maria di Leuca, ma pioveva anche lì. A quel punto fu costretto a fermarsi. Non poteva più andare oltre, non c’era più terra da percorrere! Gerhard non dice espressamente di essere stato catturato dal Salento, non glielo consente la sua naturale ritrosia ma, conclude il suo racconto esclamando che lui, tedesco del sud, sapeva che prima o poi, qui sarebbe uscito il sole. Il sole, nel bene e nel male, è uno dei protagonisti principali della storia di questa terra. Il Salento è senz’altro terra di transito. Non soffoca, non prende alla gola. Si lascia sfogliare come un libro antico, tanti sono i luoghi della memoria. Basta vederli per decidere di fermarsi. E Gerhard vide, in agro di Salve, in fondo ad un viale di pini, una bellissima masseria barocca, con una torre selvaggia e abbandonata, presa d’assalto dal convolo blu che la rivestiva romanticamente: il luogo ideale per dipingere[11]. Fu amore a prima vista.
Gerhard Cerull è arrivato nel Salento una sera primaverile del 1975, all’età di trentatré anni, alla ricerca di se stesso e di un luogo dove potersi dedicare completamente all’arte, a contatto con la natura. Lasciava un posto di insegnante (lingua tedesca, storia e geografia) in una scuola media statale, insieme a tutti quei condizionamenti che non gli consentivano di dedicarsi alla sua vera inclinazione: la pittura. Aveva compiuto studi di teologia, oltre a quelli di pedagogia, e da giovane aveva seguito la vocazione monacale, rimanendo per tre anni in un monastero. Ma si era ricreduto su entrambi i fronti, appena in tempo per non commettere errori, sia verso il giuramento monacale che verso quello statale. Finalmente lontano dalla società omologante e consumistica, può ora mettersi alla prova, davanti a un cavalletto, noncurante degli spifferi provenienti dalle finestre senza vetri, abituato, com’è, a una vita austera . Di lì a poco, grazie alla sua costanza e alla sua tenacia, dal suo primo rifugio (la masseria del Feudo) si trasferisce in una liama con attigua paiara-rudere, nei pressi della Masseria dei Fani (Salve), dove riesce a crearsi uno spazio più accogliente. Senza averlo mai immaginato, passano così i suoi primi dieci anni, vissuti da salentino “per caso”. Sono anni dedicati interamente alla pratica della pittura, durante i quali realizza finalmente un suo linguaggio espressivo, dapprima con disegni a china di ispirazione paesaggistica e surreale, (ricostruisce atmosfere salentine fatte di ulivi e architetture barocche, ruderi campestri assediati da querceti, corbezzoli e severi carrubi; un brulicare di vegetazione selvatica che lui ama e conosce perfettamente), poi con forme astratte dalla geometria caleidoscopica, sempre più intensamente cromatica. Insieme ai suoi sogni prendono corpo i suoi quadri, a contatto con Norman Mommens e Patience Gray e Maria Vittoria Colonna, vicini di casa, ma anche con Arno Mandello ed Helene Ashbee che abitano la Masseria Bufalaria (Gemini). “Ciò che mi ha attratto, fin dal mio arrivo in questa terra, è stata la particolare ospitalità dei salentini”, ci dice. Proprio grazie a un amico che cede la sua casa nei pressi del faro di Leuca per una mostra collettiva, il pittore ex-insegnante espone per la prima volta alcuni suoi lavori. Incoraggiato a proseguire la sua ricerca artistica dallo scultore Norman Mommens, è spinto a continuare: seguono altri contatti ed esposizioni ad Alessano e Casarano etc. Col tempo, diventano sempre più frequenti non solo le visite di amici locali, ma anche di quelli d’Oltralpe, dalla Germania in particolare, interessati all’acquisto delle sue chine, lavori pazienti e meticolosi in bianco e nero, e dei suoi quadri dai colori più accentuati. I Fani diventano luogo di attrazione per tanti ospiti. E’ così che, la modesta abitazione rurale riadattata, con splendida vista panoramica sulla vegetazione del canale, dalla serra di Spigolizzi fino al mare, non è più sufficiente ad accogliere i gruppi di visitatori, sempre più numerosi. Occorre ampliare gli spazi per poter assicurare vitto e alloggio agli amici che ne fanno continua richiesta, coltivare un orto. Con travi di legno, canne ed embrici l’artista restaura di suo pugno tetti per altri vani, utili al soggiorno di gruppi di archeologi australiani, di musicisti americani e giovani artisti di varia provenienza. Capita perciò, di trovare da Gerhard un’intera equipe impegnata nel lavoro di scavo alla chiusa del canale o attiva nel laboratorio allestito per l’occasione, oppure un rabbino di Boston che, sorridendo, canta canzoni napoletane. In un habitat dalle lontane origini storiche, eppure abbandonato, si alternano stage di danza, di espressione corporea, di teatro, performances di musica rinascimentale, di cabaret o di pizzica, nella suggestiva cornice della macchia mediterranea, ancora meravigliosamente intatta.
