Avventure di mare: alcune vicende accadute nelle acque di Gallipoli durante il ‘700

di Antonio Faita

Storie di mare, dei suoi uomini e di viaggi, è il risultato di una piccola indagine condotta sugli atti notarili riguardanti specialmente il traffico marittimo nella città di Gallipoli e alcuni fenomeni legati alla navigazione. Ho appurato anche che durante il Settecento si nota un cospicuo aumento delle imbarcazioni ‘patronizzate’ da patroni napoletani ed equipaggi provenienti dall’area napoletana (Napoli, Procida, Piano di Sorrento, Vico Equense, Positano, ecc..), mentre nello stesso periodo si assiste ad un vistoso calo della presenza genovese. Tale calo risultava soprattutto dopo l’ascesa al trono di Napoli dei Borboni. In questo periodo rimaneva pressochè invariata la presenza francese mentre, accanto ai tradizionali siciliani e maltesi, comparivano sempre più di frequente i velieri inglesi. Le navi commerciali, che trasportavano grano, olio, vino, legname e altre mercanzie erano il tipo di imbarcazione che predominavano maggiormente e che, dalla Puglia e dalla Calabria, trasportavano merci verso l’area napoletana e non solo. Tra le navi di trasporto le più numerose erano le tartane, grosse barche da carico, con scafo in legno di forma piena ad un solo albero con vela latina e uno o più fiocchi, con un equipaggio composto da una decina di marinai. Le tartane vennero, dalla metà del Settecento, sostituite dalle marticane, piccoli velieri di maggiore portata con tre alberi e con un equipaggio composto dal ‘patrone’, due timonieri, uno scrivano, un nostromo, un pilota e alcuni marinai. Tra le navi mercantili frequenti sono anche da ricordare le polacche e i pinchi, questi ultimi presenti dalla fine del Seicento in poi.

Proseguendo la ricerca si è constatato che le cause che determinarono la perdita delle navi furono quasi sempre la forte presenza dei turcheschi e dei corsari in agguato e i numerosi naufragi, provocati dalle tempeste o dalle improvvise burrasche, rappresentando un rischio costante per la navigazione autunnale e invernale.

Dall’analisi della documentazione riporto qui di seguito alcuni stralci delle testimonianze di chi con il mare ha avuto un rapporto intenso e appassionato, proponendo al lettore racconti di mare e di navigazione. Raccolte dai notai Carlo Mega e Carlo Antonio Alemanno, in questo caso le testimonianze avvenivano, oltre alla presenza del Notaio e dei testimoni, alla presenza del Sindaco e dei “Deputati della salute”, una sorta di commissione medica. Il loro modo di vivere e raccontare il mare consegna storie emozionanti, ricche di ricordi, aneddoti e descrizioni indimenticabili.

