La settecentesca accademia di S. Vito dei Normanni (2/2)

di Armando Polito

La settima riunione si tenne, come mostra la c. 213r di seguito riprodotta, il 1° gennaio 1738, cioè, almeno stando a quel che risulta registrato, a sette anni dalla precedente. Lacuna volontaria o no nella registrazione oppure sintomo di una progressiva stanchezza (fenomeno frequente per le accademie dopo l’entusiasmo e la prolificità dei primi anni)? Troppo il lasso di tempo per non credere nella prima ipotesi e la conferma viene dal fatto che più avanti (c. 221r) è riportato un sonetto di Ortensio De Leo e in calce una nota che recita: Il sopradetto Sonetto fu rappresentato nell’Assermblea Accademica per il compleanno del Signor Principe, tenuta nel palazzo di detto Signore a 7 Gennaio, Sabbato giorno di Santo Antonio Abbatead ore 21 1733. 

 

Problema Accademico. qual fosse il motivo principale della Santità di Santo Francesco Xaverio: l’umiltà di sé stesso, ovvero la carità esercitò verso del Prossimo. Tenuta la presente Accademia nella Chiesa Vecchia a primo del 1738 giorno di Giovedì, e Capo del’anno ad ore 20, l’apertura della quale si fe’ dal Reverendo Andrea De Leonardis

Questa volta il problema accademico non è discusso in prosa ma trattato direttamente nelle cc. 214r-231v nei componimenti di Ortensio De Leo (6; l’ultimo, a c. 221r, in realtà è del 7 gennaio 1733, come riportato in una nota aggiunta in calce e del quale ho detto poco fa), Teodomiro De Leo (4), Ortensio De Leo (3).

L’ottava riunione ebbe luogo il 12 febbraio 1738, come si evince dall’incipit di c. 228r.

S’invitano li Pastori della nostra Arcadia a festegiare le felicissime nozze del nostro invittissimo Regnante D. Carlo Borbone, Rè delle due Sicilie, etc. colla Serenissima Real Principessa di Polonia Donna Maria Amalia Primogenita del Rè Augusto 3 di Polonia. e Duca della Serenissima Casa di Sassonia nella presente Assemblea Accademica, che si celebra quest’oggi li 2 di Febraio 1738 giorno di Domenica.  

Seguono a partire dalla stessa carta fino a c. 231v tre componimenti di Ortensio De Leo.

Si direbbe che le riunioni dell’accademia, almeno quelle registrate, terminino qui, perché la c. 232r non fa nessun riferimento specifico ad una tenuta nella data che pure è indicata (giugno 1738).

Seguono (cc- 233r-244r) i componimenti di Giovanni Battista Notaregiovanni, Ortensio De Leo, Giovanni Scazzioto (3) di Brindisi, Vito Ruggiero, Lorenzo Cavaliere, Lorenzo Ruggiero (2), Carmine Ruggiero (2), Francesco Ruggiero (2), Pietro Matera di Francavilla (3), Padre Piertommaso Barretta di S. Vito Baccelliere dei carmelitani, un autore il cui nome è illegibile (c. 242r), dottor fisico signor Carlo Evaranta (?) di Francavilla, un autore il cui nome risulta abraso.

Dopo aver angustiato il lettore con questa descrizione che pure era necessaria per avere contezza del documento e conoscere nomi di poeti poco noti se non ignoti sui quali varrà la pena in seguito approfondire [(solo alcuni di loro, per giunta parzialmente, risultano pubblicati in Pasquale Sorrenti, La Puglia e i suoi poeti dialettali : antologia vernacola pugliese dalle origini ad oggi, De Tullio, Bari, 1962; ristampa Forni, Sala Bolognese, 1981 (1 copia nelle biblioteca “Achille Vergari” di Nardò)], concludo, nella speranza che non si sia già dileguato, con un assaggio per così dire, divertente e anticonformista. Divertente perché riguarderà due componimenti che potremmo inquadrare nell’enigmistica; anticonformista, come è la stessa raccolta, perché, cosa inusuale in quelle di altre accademie, essa contiene pure sei componimenti in vernacolo, e ne leggeremo uno.

c. 134r

In lode dell’Eccellentissimo Signor D. Giuseppe Marchese

Eloggioa latino

 