– “Ricordo che uno dei primi anni, – racconta Rita Ciullo, insegnante di origine salvese e oggi moglie di Gerardo – il movimento e le performances vocali e canore di un gruppo di giovani ospiti, riecheggiando nel fondo del canale, hanno finito con l’ insospettire gli agricoltori dei campi vicini, i quali hanno segnalato le strane e inusuali urla alle forze dell’ordine. Si sono tranquillizzati, ovviamente, solo dopo il controllo effettuato.” – Sotto la luna dei Fani si susseguono, intanto, serate estive e feste musicali indimenticabili, per tutti i presenti. Anche le ricerche archeologiche, condotte in modo continuato nell’arco di nove anni, risultano tanto soddisfacenti da essere riconosciute come prestigiose ed importanti (premio Rotary International “Colonie Magna Grecia” per i ricercatori dell’Università di Sidney). Con Rita, Andres e William, da un improvvisato ostello, occasionalmente allestito, si giunge alla promozione di stage di creatività e di musica, fino agli incontri di cultura internazionale. I legami di amicizia con gli abitanti del luogo portano l’artista a radicarsi a tal punto nell’ambiente di finisterrae da condividere con Rita, appassionata- tra l’altro – di yoga e di erboristeria, gli ideali e lo stile di vita “francescana” e campestre, secondo i ritmi della natura. Una decisione a cui segue quella di creare una famiglia con Andres e William, undicenni colombiani provenienti da Bogotà. L’ultimo periodo, tutto caratterizzato dagli impegni nel seguire da vicino la loro crescita fino all’Università, non ha alterato l’armonia e l’autenticità del luogo, la disponibilità ed il carattere semplice e cordiale dei coniugi Cerull. Chiedo a Gerardo quali sono le ultime novità al canale dei Fani.“ La varietà di questi funghi che ho in mano, mai visti prima di qualche anno fa’. – “Sono cresciuti sotto gli alberi di pino piantati quando sono arrivato qui”- mi risponde. Anche la processionaria, la malattia che infesta la pineta, è un cambiamento ultimo, sto facendo di tutto per contrastarla”. Guardo il boschetto di pini, a ridosso della sua casa e mi sembrano incredibilmente cresciuti. Con la loro chioma alta sembrano segnare gli anni trascorsi. Ora sono lontani i primi tempi, l’incredulità di chi lo osservava incuriosito nella vecchia masseria disabitata e di chi veniva a visitarlo poi nella liama, sul cui camino era appesa una lunga muta di serpente (la sacara), per sentirlo parlare del suo lungo viaggio da Regensburg, alla ricerca di una diversa dimensione esistenziale.” Il mio è un racconto da scrivere a puntate”, mi dice, con un bicchiere di vino della vendemmia locale in mano. Lo stesso sorriso di quando ha messo piede nel Basso Salento, una terra che fin dall’inizio lo ha affascinato per le sue contraddizioni, per le sue sorprese e per le sue bellezze nascoste da scoprire col tempo. Risorse di cui Gerardo ha giurato di rimanere custode. Un giuramento finalmente a lui congeniale![13] Così, Gerhard pittore, artista ma anche cuoco e contadino insieme alla mogie Rita, salentina, fanno come Patience e Normann, un punto di ritrovo culturale e ospitale della loro casa.
(3 – continua)
Note
[1] Scultura sulle orme di Mommens, dall’Olanda venne a cercare il sole. https://bari.repubblica.it/cronaca/2013/10/19/foto/leuca-68928554/1/#1, visitato il 14/05/20, ore 23,08.
[2] Patience, la visionaria che amò il Salento rurale, di Aldo Magagnino https://www.quotidianodipuglia.it/cultura/patience_la_visionaria_che_amo_il_salento_rurale-2555928.html
[3] Idem
[4] Verso Sud, 2008
[5] Cfr. M. Cataldini, M. Pizzarelli, C. Gerardi, Verso Sud, Salento d’acqua e di Terra rossa, Anima mundi edizioni, Otranto, 2008.
[6] https://ilmanifesto.it/norman-mommens-lintervallo-vuoto/ visitato il 15/05/20, ore 00,12.
[7] https://www.independent.co.uk/life-style/food-and-drink/honey-from-a-weed-by-patience-gray-a7911806.html visitato il 14/05/20, ore 19,00.
[8] https://theitaliantranslator.wordpress.com/2017/04/08/remembering-norman-and-patience_english/, visitato il 14/05/20, ore 23,30.
[9] M. Cataldini, M. Pizzarelli, C. Gerardi, Verso sud, Salento d’acqua e di Terra rossa, Anima mundi edizioni, Otranto, 2008.
