di Gianfranco Mele
Ho elaborato alcune note anticipanti questo scritto in un articolo del 2019 nel quale fornisco anche un elenco delle Orchidaceae spontanee presenti nella flora salentina[1], rimandando poi, per approfondimenti, ad un testo di Piero Medagli et al.[2] Qui, mi soffermo nei dettagli sullle origini della attribuzione ad Orchidee e affini di una simbologia legata all’eros, e su credenze e miti attorno ai loro poteri magico-medicinali.
Queste piante hanno sin dall’antichità grande fama afrodisiaca e si pensava potessero essere utilizzate tanto ai fini di legamenti che di slegamenti d’amore, da qui la doppia e complessa attribuzione di erbe della concordia e della discordia.
Vedremo anche che, se oggi le orchidee sono considerate piante da regalare alla donna amata (con il significato, non casuale, di donarle amore), in realtà i diretti beneficiari dei loro poteri “magico-farmacologici” son sempre stati considerati più che altro gli uomini.
Volgarmente, con il nome di Concordia è attualmente appellata la Dactylorhiza maculata (sin.: Orchis maculata), una pianta della famiglia delle Orchidaceae. Un altro nome volgare di questa pianta è Erba d’ Adamo. Ma vengono chiamate Concordia anche la Dactylorhiza sambucina, l’ Orchis mascula e altre Orchidaceae.
Esiste anche un’ erba detta Sconcordia, che è il nome volgare dato alla Orchis latifolia detta anche Orchide palmata e palma Christi. [3]
Orchis deriva dal greco ὄρχις che significa testicolo; l’ allusione è ai due tuberi appaiati, di forma sferica o ovoidale, che ricordano appunto i testicoli. Questa forma fu interpretata, per analogia con gli organi maschili e in aderenza alla teoria della segnatura,[4] come un segnale indicante proprietà afrodisiache.
Orchis è anche un personaggio mitologico, figlio di una ninfa e di un satiro,[5] che viene sbranato dai cani di Dioniso per aver tentato di violentare una sacerdotessa: gli dei lo trasformano in una pianta che porta il segno del suo problema amoroso (in altra versione, è un ermafrodito che, non trovando corrispondenza amorosa, poiché sia maschi che femmine lo sfuggivano trovandolo ambiguo, diverso da loro, si suicida gettandosi da una rupe)[6].
Serapias è il nome dato a un genere della famiglia delle Orchidaceae. Deriva da Serapis, dio egizio della fertilità.
La pianta dell’ Orchidea, assieme alla sua analogia con i testicoli, viene citata da Teofrasto nel suo De Historia Plantarum.[7] Ne parla anche Plinio, nel suo Naturalis Historia, scrivendo:
“Poche piante sono meravigliose come l’Orchis o la Serapias, le foglie sono simili al porro con uno stelo lungo come il palmo di una mano e che i fiori sono color porpora e le radici consistono in due tuberi, uno grosso ed uno più piccolo simili a testicoli. Il tubero più grosso, o più duro, come lo chiamano alcuni, preso con l’acqua stimola la lussuria. Il più piccolo che è anche il più molle, preso con il latte di capra reprime il desiderio amoroso. Alcuni dicono che ella ha foglie di scilla, ma più pulita e minore, e il gambo spinoso. Le sue radici guariscono le ulcere della bocca, e la flemma della pelle; e bevute in vino ristagnano il corpo”.[8]
Più avanti, Plinio distingue tra “Satirio” e “Orchis”:
“Il Satirio ha forza d’infiammare la lussuria. Egli è di due sorti: l‘ uno ha le foglie più lunghe che l‘ulivo, il gambo di quattro dita, il fior rosso, e due radici a modo di testicoli d’uomo, le quali l’ un anno gonfiano, l’ altro scemano. L’ altro Satirio si chiama Orchis, e tiensi che sia femmina. E differente pei nodi, perché fa cesto più ramoso, ed ha radice utile al mal d’ occhio. Nasce quasi appresso il mare. Questo guarisce gli enfiati e i difetti di quelle parti, impiastrandovelo con polenta, 0 posto di per sé. La radice del primo in latte di pecora villereccia distende i nervi, e per opposito in acqua gli raccoglie.” [9]
