La settecentesca accademia di S. Vito dei Normanni (1/2)

di Armando Polito

Inutile cercarla  in rete o in biblioteca, almeno che non si ricorra, sapendolo, all’unica fonte esistente, vale a dire un manoscritto (ms_F/7) del XVIII secolo custodito nella biblioteca pubblica arcivescovile “Annibale De Leo” a Brindisi. Quello delle accademie è un fenomeno molto diffuso nei secoli passati e se ne ebbero di tutti i gusti, nel senso che i temi in esse dibattuti potevano essere di natura scientifica, filosofica o, in senso lato, letteraria. Tra le accademie letterarie chi non ha almeno una volta sentito parlare dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690 da Giovanni Mario Crescimbeni e della quale negli anni furono pastori (così si chiamavano i soci) anche parecchi salentini1?

Non tutta la produzione di ogni accademia ebbe il privilegio di esser data alle stampe e non mancano casi, come il nostro, in cui solo una fortuita e fortunata circostanza consente di liberarne, magari solo parzialmente, la memoria dalla polvere del tempo e dalla limitatissima frequentazione tipica dei manoscritti: in fondo, se è lecito paragonare le piccole cose alla grandi, pure Fleming scoprì la penicillina per caso …

Il manoscritto, in gran parte inedito (solo pochi componimenti di pochi autori sono stati pubblicati da Pasquale Sorrenti in La Puglia e i suoi poeti dialettali: antologia vernacola pugliese dalle origini ad oggi, De Tullio, Bari, 1962; ristampa Forni, Sala Bolognese, 1981; una copia è custodita nella biblioteca “Achille Vergari” di Nardò), del quale ci accingiamo a leggere una parte (è mia intenzione, se avrò vita e voglia, di pubblicarlo integralmente), è una sorta di diario, con allegata documentazione, delle assemblee tenute dai componenti di un’accademia che si riuniva a S. Vito in casa del principe Fabio Marchese2.

Il tutto ricalca perfettamente, anche nei dettagli (tra i quali spicca la finalità, in alcuni casi, dichiaratamente  encomiastica) le coeve pubblicazioni a stampa di altre accademie, in primis l’Arcadia, con l’unica differenza che non risultano indicati  i soprannomi  che i singoli pastori si davano. Se i temi trattati non fossero seri (con preponderanza di quelli religiosi) qualcuno potrebbe ritenere che l’Accademia di San Vito fosse un’associazione di buontemponi , anche perché, come vedremo, ad un certo punto gli associati l’11 giugno 1730 elessero a loro principe (un ruolo parallelo a quello che nell’Arcadia era ricoperto dal custode), come vedremo, Vito Petrino, un ragazzo di appena quattordici anni, al quale spettava esprimere un giudizio sulla questione del giorno trattata prima in due parti da due distinti componenti dell’assemblea; per giunta, l’imberbe fanciullo succedeva al principe della precedente (o, più precisamente, la prima registrata) riunione del 5 marzo 1730, il sacerdote Francesco Ruggiero, che molto probabilmente, come vedremo in seguito, è lo stesso che sarebbe diventato arciprete della chiesa maggiore (S. Maria della Vittoria) dI S. Vito dei Normanni.

Vito Petrino fu principe anche della terza riunione del  5 novembre 1730; le successive (17 gennaio, 2 aprile e 14 marzo del 1731 e 1 gennaio e 12 febbraio 1738) non ebbero principe. L’elezione a principe di Vito Petrino è celebrata nella carta che di seguito riproduco.

c. 54r

Eiusdem ad Illustrem Dominum Vitum Petrinum quarto decimo anno natum, qui prò excellentia virtutis Princeps praesentis Achademiae conspicitur. Sexasticon

 

Laudibus es dignus, laudes Petrine mereris,

rethoricas artes dum studiosus amas.

Tu puer egregia fulges Demostenis arte.

Laurea virtutum pendet ab ore tuo.

Sit tibi longa salus, sint Nestoris Anni,

ut Domui Lumen sis, patriaeque decus.

 

Ad Dominam Victoriam Avossa Matrem eiusdem, prae gaudio flentem. Octasticon

 

Mellifluo eloquio nati Victoria gaudes,

et lato ostendis corde tui lacrimas.

Mater amas, et amare licet sine crimine Natum,

virtutum comitem, moribus atque piis

apparent vultu, mentem quae gaudia tentant,

ex oculis meritò fletus ut unda fluit.