                                                     I

                                                 oseph

                                                 illustri

                                              Marchese

                                           edito familia

                                      vestigiis maiorum

                                    consequuto suorum,

                                 miris patris santi gestis

                                   virtute, iustitia, clementia,

                         charitate, magnanimitate atque robore

                            insigni praecellenti celebris tantae

            probitatis specimemb, onusto gloriae immortalium

               donanti cunctis per Orbem concelebrantibus

              ad piramidis insta relogium hocce Leo per me  

                        struitur            erigitur     dicatur

 

                                                      dello stesso Signor Carmine de Leo    

 

_________

a Forma che s’incontra anche nei libri a stampa dei secoli passati.
b Errore per specimen.

Traduzione: A Giuseppe Marchese nato da illustre famiglia. che ha seguito le orme dei suoi antenati, le mirabili gesta del padre santo, che per valore, giustizia, clemenza, carità, magnanimità e forza, insigne, eccellentissimo, conosciuto, che, carico della gloria degli immortali,  dona a tutti coloro che nel mondo lo festeggiano un esempio di tanta onestà, ecco, questo elogio a forma di piramide da me Leo viene costruito, eretto, dedicato.

Il componimento dal punto di vista iconografico appare ispirato dal carme ropalico [dal latino Rhopalicu(m), a sua volta dal greco ῥοπαλικός (leggi ropalicòs), derivato  di ῥόπαλον (leggi ròpalon)=clava], gioco metrico-grafico praticato già in Grecia a partire dal IV secolo a. C. poi in ambito latino presso i poeti neoterici del II secolo d. C., consistente nel costruire un verso con parole in cui ognuna ha un numero di sillabe pari a quello della precedente più uno, in modo che, sistemando le parole una sotto l’altra, esce fuori una forma che ricorda quella della clava. Qui, come si nota, rispetto al modello originale l’aumento progressivo delle sillabe è rispettato solo nelle tre righe superiori e la forma finale (che non è quella della clava ma della piramide) è ottenuta anche con un opportuno ingrandimento o rimpicciolimento dei caratteri (ragion per cui nella mia trascrizione, avendone adottato una dimensione fissa, la piramide è andata a farsi benedire. Oltretutto nelle composizioni latine similari la prima parola, anche e costituita da una sola lettera, doveva avere un senso compiuto. Qui, invece l’iniziale I (che in latino, imperativo presente del verbo ire, avrebbe significato va’) è parte integrante del successivo oseph: insomma, un giochetto di origine dotta ma furbescamente semplificato.

c. 138v

 

il medemo soggettoa

Programma

Donno Fabio Belpratob Marchese

Anagramma purissimo letterale

Febbo nomar se po’ perch’è natal dì 

________

a Festeggiamento del compleanno di Fabio Marchese..

b Vedi la nota n. 2  

Anche qui il purissimo con cui l’autore (Ferdinando De Leo) definisce il suo anagramma è velleitario, come appare a contare solo il numero di lettere che compongono la frase di partenza (26) e quella anagrammata (27), la quale, inoltre, presenta una p in più, una p  invece di b e una e invece di o.

c. 73r

Dellu patre Rusariu Mazzottia Letture domenicanu pe’ la muta addegrizzab di tutti l’emminic, e le fimmene de santu itud pe’ la enutae de lu segnore Princepe donnuf Fabbiug Marchese 

Sunettu 

Oh quantu ndé presciamuh, ch’è benutu

Fabiu lu Sirei nesciuj, e lu Segnore!

Staamuk propriu propriu senza core

penzando ndé le fosse ntravenutu.

Nui Santu itu nd’è preammul mutu

cù lu ziccam pe’ ricchian, e caccia foreo

de Napul’, e lu nducap quae a do ore

pur’a fazza la mosciaq, ci ae pè utur.

Se ndé varda cu’ l’ecchi, nò ndé sazia!

E vol’à se la mbarcias n’autrat otau?

Potta de craev, í  com’olew à nde strazia!  

Deh Santu itu fermande ddax rota

de la fortuna, e fandey st’autraz raziaza:

middzb‘anni a mienzuzc á nui cù se reotazd.