[10] Patience, la visionaria che amò il Salento rurale, di Aldo Magagnino https://www.quotidianodipuglia.it/cultura/patience_la_visionaria_che_amo_il_salento_rurale-2555928.html
[11] M. Cataldini, M. Pizzarelli, C. Gerardi, Verso sud, Salento d’acqua e di Terra rossa, Anima mundi edizioni, Otranto, 2008.
[12] M. Cataldini, M. Pizzarelli, C. Gerardi, Verso sud, Salento d’acqua e di Terra rossa, Anima mundi edizioni, Otranto, 2008.
[13] Gerhard Cerull, salentino per caso, https://www.iltaccoditalia.info/2007/10/10/gerhard-cerull-salentino-per-caso/
Per la prima parte:
Tornando a Sud: viaggi in un Salento che diventa casa, attraverso gli occhi degli altri
Per la seconda parte:
Tornando a Sud: viaggi in un Salento che diventa casa, attraverso gli occhi degli altri (II)
Buongiorno, vi presento Luca Giannotti ideatore dei cammini in Europa,un Modenese che si è innamorato del nostro Salento e trova nostalgia, per rimanere costantemente in contatto a pelle ne diventa la guida per eccellenza,durante l’arco dell’anno lo ripercorre attraversando i nostri paesi con l’andamento delle 4 stagioni, sperando che il suo legame Green con la terra possa sensibilizzare quanti invece la danneggiano.
Luca un Personaggio inebriato dal Salento
“Se si viene nel Salento, – scriveva Cesare Brandi – si finisce per farci una corsa nella nostalgia del Sud più spinto, e quasi sentore della costa africana, nostalgia del mare, delle buone trattorie sul mare, e di quel vino rosé autentico e generoso, non falsificabile”.
un saluto da Torino Ersilio Teifreto
Grazie per questa testimonianza bellissima. La nostra terra è magica.
certe volte – per certe cose – per certi avvenimenti – mancano aggettivi e parole -penso e mi commuovo a un certo inizio di ‘Umanità Nuova’.
Giuseppe, Umanità nuova è proprio quello che serve costantemente in questo mondo, lasciamoci commuovere. E speriamo sempre negli inizi migliori.
Io trovo che queste storie siano meravigliose. E credo anche che la vita in quegli anni fosse migliore. Magari si potessero conoscere tante altre di queste storie o si potesse ancora avere modo di condurre una vita semplice. Se pensiamo a quante di queste bellissime masserie oggi sono totalmente abbondomate nelle campagne, è un vero peccato.
Ritorno a Lei :…Magari si potessero conoscere …..certo – certo:se potessimo rientrare un pochino in quell’ottocento affettivo ( ma se mi consente ) anche afflativo;tanto bistrattato da noi intellettuali, pensando di cambiare il mondo. Il ventaglio umano e sociale , sarebbe molto più aperto. – congratulazioni e cordialità – con tento bene -peppino martina.
Buonasera. Mi trova ancora pienamente daccordo. Pensando di cambiare il mondo l’abbiamo solo peggiorato. Io sono decisamente a favore della vita genuina di una volta. Se avessi tempo mi piacerebbe tando andarmene in giro per la mia terra in cerca di questi posti ( che ci sono, mi creda ci sono ancora) a intervistare le persone anziane, le persone sagge che con i loro racconti e insegnamenti potrebbero solo arricchirci, e di molto. Fortuna che dalla mia ho che sono cresciuta con i nonni e molti di questi valoro e tradizioni li ho fatti miei. Mio zio l’estate lavorava a mezzadria nei poderi con case coloniali, nelle campagne di Nardò, e io da piccola ho vendemmiato, raccolto pomodori e infilato il tabacco, il cui profumo non dimenticherò mai. mettevamo i fichi e i pomodori a seccare sulle liame, e tante altre cose ancora. Cari saluti, grazie per la chiaccherata.
Buonasera. Anche qui mi trova pienamente daccordo, pensando di cambiare il mondo l’abbiamo solo peggiorato, a me personalmente piaceva più il mondo semplice e genuino di prima, quante complicazioni esistenziali in meno…avremmo avuto. Se avessi tempo, mi piacerebbe andare personalmente in tutti quei posti rimasti ancora così, (perchè ce ne sono, ce ne sono)! E mi appassionerei a intervistare gli anziani che, più di tutti possono raccontarci la vita, e cose bellissime della vita che a noi sicuramente sfuggono. Per fortuna ho dalla mia che sono cresciuta con i nonni, e tanti ricordi bellissimi, legati alle tradizioni e ai valori essenziali restano ancora. Mio zio d’estate lavorava nei campi con al centro le case coloniche, a mezzadria, nelle campagne di Nardò, così io da piccola ho vendemmiato, raccolto pomodori e infilato il tabacco, il cui profumo resta indimenticabile. Cari saluti a lei.
Lei veramente è un persona solare : scrive col cuore ,tenendo fronte ai sentimenti vagliati dalla sua formazione e cultura – l’augurio mio e che lei continui – con tanto bene sempre .
Grazie infinite.