Laetare o felix, faciemque ostende serenam,

doctrinis Gnati laeta, iucunda fave.

           

(del medesimo [Scipione Ruggiero] all’illustre Don Vito Petrino a 14 anni, che per eccellenza di virtù viene considerato principe della presente accademia. Esasticoa

 

O Petrino, sei degno di lode, meriti lode, mentre diligente ami la retorica. Tu ragazzo risplendi nell’arte di Demosteneb dalla tua bocca pende l’alloro delle virtù. Abbia tu lunga vita, abbia tu gli anni di Nestorec, affinché tu sia luce per la famiglia e decoro per la patria.

 

A Donna Vittoria Avossa3 madre del medesimo, piangente per la gioia. Ottasticod

 

Tu, Vittoria, godi dell’eloquio del figlio e mostri per il tuo  gran cuore le lacrime. da madre tu ami ed è lecito amare senza distinzione il figlio compagno delle virtù e per i pii costumi appaiono in volto le gioie che accarezzano la mente, dagli occhi a ragione il pianto scorre come onda. Rallegrati, o felice e mostra il volto sereno, lieta del sapere del figlio, gioiosa applaudi)

______________  

a Epigramma di sei versi.

b Famoso politico e oratore greco del IV secolo a. C.

c Fu il più vecchio e il più saggio tra i sovrani greci che, sotto la guida di Agamennone, assediarono Troia.

d Epigramma di otto versi.

 

Le altre carte che ho estrapolato e che ora riproduco costituiscono, per così dire, l’ossatura dell’intero manoscritto. La prima riunione avvenne il 5 marzo 1730, come testimonia la carta che segue

c. 12v

Problema Accademico ove vieppiù approfittara si puose un virtuoso nell’Accademie, ovvero nello solitario studio. Sostenuto nella Casa delli Signori de Leo dalli Signori clerici Don Carmine di Leo, e Signor Don Ortenzio di Leo, e giudicato dal Reverendo Signor Don Francesco Ruggiero Prencipe dell’Accademia a 5 marzo seconda Domenica di Quaresima 1730 Santo Vito

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a Nel senso etimologico di giovare (quando ancora la collaborazione non aveva assunto il concetto egoistico con cui il verbo viene usato oggi).

 

Spiccano i nomi della famiglia De Leo, soprattutto quello di Ortensio, esperto in legge, archeologo ed antiquario, zio di Annibale, il fondatore della biblioteca brindisina. Le carte 13r-14v riportano l’introduzione all’argomento a firma di Francesco Ruggiero, le 15r-19v l’intervento di Carmine De Leo, le 20r-25r quello di Oronzo De Leo (altro rappresentante della famiglia), la 25v il giudizio di Francesco Ruggiero, lo stesso che aveva introdotto l’argomento. Le carte 26r-36v contengono componimenti poetici di Carlo De Marco, Scipione Ruggiero (molto probabilmente parente di Francesco), Andrea De Leonardis (2), Vito Petrino (4), Oronzo Calabrese (2), Anselmo De Leo (2), Giuseppe Ruggiero (probabilmente parente di Francesco e di Scipione) (2), Francesco Ruggiero (2) (non recitato/come Prencipe non potè recitare), Giuseppe Milone, Ferdinando De Leo.

Di Carlo De Marco la stessa biblioteca conserva molti manoscritti costituenti il fondo del suo epistolario (alcune lettere sono indirizzate a Ferdinando De Leo).

Per quanto riguarda la famiglia De Leo a Carmine ed Ortensio (di lui nello stessa biblioteca si custodisce un manoscritto contenente la Vita di Gianfrancesco Maia Materdona di Mesagne, datata 1780, per cui vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/19/mattarella-la-cagnetta-mesagne-larcivescovo-brindisi/) si sono aggiunti Anselmo e Ferdinando, per la famiglia Ruggiero a Francesco si sono aggiunti Scipione e Giuseppe. La partecipazione, tenendo conto del numero dei componimenti inseriti per ciascuno o per ciascuna famiglia, appare abbastanza bilanciata. Al numero di contributi di Vito Petrino potrebbe non essere estraneo il fatto che appartenesse, magari solo per parentela, allo stretto entourage di Fabio Marchese2.