Successivamente, Plinio parla “del Satirio, o Eritraico”:
“Dicono i Greci che il Satirio ha foglie di giglio rosso, ma minori, e sono non più che tre, che escono di terra: ha il gambo pulito, alto un braccio, e ignudo: ha doppia radice, e la inferior parte e maggiore genera maschi, la superiore e minore femmine. V’è un altro Satirio, chiamato Eritraico, il quale ha seme di vilice, ma maggiore: è pulito, di radice dura, di corteccia rossa, e dentro bianca, di sapore alquanto dolce, e solito ritrovarsi in luoghi montuosi. La radice, ancora tenendola in mano, desta la lussuria, ma più, s‘ella si bee in vin brusco. Dassi a bere ai montoni e a’ becchi, quando essi non sono bene caldi in amore. I Sarmati usano darlo a’ lor cavalli, che per la continua fatica sono pigri al coito; il qual difetto si chiama prosedamo. L’ acqua melata, o la lattuga presa spegne la sua virtù. I Greci quando vogliono significare questa concitazione venerea, la dicono satirio, o anche la chiamano cretegi, e teligono, e arrenogono, perché il seme di queste erbe e simile a‘ testicoli. Dicesi ancora, che coloro che hanno addosso la midolla dei rami del titimalo si fanno più ardenti alla lussuria. Stranissima cosa è quella che intorno a ciò scrisse Teofrasto, autore per altro grave, cioè che solo col toccar un‘ erba, il cui nome e forma ei non descrisse altrimenti, l‘ uomo abbia carnalmente usato ben settanta volle di seguito.”[10]
Scrivono dettagliatamente dell’ Orchis anche Dioscoride nel suo De Materia Medica, e Galeno nel trattato De Simplicium Medicamentorum Temperamentis ac Facultatibus. [11]
Nella sua traduzione del Dioscoride, il Mattioli ci riferisce “del Testicolo di cane”:
“Il testicolo, il qual chiamano i Greci cynoſorchis, produce le frondi attorno alla piu bassa parte del suo fusto, strate per terra, simili a quelle dell’olivo, ma piu lunghe, e piu strette, e liscie. Cresce il suo fusto all’altezza d’una spanna: sopra al quale è il fiore porporeo. Sono le sue radici bulbose, lunghette, doppie, e ristrette à modo di una oliva: delle quali la piu bassa è piena, e carnosa: e la piu alta fiappa, languida, e vana. Mangiansi queste radici, come i bulbi, lesse, e arrostite. Dicono, che la maggiore mangiata dagli huomini, fa generare i maschi: e la minore mangiata dalle donne, le femine. Oltre à questo dicono, che le donne di Thessaglia danno per provocare i venerei desiderij la piu carnosa a bere nel latte di capra: e la fiappa per lo contrario effetto: di modo che l’una guasta la virtù dell’altra. Nasce in luoghi sassosi, e arenosi”.
Più avanti, il Mattioli parla, sempre traducendo il terzo Libro di Dioscoride, di “un altro Testicolo”, il Serapis, descrivendone le virtù risanatorie per le ulcere, per le fistole e gli infiammi. Ancora, descrive gli effetti del Satirio (altra orchidacea) come antispastico e come facilitante il coito, e del Satirio erithronio la cui “radice bevuta nel vino” analogamente alla prima “provoca il coito”.
In epoca medioevale le Orchidee mantengono la fama di afrodisiaci e vengono chiamate “coglioni di cane” o “testicoli di volpe”: ci fu dunque, una ricerca continua del tubero “miracoloso” che veniva essiccato e conservato per essere poi utilizzato all’ occorrenza.