_________ 

a Di Brindisi.

b Da notare in questa parola, nella penultima del terzultimo verso e nella prima dell’ultimo la grafia di dd, in cui ciascuna lettera appare tagliata a metà da una barretta orizzontale. È come se il copista con quel segno diacritico avesse voluto precisare che il gruppo dd (esito di ll) nel dialetto brindisino presenta una pronuncia ben diversa dalla cacuminale retroflessa del leccese (perquest’ultima vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/01/il-solito-dubbio-di-trascrizione-per-un-fonema-salentino/).

c Plurale di ommu, che a prima vista potrebbe sembrare un francesismo (da homme). Tra l’altro gli etimologi considerano l’italiano uomo derivato dal latino homo, che è nominativo, contravvenendo alla regola che vuole i nomi formatisi dall’accusativo (hominem), mentre il plurale uomini mostra chiaramente la sua derivazione dall’accusativo plurale homines. Credo che proprio in –mm– stia la spiegazione dell’apparente stranezza, ipotizzando la seguente trafila: homine(m)>homne(m) (sincope)>homme (assimilazione)>ommu (regolarizzazione della desinenza; simile il napoletano ommo attestato ne Le Muse napoletane di Giambattista Basile (XVI-XVII secolo); lo stesso fenomeno, mediato dalla lingua parlata, avrebbe coinvolto uomo.

d Per apocope da Vito; da notare in itu l’iniziale minuscola, quasi la parola si ricordasse dell’aferesi e sottintendesse V.

e Per aferesi, come nel precedente itu,  da venuta.

f Parallelo al donno dell’italiano antico, dal latino dominu(m) attraverso il sincopato domnu(m) e l’assimilato donnu(m).

g Incoerenza grafica (non errore ortografico a quel tempo, perché in testi a stampa dei secoli passati si legge, per esempio, Fabbio Massimo)  rispetto al Fabiu del primo verso. 

h Alla lettera ci pregiamo che, cioè siamo onorati che. Nel salentino il verbo è usato anche assolutamente (sta mmi prèsciu=mi sto rallegrando) e il sostantivo prèsciu come sinonimo di gioia.

i Nel dialetto salentino sinonimo di padre. La voce è dal francese antico sire, a sua volta dal latino senior, comparativo di senex=vecchio. Qui probabilmente si carica ulteriormente del significato che la parola, di uso letteraria e oggi obsoleta, aveva in italiano, anche se il successivo Segnore sembrerebbe, se non escluderlo, almeno limitarlo.

j Passaggio str>sci abituale nel salentino (maestra>mèscia, finestra>finescia, etc. etc.).

k Per sincope da stavamo.

l Da priare, dal latino precari, con aspirazione, evanescenzae scomparsa della c, a differenza di quanto successo per l’italiano pregare.

m Da (z)ziccare, corrispondente all’italiano azzeccare, che è dal medio alto tedesco zecken=menare un colpo. La voce salentina ha il significato di prendere, afferrare.

n Per aferesi da orecchia.

o Nel salentino è usato anche col significato di in campagna e, col valore di sostantivo (enallage), in espressioni del tipo fore mia=la mia proprietà rurale.

p Da ‘nducire, dal latino indùcere

q Vedi la nota j.

r Aferesi per voto.

s Da mbarciare (a sua volta per dissimilazione da mmarciare, che è per aferesi da ammarciare (a sua volta per assimilazione da ad+marciare). il riferimento è al camminare impettito, ostentando serietà e, per traslato, togliersi d’impaccio facendo finta di nulla e continuando imperterrito.

t Da notare l’esito al>au, come nel francese hautre; in altre zone del Salento, invece, è in uso aḍḍa, che fa pensare ad una derivazione dal greco ἄλλη (leggi alle).

u Per aferesi da volta e consueta caduta di l come in càutu=caldo, motu=molto, etc. etc.

v Potta d’osci (vulva di oggipotta è voce fiorentina d’incerto etimo; osci è dal latino hodie)  e potta de crae (crae è dal latino cras) sono entrambe interiezioni. Non sorprenda che un uomo di chiesa abbia inserito un’espressione volgare: evidentemente già all’epoca lessa era tanto inflazionata dall’uso che aveva perso gran parte, se non tutta, della sua valenza oscena. Piuttosto è da notare come solo ai nostri giorni il suo corrispondente maschile (cazzo!) sia stato sdoganato nella lingua parlata e in quella scritta.

w Da vole, terza persona singolare dell’indicativo presente di ulìri, con abituale aferesi di v-.