 

La seconda riunione ebbe luogo il 14 giugno 1730, come si legge nella carta che segue.

c. 39r

Problema accademi: se San Vito avesse dimostrato magior costanza nella Fede per non sgomentarsi dalli minaccie de’ Tiranni, o pure per resistere alli vezi di bellissime sonzelle. Sostenuto nella Casa dell’Eccellentissimo Sig. Principe di Santo Vito dalli Signori Dottori D. Giacomo de Leonardis,e Ferdinando di Leo; e giudicato dal Signor Vito Petrino Principe dell’Accademia alli 14 di Giugno vigilia del detto Santo. 1730 ore 22

Le carte 40r-41v  contengono l’introduzione di Vito Petrino, le 42r-45v l’intervento di Giacomo De Leonardis, le 46r-50v quello di Ferdinando De Leo, le 51r-51v il giudizio di Vito Petrino, le 52r-89r i componimenti poetici di Scipione Ruggiero (6, il secondo3 e il quarto4 presentano un tema che ha dei punti di contatto con quanto riportato in nota 2), Andrea Felice De Leonardis (3), Domenico Oronzo Ruggiero (4), Fra’ Rosario Mazzotti di Brindisi, lettore filosofo dell’Ordine dei Predicatori (7; il sesto e il settimo, carte 73r-73v sono in dialetto), Lorenzo  (6), Teodomiro De Leo (4), Giuseppe Giovanni Greco (2), Carmine De Leo (11), Francesco Ruggiero (8), Fra’ Luigi Maria dell’ordine dei Predicatori (2), Fra’ Domenico dei Minori Osservanti, Fra’ Rusino da S. Vito dei Minori Osservanti (3), Fra’ Anselmo da S. Vito dei Minori Osservanti, Salvatore Calcagnuti, Giuseppe Ruggiero, Giuseppe Bardari (5), Ortensio De Leo (2), Giacinto Greco, Cosmo Greco di Taranto (2).

Da notare come ai precedenti sisono aggiunti nuovi nomi, come ai rappresentanti della famiglia De Leo si è aggiunto Teodomiro e come nell’elenco che ho riportato la parte del leone la recitano con il loro elevato numero di contributi Rosario Mazzotti con 7 componimenti e, soprattutto, Carmine De Leo con 11.

La terza riunione ebbe luogo il 5 novembre 1730, come si legge nella carta che segue.

c. 91r

Problema accademico. Qual renda più glorioso un principe: l’uso dell’esatta giustizia, o quello della clemanza? Tenuta in Casa dell’Eccellentissimo Signor Principe di S. Vito a 5 novembre giorno di domenica nell’anno 1730 coll’intervento dell’Illustrissimo D. Cono Del Vermea Vescovo d’Ostuni ad ore 22

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a Fu vescovo di Ostuni dal 1720 al 1747; di lui fu pubblicata la Dichiarazione fatta in favore della causa della venerabile madre suor Rosa Maria Serio carmelitana, s. n., Ostuni, 1747. Di Maria Serio si parlerà più avanti in riferimento a Vito Petrino.

Fino c. 92v prosegue l’introduzione di Vito Petrino Principe dell’Accademia. le carte 93r-100v  contengono l’intervento di Francesco Ruggiero, le 101r-108r quello di Giuseppe Bardari, le 108v-110r il giudizio di Vito Petrino Principe dell’Accademia, le 110v-129r i componimenti poetici di Vito Petrino, Cono Dello Verme Monsignore d’Ostuni (10), Giuseppe Marchese (probabilmente parente di Fabio), Angelo Lauresich canonico d’Ostuni (5), Carmine De Leo (4), Teodomiro De Leo (4), Fra’ Raimondo Arcuti di Ruffano lettore filosofo dell’Ordine dei Domenicani (2, il secondo, a c. 128r è in dialetto leccese), Giuseppe Ruggiero (2).

Altri nomi si sono aggiunti e tra essi spicca, anche per il numero di contributi, quello del vescovo dimOstuni Cono Luchini del Verme.

La quarta riunione si svolse il 17 gennaio 1731, come apprendiamo dalla carta che segue.

c. 129v

Assemblea accademica in occasione del natale dell’Eccellentissimo Signore D. Fabio Marchese tenuta nella Sala del detto Eccellentissimo Signore alli 17 gennaio giorno di mercordì festa di S. Antonio Abbate1731 ad ore 22.

Le carte 130r-140v contengono i componimenti poetici di Carmine De Leo (3, il secondo a c. 134r è ropalico), Ferdinando De Leo (7; il terzo a c. 138v è un anagramma purissimo letterale).