L’ Orchidea gode della fama di afrodisiaco, e per tali usi è ricercata, sino ai primi del novecento. In un testo di Michele Greco, ricercatore manduriano dei primi del ‘900, si ritrova la descrizione di una orchidacea ritenuta afrodisiaca negli usi popolari:
“.. un’altra pianta, dal nome volgare cujoni ti cani (Orchis mascula) [Orchide testicolo o testicolo di cane] è ritenuta un afrodisiaco dal popolo…”[12]
Di fatto, diverse piante bulbose e tuberiformi, appartenenti a differenti ordini (Liliales e Orchidales) e specie (Liliaceae, Amaryllidaceae, Orchidaceae) son ritenute afrodisiache nella tradizione magico-popolare, e hanno in comune tra loro la forma (bulbosa o tuberosa) che ricorda quella dei testicoli, in aderenza alla teoria della segnatura per la quale le piante vengono associate agli organi umani a parti di esse somiglianti. [13]
Nella medicina e nella tradizione popolare, nella letteratura esoterica e nei verbali dei processi inquisitori si ritrovano spesso citate l’erba concordia e l’erba discordia (detta anche erba sconcordia), impiegate per legamenti d’amore e fatture.
Più in generale, nei verbali dei processi, si ritrovano citazioni di non meglio specificate “polveri” ottenute da erbe e utilizzate ai fini di legamenti d’amore: è il caso, ad esempio, dei verbali del Fondo Sortilegi e Stregonerie dell’ Archivio della Curia di Oria: ricorre spesso il tema del potere di una particolare polvere affatturante. Tra le varie deposizioni pervenuteci, si può citare quella della masciàra Caterina Verardi, che interviene a favore di Francesco de Milano, il quale le aveva chiesto aiuto per poter “consumare carnalmente una giovane”. E’ così che Caterina consegna a Francesco
“una cartolina con una polvere, che per ogni volta che m’incontravo e vedevo detta giovane io avessi dovuto aprire detta carticella con la polvere e dire le seguenti parole: “la sementa sia con che essa tiene l’intenzione e la concordia con me”: che così mi diceva detta Caterina che detta giovane con tali parole non aver potuto veder altro che me”.[14]
Le “polveri”, ma anche intrugli vari, infusi e decozioni per i legamenti d’amore erano ottenute con l’utilizzo di differenti erbe alle quali erano attribuiti poteri afrodisiaci o di legatura. Tra le erbe impiegate a fini di legamenti, oltre alle Orchidee vi erano l’ Artemisia, la Felce, Solanacee varie (Giusquiamo, Mandragora ecc.).
In un rituale siciliano di legamento amoroso si impiegano insieme il sangue mestruale e l’erba concordia:
“Raccogliere il sangue mestruale del terzo giorno del ciclo in una boccettina, ed esporlo per tre giorni agli influssi del sole e della luna. Trascorsi i tre giorni, mischiare il sangue con un pizzico di erba chiamata Concordia, quindi portare il sangue in chiesa, assistere alla messa e all’atto della consacrazione, inginocchiarsi, stringere la boccettina con il sangue tra le mani, e dire per 7 volte:
“Nun vegnu pi Gesù Cristu, ma vegnu pi attaccari a chista N.N. (nome, cognome e data di nascita della persona da legare) tantu l’ ha liari chi di mia N.N. (nome e dati della persona che fa il rito) nun s’avi a scurdari. A questo punto il sangue è consacrato e andrà somministrato in piccola quantità all’uomo, nel vino o nel caffè, dicendo mentre si mescola, per tre volte, le seguenti parole:“N.N. ti dugnu lu sangu di li me’ vini, tu m’ha amari finu alla fini; N.N. ti dugnu lu sangu di li me ossa, tu m’ha amari finu alla fossa; N.N. ti dugnu lu sangu di lu mè funnu, tu m’ha amari finu alla fini du munnu”.