x Per aferesi da chedda (=quella); per la grafia di dd vedi la nota b.

y Per dissimilazione da fanne (fà a noi).

z Vedi la nota t.

za Per progressiva lenizione da grazia attraverso crazia (sottoposto poi ad aspirazione di c-) in uso in altre zone del Salento.

zb Vedi la nota b.

zc Per dissimilazione -zz->nz.

zd Da riutare, composto dalla particella ripetitiva re– e da utare, che, come l’italiano voltare, è per sincope dal latino volutare (=concamerare, cioè fabbricare a volta; può significare anche ), a sua volta da    A Nardò il verbo è usato con riferimento al vento che cambia direzione (sta rriota=sta rivoltando).

 

(Del Padre Rosario Mazzotti lettore domenicano per la muta allegria di tutti gli uomini e le donne di San Vito per la venuta del signore principe Don Fabio Marchese

Sonetto

O quanto ci rallegriamo perché è venuto/Fabio  il padre e il signore nostro!/Stavamo proprio proprio senza cuore/pensando che non sarebbe intervenuto./Noi ne pregammo molto san Vito/perché lo prendesse per l’orecchio e lo spingesse fuori/da Napoli e lo conducesse qui in due ore/solo per mostrare che ci va per voto./Se ci guarda con gli occhi, non ci sazia!/e vuole svignarsela un’altra volta?/Puttana di domani, come lui vuole straziarci!/Oh san Vito ferma per noi quella ruota/della fortuna e facci quest’altra grazia:/che possa vivere mille anni in mezzo a noi)   

Prima, a c. 53r lo stesso tema era stato trattato in latino da Scipione Ruggiero in un componimento latino in sette distici elegiaci (numero che ricorda quello dei versi che compongono un sonetto).

Reverendi Domini Scipionis Ruggiero ad Eccellentissimum dominum nostrum Principem in eius reditum a Neapoli ad Patriam 

Principis adventum cives celebremus ovantes.

Laeta dies, nobis plaudite laeta quiete.

Viximus in tenebris, venit lux aurea ab Astris,

novimus ac cuncti, quam decet atque iuvat.

Omnes laetamur merito, sed maxime servus

qui vitam praebet pro sanitate tua.

Partenopesa, redeas, orat, nam bella moventur,

dextera tuta tua, te duce, seque tenet.

Vota, precesque deo dabimus ut proelia sistant.

Sic aderit nobis pax, et amica quies.

Quam tua nos hilares, Princeps, praesentia reddat,

en spectare potes, quo obsequio colimus.

Permaneas Patriae, cunctos solare rogantes

o domine, aspectu civica corda beas 

(Del reverendo don Scipione Ruggierob all’ eccellentissimo nostro signor principe per il suo ritorno in patria da Napoli

 

Cittadini, celebriamo esultando la venuta del principe. È un giorno lieto, applaudite per la calma a noi lieta. Vivemmo nelle tenebre, una luce aurea è venuta dagli astri e tutti sappiamo quanto conviene e giova.  Tutti ci rallegriamo a buon diritto, ma soprattutto il servo che offre la vita per la tua buona salute. Partenope prega che tu ritorni perché vengono mosse guerre e, sicura della tua destra, si difende. Rivolgeremo voti e preghiere a Dio perché cessino i combattimenti. Così verrà per noi la pacee l’amica quiete. Ecco, o principe, puoi vedere quanto la tua presenza ci renda allegri, con quanto rispetto ti onoriamo. Resta in patria, tu, o signore, rendi felici con lo sguardo tutti quelli che chiedono consolazione, i cuori dei cittadini)

_________

a Per Parthenopes.

b Era parroco della chiesa di S.Maria della Vittoria, in cui si tenne, come sopra s’è riportato, l’accademia del 14 marzo 1731. La cronotassi degli arcipreti, per la stessa chiesa, registra anche i nomi di Carmelo Ruggiero (1757-1759) e di Francesco Ruggiero (1760-1775), quasi una dinastia …; Per quanto riguarda Francesco, poi, egli non è cronologicamante incompatibile con il Francesco Ruggiero registrato come principe dell’Accademia del 5 marzo 1730.

 

Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/04/25/la-settecentesca-accademia-di-s-vito-dei-normanni-1-2/

 

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