La c. 141r contiene il sonetto introduttivo di Teodoro De Leo alla sua commedia, che occupa le cc. 141v-146r. Le cc. 146v-156v ospitano componimenti di Ortensio De Leo (3), Giuseppe Ruggieri (2), Girolamo Bax, Oronzo De Leo (2), Francesco Ruggiero.

La quinta riunione si ebbe il 2 aprile 1731, come testimonia la carta che segue.

c. 161r

Problema accademico. Qual sia stato maggior portento del Glorioso San Francesco di Paola; l’entrar nel fuoco, e non abbruggiarsi o il passar il mare e non annegarsi. Tenuta nella Chiesa del Convento dei PP. Antoniani di Santo Vito a 2 aprile 1731 lunedì ad ore 21 giorno del detto Glorioso Santo

Le cc. 162r-171v contengono il discorso di Andrea Felice De Leonardis, le 172r-190v i componimenti di Scipione Ruggiero, Giuseppe Giovanni Greco (3), Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo (2), Ferdinando De Leo (5),Teodomiro De Leo (5), Ortensio De Leo (4).

La sesta riunione si svolse il 14 marzo 1731, come attesta la carta che segue.

c. 191r

 

Problema accademico. Qual fusse stato magiore: il piacimento di Modesto nel’aver il Glorioso San Vito abbracciata la fede Cattolica, o la dispiacenza d’Ila nel’aver il detto Santo suo figlio lasciato l’infedeltà? Sostenuta la prima Parte dal Reverendo Signor D. Andrea Felice De Leonardis licenziato in Teologia, e la 2a parte fu sostenuta dal Dottor Signor D. Ferdinando di Leo. E la detta Accademia fu tenuta nella Maggior Chiesa della Terra di Santo Vitoa sotto li 14 del Mese di Giugno del 1731 Giorno di Giovedì viggilia del menzionato nostro Protettore Martire di Cristo Glorioso S. Vito. E s’incominciò ad ore 22 del suddetto giorno. Li discorsi de quali sono l’infrascritti.

14 marzo 1731 ore 22

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a È la chiesa di S. Maria della Vittoria.

Le cc. 192r-197v contengono L’intervento di Andrea Felice De Leonardis, le 198r-203r quello di Ferdinando De Leo; seguono alle cc. 204r-211r i componimenti di Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo, Teodomiro De Leo (3), Ortensio De Leo (4)

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1 Sul tema vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/ 

2 Casimiro di S. Maria Maddalena, Cronica della provincia de’ Minori Osservanti Scalzi di S. Pietro Alcantara, Abbate, Napoli, 1729, tomo I, p. 234: Nell’anno 1698 la Terra di Martano assieme con Calimera dal medesimo D. Orazio Trani, Duca di Corigliano fu venduta a D. Girolamo Belprato Marchese, Principe di Crucoli, e S. Vito. Tomo 3 del Repertor. fog. 594, e Quintern. 185 fog. 86. Questa nobilissima Famiglia: Marchese prese ancora il Cognome Belprato, allorchè D. Giuseppe Marchese Principe di Crucoli, restò erede di D. Pompeo, e D. Bernardino Belprato, Conti d’Anversa in Appruzzo, che morirono senza Figli. A D. Giuseppe succedè D. Girolamo suddetto suo Figlio primo Signor di Martano. Nel mese di Novembre dell’anno 1676, aveva già presa per Moglie D. ELeonora Caracciolo de’ Marchesi dell’Amorosa. Da Lei ebbe il presente D. Fabbio suo Figlio Principe di Crucoli, e S. Vito, e secondo Signor di Martano. A’ 7 di Febbraio del 1700 sposò D. Fulvia Gonzaga, ch’er de’ più stretti Parenti del Duca di Mantova. Egli vive con una generosità, e magnificenza propria di Principe, onde pare, ch’abbia accresciuto maggiore splendore alla sua cospicua Famiglia. Sugli antenati di Fabio Marchese fino a quasi la metà del secolo XVII vedi Ferrante della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese nei seggi di Napoli, Beltrano, Napoli, 1641, pp. 224-236.