Nel 1901, Giuseppe Bellucci ci racconta, nel Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, alcune leggende reatine, tra cui quelle intorno all’ Erba concordia e all’ Erba sconcordia: la prima è individuata nell’ Orchis maculata, la seconda nell’ Orchis latifolia:
“Quest’erbe, cosi’ impropriamente qualificate appartengono a due specie di orchidee, che vivono sulle praterie del Terminillo, ed in generale di tutti i monti dell’Appennino, al di sopra di 1500 metri di altezza. Da per tutto hanno un’importanza notevole ne’ pregiudizi popolari, e sono i tuberi di codeste orchidee, che s’impiegan per determinare fatture, filtri amorosi, sortilegi. […]La forma del tubero intiero con le sue appendici richiama quella di una piccola mano, provveduta percio’ di un numero normale od anormale di dita. Secondo la fantasia popolare il tubero con cinque appendici, ossia la mano normale, e’ l’erba della concordia ( Orchis maculata L.); il tubero invece che ha un numero di appendici inferiori a cinque, ossia la mano anormale, e’ l’erba della sconcordia (Orchis latifolia L.). […] Basta di far bere nel vino ad una di esse, e meglio a tutte e due, la polvere dell’erba della concordia, senza che si conosca pero’ da’ bevitori qual sorta d’intingolo si fa loro trangugiare, per veder subito ritornare fra di essi la pace violata, l’amicizia antica, l’amore perduto. Al contrario, basta fatturare il solito vino colla polvere dell’erba della sconcordia per vedere rapidamente susseguire un odio implacabile, tra le due persone che incautamente vuotarono il bicchiere, in cui la polvere della mano con dita anormali introdusse il fermento della piu’ potente discordia.
Questa la leggenda che mi fu raccontata sul monte Terminillo; e siccome conosceva che in altre parti dell’Appennino, e singolarmente sul gruppo de’ monti Sibillini, a determinare l’amore o l’odio si adoperano i tuberi intieri, che si portano indosso a guisa di amuleti per ottenere l’intento, dimandai al narratore della leggenda, se tale costumanza si avesse anche tra le genti, che vivono alle falde del Terminillo. Egli mi rispose di si’; ma noto’ che, bevendo la polvere di tali erbe nel vino, l’effetto e’ immediato, mentre con la sola presenza dell’erba, a contatto o in vicinanza della persona, l’effetto che ne conseguita, e’ lento e tardo a manifestarsi. E’ meglio quindi , concludeva, di fatturare il vino, che nessuno rifiuta di bere.” [15]
In un testo satirico di un anonimo anticlericale ottocentesco, si ritrovano descritte una serie di “superstizioni” ancora in voga a fine ottocento, tra cui quella relativa agli “effetti” dell’ Erba concordia e dell’ Erba discordia:
“dar da mangiare ad un marito ed a sua moglie l’erba concordia, oppure l’erba discordia, perchè vivano in buona armonia, od all’incontrario, si bisticcino fra loro” [16]
La forma dell’apparato radicale di molte Orchidee (specie di quelle a tuberi digitati: es. Dactylorhiza, Gymnadenia, Nigritella) ricorda quella di una mano con le sue dita, da qui denominazioni riferite a mani divine. Remo Bracchi ci offre un quadro delle diverse denominazioni popolari di queste piante associate alle “mani”:
“Nell’ alta valle (a Piatta) le due locuzioni parallele la man del Signòr e la man del diàul designano le due radici a forma di mani che intrecciano tra loro le dita, una più bianca e una più scura, dell’ Orchis maculata. […] A Bormio per classificare l’ Orchis maculata incontriamo anche la denominazione di pè del Signor […]. A Livigno manìna da la Madòna, più usualmente man o manìna dal Signòr, rappresenta un sintagma scelto come designazione della Nigritella nigra […], anch’essa della stessa famiglia, detta a Castionetto perfèt amur. “ [17]
Alla base delle denominazioni sopra riportate (pè del Signòr, manìna da la Madòna, manìna dal Signòr, Palma Christi ecc.) c’è anche la leggenda secondo cui
“un monaco che, appropriatosi di un braccio di una statua miracolosa di Gesù Bambino, lo seppellì, prima di perdersi vagando, in preda a sensi di colpa, tra le montagne, dove trovò la morte. L’anno seguente spuntò una piantina che riportava nella radice la forma della mano di un bambino.” [18]
Anche, e ancor prima, Cypripedium calceolus, che ha come nome volgare “Scarpetta di Venere”, poi cristianizzata in “Pianella della Madonna”, è legata alla leggenda, in questo caso di un calzare ricamato in oro, e perso da Venere-Afrodite durante una tempesta. Tale calzare fu ritrovato da un uomo, ma prima d’essere toccato e profanato dal mortale, si trasformò in una pianta che aveva la forma e il colore dorato del divino calzare.