3 Giuseppe Gentili, Vita della Venerabile Madre Rosa Maria Serio di S. Antonio, Recurti, Venezia, 1742, pp. 338-340: Molti altri miracoli trovo ancora registrati ne’ processi, operati dalla Serva di Dio nella Terra di S. Vito, uno de’ quali fu in persona dell’Eccellentissimo Signor Principe D. Fabio Marchesi Padrone di detta Terra. Ritrovandosi egli nel mese di Luglio dell’anno 1726 attaccato da Febbre maligna con pessimi segni, e sintomi mortali, e vedendo, che il male ogni giorno più l’opprimeva, senza ricevere giovamento alcuno da tanti medicamenti sperimentati, un giorno, in cui per la violenza del male neppure poteva sofferire un picciolo spiraglio di luce, onde gli conveniva star totalmente all’oscuro, gli sovvenne di ricorrere alla Serva di Dio Suor Rosa Maria, di cui aveva avuto in dono dalla Superiora del monastero di Fasano un Berrettino intriso del suo sangue. Chiamato pertanto un Giovane, che gli assisteva, per nome Vito Domenico Petrini, e fattogli prendere dal suo scrigno il detto Berrettin, con gran divozione, e con viva fede nei meriti della Serva di Di, applicollo alla sua testa, e indi a non molto comandò a’ suoi domestici, che aprissero le Finestre, e ad alta voce esclamò: – Io sto bene, ed ho ricevuto la grazia -. Quasi nel tempo medesimo sopraggiunsero i Medici, e disse loro, che voleva alzarsi, sentendosi bene in salute, per ispeciale miracolo della Serva di Dio; e quantunque i Medici lo trovassero netto di Febbre, nulladimeno non volevano accordargli l’uscir da lett, mentre non avendo egli avuta crisi alcuna, era cosa facile, che ritornasse la Febbre. Ma egli affidato nella protezione della sua liberatrice: – No – soggiunse loro – non tornerà, perché questa è grazia, ed io ho viva Fede nella Serva di Dio, che me l’ha fatta -. E in loro presenza volle alzarsi dal letto, né più lo molestò la Febbre, godendo poi una perfetta salute. Da questa miracolosa guarigione concepì il detto Signor Principe tale affetto, e fiducia verso la Serva di Dio, e tal confidenza nella sua Reliquia, che quante volte deve accingersi a qualche viaggio, la prima cosa, a cui rivolge il suo pensiero, è il premunirsi con la detta prodigiosa Reliquia, tenendo per certo, avere in essa uno scudo contra ogni pericolo, ed un forte riparo da tutte le disgrazie. Per mostrar poi la dovuta gratitudine, si è più volte portato apposta a venerarne il Sepolcro, e le Religiose di quel Monastero riconoscono nella persona di questo Principe uno de’ maggiori  Protettori del loro Istituto, ed un singolar promotore della Santità della loro V. Madre. Lo stesso Vito Domenico Petrini, del quale abbiamo poco di anzi fatto menzione, fu nel mese di Gennaio 1729 sorpreso da un gravissimo dolore di petto con febbre ardente, e affannoso respiro accompagnato da sputo sanguigno, e da un totale stordimento di capo. Li Medici giudicarono essere il male pericoloso, e mortale, perciocché da’ segni esterni argomentavano esser pontura; determinarono però di non applicargli per allora, che erano le 21 ore, rimedio alcuno, volendo aspettare la mattina vegnente, acciò che il male si fosse maggiormente manifestato. La Madre vedendo il Figlio estremamente angustiato, e li Medici molto lenti nell’operare, desiderosa di porgergli qualche presentaneo sollievo, prese una Reliquia della Serva di Dio Suor Rosa Maria (ed era appunto una di quelle pezze intrise nel sangue, che usciva dalle ferite del suo cuore) avuta dalla Superiora del Monastero, applicolla con fede viva al cuore dell’affannato Figliuolo, e poi fece scrivere una lettera alle Religiose del Monastero di Fasano, dando loro contezza del pessimo stato del medesimo, acciocché colle sue orazioni gl’impetrassero dalla Ven. Madre la grazia. Prima però di spedire la lettera, fece ritorno alla Stanza dell’Infermo, ed interrogatolo come se la passasse, egli rispose di star bene, di non sentir più dolore, né affanno, né calore febbrile … Un fratello minore del sopradetto Vito Domenico, chiamato Andrea, non uno, ma due portentosi miracoli ricevette, coll’applicargli Vittoria Accossa loro Madre le Reliquie della Serva di Dio …  

Alla fine del brano riportato apprendiamo che la madre di Vito si chiamava Vittoria Accossa. Su questo nome la carta 54r, che sopra abbiamo analizzato, pone un problema con il suo Vittoria Avossa. Errore del copista del nostro manoscritto o di stampa del volume del Gentili?

 

Per la seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/04/28/la-settecentesca-accademia-di-s-vito-dei-normanni-2-2/

 

 

 

 

 

 

 

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