Ritornando a Concordia e Discordia, è ancora Remo Bracchi, con la sua ricerca sulle credenze popolari italiane, a descriverci gli impieghi magico-afrodisiaci delle Orchidee:
“Tra le erbe usate dalle streghe per i loro sortilegi si può ricordare l’ erba della concordia o della discordia “Orchis maculata” e altre specie. A Roma con le radici ridotte in polvere si preparavano filtri amorosi […]. In latino era detta anche coniugalis herba. Nelle valli di Lanzo, quando due fidanzati vogliono conoscere in antecedenza se il loro matrimonio avrà luogo, vanno in cerca della concordia. La sua radice è divisa in due parti, che raffigurano due mani con cinque dita. Se le due mani sono unite, è segno che il matrimonio sarà fatto, se sono divise invece non andrà a effetto”. [19]
In un processo per stregoneria tenutosi a Bormio nel 1673, Giovanni Bormetti confessò che per i suoi incantesimi utilizzava l’ erba tirella, identificata con l’ orchidea.[20]
Naturalmente, come da tipicità delle credenze magiche, una pianta (o una famiglia di piante) non ha l’ esclusiva per qualsivoglia impiego magico-rituale: ai fini dei legamenti, ad esempio, vi sono diverse possibilità di impiego di svariate piante (o altri elementi) che abbiano effetti o proprietà finalizzate, o che, per la teoria della segnatura, presentino analogie con le parti del corpo umano oggetto di intervento. Così, anche la Felce rientra tra le piante magiche utilizzate per legare o slegare:
“Nell’ Abruzzo si usa la Felce raccolta nella notte di Natale e che ha una forma di mano, che le streghe congiungevano o disgiungevano, quando operavano le loro magie per provocare la discordia o l’unione tra due fidanzati o due sposi”. [21]
Ritornando alle Orchidee, è interessante notare come sin dalle già citate descrizioni di Plinio (“Il tubero più grosso, o più duro, come lo chiamano alcuni, preso con l’acqua stimola la libidine. Il più piccolo che è anche il più molle, preso con il latte di capra reprime il desiderio amoroso”) la stessa pianta, o parti diverse della stessa pianta, assolvano funzioni opposte:
“Si danno casi in cui l’opposizione divino/diabolico è presente nella stessa area per designare una opposizione reale, basata su una differenza non della specie, ma morfologica. Si pensi alla forma della radice di certe orchidee, cui si aggiunge la divergenza del colore, una opposizione chiaro/scuro. E’ il caso appunto dell’ Orchis sambucina, molto comune in montagna, la cosiddetta erba concordia. Stesso nome (ed era detta anche erba d’ Adamo) ha l’ Orchis maculata. A questa ed altre specie di orchidacee si dava in Abruzzo il nome di jerve de la cungòrdije e de la scungòrdije; le radici intrecciate, polverizzate e somministrate in qualche cibo o bevanda, avevano il potere di mettere pace in famiglia o tra due persone; le radici invece divergenti sortivano l’effetto contrario. Queste erbe hanno tuberi palmati, a forma di mano (man de la Madòna nell’ Agordino la maculata, e man de San Zoàn a Trento e dintorni; manìna del Signore all’ Argentario l’ Orchis papilionacea), e dall’ intreccio di quelle ‘dita’ si traevano auspici sulla durata di un amore: se sarebbe continuato per sempre o se si trattava di cosa passeggera. I fiori della sambucina sono rosso-violacei, oppure gialli, e gli individui a fiori o rossi o gialli si presentano spesso insieme dando l’impressione di specie del tutto diverse. In generale prevalgono i gialli, e il loro nome nelle valli valdesi è mano di Dio (man dà Bundiu) mentre quelli a fiore rosso si chiamano mano del diavolo. In Val d’Aosta la sambucina è fiore del diavolo; nell’Agordino la doppia possibilità del colore ha suggerito il nome Adamo e Eva. L’ Orchis morio dai fiori scuri rosso violacei, in Piemonte ha nome discordia (o disconcordia), a Bologna scuncordia.“ [22]
Dunque questi tuberi, come abbiamo visto nelle vari descrizioni, a seconda della conformazione o della specie da cui provengono hanno il potere di legare e slegare, di generare concordia e discordia, di rendere virili o impotenti di far generare (come da una descrizione citata del Dioscoride) figli maschi (se ingeriti dai maschi) o figlie femmine (se ingeriti dalle donne). Un ruolo fondamentale in questa ambivalenza lo gioca sempre la dottrina delle segnature, per cui il rizotubero grande rappresenta la potenza sessuale e quello piccolo l’impotenza[23], o ancora se la radici son divergenti hano l’effetto di allontanare e se non lo sono di congiungere.
I poteri attribuiti alle Orchidaceae attraversano il tempo e le culture: si ritrovano in ogni parte del globo credenze legate alla loro “efficacia” magico-afrodisiaca.
Il filosofo e alchimista Giovan Battista Della Porta cita le virtù afrodisiache del satirione (nome volgare dato a varie specie di orchidea) indicando una ricetta a base di radice questa pianta confettata in miele insieme a pinoli, anice e altri ingredienti di origine animale e vegetale.[24]
Nella sua ricerca farmaco-antropologica su una vasta mole di formulari e ricette elaborate da maghi, streghe e alchimisti tra la metà del XV secolo e il XVII secolo, il tossicologo Enrico Malizia cita una pozione per favorire il coito a base di satirione, seme di ortica, zenzero, pigne e pinoli.[25] Un rimedio per curare la frigidità è composto di: “insalate ricche di rughetta, satirione e sedano condite con aceto rosato, testicoli di oca, ventre di lepre condito con spezie” da cuocere tutti insieme a fuoco lento.[26] Un elettuario per stimolare gli impulsi sessuali si compone di conserva di satirione, conserva di cedro, noci macerate in miele, pigna macerata in miele, pistacchi fritti in burro, decotto di carne di tartaruga al mughetto, cinnamomo.[27] Un elettuario per favorire la fecondazione contiene radice di satirione insieme a svariati altri ingredienti vegetali e animali (di più o meno simile composizione a quello precedentemente citato).[28] Radici di satirione insieme a numerosi altri ingredienti sono presenti anche in un elettuario contro la sterilità femminile.[29] Una polvere per far concepire destinata ad essere bevuta in vino rosso dall’uomo se è lui ad essere sterile o dalla donna se lo è lei, è composta di un macerato di “radici di satirione, radici di eringio, foglie di sambuco, fichi tagliati, fegato e testicoli di un giovane porco seccati al calore del camino”.[30] Semi di satirione insieme a numerosi altri ingredienti fanno parte di un elettuario per eccitare i sensi.[31]
In Oriente, sin dall’antichità, si utilizza il Salep (o Sahlab), ricavato dai tuberi essiccati di diverse Orchidee. E’ considerato un alimento energetico, ricostituente ed afrodisiaco.
I medici ayurvedici indiani han sempre considerato le Orchidaceae come afrodisiaci, nella convinzione che i tuberi abbiano il potere di moltiplicare il seme maschile e contribuire ad una sessualità sana e potente.[32]
Per alcuni popoli nomadi, la radice del Karengro (“pianta del fanciullo”), identificabile con l’ Orchis mascula, è insieme afrodisiaco e amuleto amoroso. La raccolta rituale della radice ricorda il rituale magico della raccolta della Mandragora:
“Un cane nero viene legato per la coda alla pianta del fanciullo, ovunque famosa, dopodiche, dopo aver prima estratto a metà la pianta con un coltello mai usato prima, si pone davanti al cane un pezzo di carne d’asino; mentre il cane balza sulla carne la pianta viene divelta. Ora dalla radice vengono intagliati dei genitali maschili, che quindi vengono avvolti in una pezza di pelle di daino e portati sotto il braccio sinistro. Per gli zingari questo è anche un mezzo segreto per combattere la sterilità.”[33]
Ma esiste in ambito magico anche un impiego che si discosta dalle più comuni finalità afrodisiache: nello sciamanismo himalayano i frutti dell’ Orchidea sono fumati con tabacco, e si pensa che questa miscela permetta di viaggiare nell’ Altro Mondo. [34]
Note
Gianfranco Mele, Orchidaceae e Orchidee spontanee: dal mito alla magia e alla medicina popolare, La Voce di Maruggio, giugno 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/orchidaceae-e-orchidee-sponatnee-dal-mito-all-magia-e-lla-medicina-popolare.html
[2] Piero Medagli, Rita Accogli, Alessio Turco, Vincenzo Zuccarello, Antonella Albano, Fiori spontanei del Salento, guida al riconoscimento e alla tutela, Grifo Edizioni, Lecce, 2016
[3] A.A.V.V., Dizionario delle Scienze Naturali nel quale si tratta metodicamente dei differenti esseri della natura, Volume XVI, Firenze, Battelli, 1846, pag. 607
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Dottrina_delle_segnature
[5] I nomi Satyrium e Orchis dati ad Orchidaceae, secondo alcune fonti, sono ricollegabili anche alla leggenda dei satiri, in quanto consumatori dei rizotuberi della pianta.
[6] Alfredo Cattabiani, Florario, Miti, leggende e simboli di piante, Mondadori, 2017, pag. 601
[7] Per un sunto, corredato di illustrazioni, si veda sul web Luca Oddone, Agli albori dell’orchidologia: le orchidee di 2000 anni fa, settembre 2012 in: G.I.R.O.S. – Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee, Forum http://www.giros.it/forum/viewtopic.php?f=8&t=1395
[8] Plinio, Naturalis Historia, Vol. II, LXII
[9] Ibidem
[10] Plinio, cit., LXIII
[11] Si vedano le interessanti note e illustrazioni sul già citato Forum del Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee
[12] Michele Greco, Superstizioni Medicamenti Popolari Tarantismo, Filo editore, Manduria, 2001 (riedizione a stampa di un manoscritto del 1912 ), nota 27 a pag. 93
[13] http://www.cure-naturali.it/medicine-alternative-altro/1936/teoria-segnature/487/a
[14] Denuncia di Francesco de Milano in data 28 marzo 1742 contro Caterina verardi, masciàra in Archivio Curia di Oria, Sortilegi e stregonerie al tempo di Monsignor Labanchi, f. 7
[15] Giuseppe Bellucci, Perugia, settembre 1901 in Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria vol VII fasc. 3
[16] Anonimo, Di palo in frasca – veglie filosofiche semiserie di un ex religioso che ha gabbato S. Pietro, Volume III, Parte I, Ginevra, Libreria Filosofica, 1870, Pag. 157
[17] Remo Bracchi, Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera, Walter de Gruyter Ed., 2009, pag. 376
[18] http://www.venetoagricoltura.org/upload/pubblicazioni/Orchidee_E320/cap_5.pdf
[19] Remo Bracchi, op. cit., pag. 376
[20] Gianluca Toro, Flora Psicoattiva Italiana, Nautilus, 2010, pag. 101
[21] Ibidem
[22] Ibidem
[23] Come osserva il Piccari, proprio a causa della analogia morfologica, “il più grande faciliterebbe la riproduzione, mentre il più piccolo la ostacolerebbe; l’uno segnalerebbe una fecondità latente, l’altro, invece, una impotentia generandi” (Paolo Piccari, Giovan Battista Della Porta, il filosofo, il retore, lo scienziato, Franco Angeli, Milano, 2007, pag. 76)
[24] Giovanni Battista Della Porta, La magia naturale, Giunti Demetra, 2008, pag. 130 (testo orig. Magia Naturalis, sive de miraculis rerum naturalium – libri XX, Napoli, 1589)
[25] Enrico Malizia, Ricettario delle streghe. Incantesimi, prodigi sessuali e veleni, Edizioni Mediterranee, 2003, pag.169
[26] Enrico Malizia, cit., pag. 189
[27] Enrico Malizia, cit., pag. 154
[28] Enrico Malizia, cit., pag. 254
[29] Enrico Malizia, cit., pag. 163
[30] Enrico Malizia, cit., pag. 259
[31] Enrico Malizia, cit., pag. 150
[32] Christian Rätsch, Le piante dell’amore. Gli afrodisiaci nel mito, nella storia e nella pratica quotidiana, Gremese Editore, 1991, pag. 66
[33] Christian Rätsch, cit., pag. 144
[34] Gianluca Toro, cit., pag. 101