Gallipoli

La morte di un marinaio

Gallipoli, 6 agosto 1710

Stando lontani e sopravento nel lido di mare del porto di Gallipoli, il signor Sindaco Francesco Roccio, il Dottor Matteo Sansonetto, D. Giovanni Ximenes e D. Giuseppe d’Acugna, Deputati della Salute, assieme con i Dottori Fisici Oronzo Lovero, Salvatore Creddo, Giuseppe Vito Orlandino, Angelo Liviero e con i soliti soldati di guardia, si erano recati per conferire con il signor Gioacchino Zavarese di Sorrento, padrone della tartana nominata ‘Madonna delle Grazie’, per interrogarlo e far calare a terra e accertarsi della morte di un marinaio avvenuta sulla sua tartana. Ancor prima che il signor Zavarese raggiungesse il lido con il suo schifo[1], il dottor Giuseppe Vito Orlandino espose ai colleghi e alla presenza del notaio Carlo Mega e dei testimoni Utriusque Juris Doctor Matteo Cariddi e Nicola Vamelst, quanto era accaduto nei giorni precedenti. Approdata a Gallipoli, il 28 luglio, la tartana del padron Zavarese, proveniente da Corfù, come da prassi, prima di essere autorizzarti a scendere a terra, i marinai dovevano essere interrogati e visitati dal medico per escludere l’esistenza di qualche morbo, come la peste. Appena giunti, su uno schifo, il padron Zavarese e i suoi marinai furono visitati dal medico, il quale li trovò tutti in buona salute ma, per sicurezza, furono posti in quarantena. Venerdì primo agosto, il dottore Orlandino fu fatto chiamare dal signor Zavarese, in quanto un marinaio, di nome Orazio de Trapane di Vico Equense, manifestò dei problemi di salute per cui fu chiesto l’intervento del medico. Intervento che non fu imminente, solo il giorno dopo si presentò il dottor Orlandino con le guardie e i Deputati della Salute. Sceso a terra e, alla presenza del medico, il padron Zavarese disse di ‘tenere sopra la sua Tartana un Marinaro infetto di voce, di nome Oratio Trapane per la quale causa lo richedeva di rimedii alla di quello infermità’. L’Orlandino diede l’ordine ‘chera necessario farlo calare in terra’. Il marinaio fu calato e messo sullo schifo e, a ‘distanza competente et interrogatolo dell’origine della sua infermità’, disse che: ‘come nell’antecedente notte di venerdì (1 agosto) sendosi lo medesimo coricato sopra la campagna[2] della sua Tartana vi dormì tutta la notte in tempo che tirava un impetuoso vento di girocco et alzatosi poi la matina s’intese un grandissimo dolor di torace che li cagionò gran tosse con sputo di robbe catarrali con portione di sangue’. Questi furono gli effetti che tennero dietro a questa imprudenza. Il medico prescrisse all’infermo un “evacuante” ma, malgrado la cura non si verificò, nei giorni successivi, nessun miglioramento. Anzi, lo sfortunato Orazio de Trapane, il giorno 6 agosto, ‘sene passo da questa a meglior vita’. A questo punto intervennero, alla giusta distanza, i Dottori Fisici, ordinando di denudare il cadavere per accertarsi se sul corpo avesse segni evidenti di qualche malattia contagiosa. Non avendone visti fu disposto dai detti medici, dal Sindaco e dai Deputati della Salute, che: ‘fusse portato sopra la detta Tartana e posto entro un tauto ed impececato acciò così poi se li desse sepoltura[3]. La sepoltura avvenne il giorno successivo, sabato 7 agosto, così come risulta dall’atto di morte che riporto qui di seguito: “Nell’Anno del Signore mille settecento e diece à di sette Agosto: Oratio de Trapane da Vico d’anni trenta cinque in circa nella Comunione della S. madre Chiesa rendè l’anima a Dio, il corpo del quale fù sepellito nella chiesa di S. Nicolò fuora della Città, essendo morto ab Intestato[4] per ordine della Curia Vescovale, il quale sopradetto Oratio era marinaro della Tartana del Padrone Gioacchino Zavarese, nominata La Madonna della Gratia, S. Martino, e L’Anime del Purgatorio[5].

Risarcimento danni

Gallipoli, 10 agosto 1716

La storiografia ha sempre privilegiato associare l’immagine dei commerci veneziani con l’aspetto più fascinoso dei traffici con l’oriente, dei prodotti più esotici, dei beni di lusso redistribuiti poi in tutta Europa. Solamente in anni più recenti si è prestata maggior attenzione ad altri generi di commerci, tra i quali quello derivante dallo sfruttamento dei boschi. Non a caso per indicare l’epoca che precede la rivoluzione industriale si parla di “ civiltà del legno”, e Venezia di quella civiltà fu protagonista, inviando tavole non solo verso il sud Italia, ma fino ad Alessandria d’Egitto[6]. Secondo le esigenze specifiche delle varie città, il legname veniva utilizzato per approntare le fortificazioni, per la produzione di mobili e specchi, per l’allestimento dei cantieri all’interno degli edifici e soprattutto come risorsa strategica per eccellenza per qualsiasi flotta navale. Durante il tragitto per via mare non era raro che il prezioso carico andasse perso, o per naufragio o per scelta del comandante del naviglio che se ne disfaceva per scongiurare rischi di affondamento durante violente burrasche. Nell’ufficio del ‘Magnifico Regio Locotenente del Regio Portolano di detta città’ di Gallipoli, i signori Prospero Castagnola e Giacomo Cappello di Lavagna (presso Genova), presenti nel porto gallipolino con le loro tartane, furono richiesti, come ‘prattici nell’arte Nautica’, dal signor Giuseppe Pietra Santa e dal signor Andrea Avallone di Napoli, ‘Padrone della Tartana nominata San Felice, Santa Barbara e l’Anime del Purgatorio’, di fare ‘la determinatione e tassa delli danni patiti da detto Padrone Andrea nella borrasca’ che li investì nel loro viaggio di ritorno da Venezia ‘col carrico di Tavole per questa città di Gallipoli[7]’. Per le difficoltà dovute all’infuriare della burrasca il padron Avallone fu costretto a gettare in mare il suo carico di tavole ‘a sollievo di detta tartana per non sommergersi’. Nonostante però fosse stata alleggerita del carico ‘in numero di duecento ventisette’ tavole veneziane, la tartana subì dei danni ‘coll’haversi rotta una torticcia[8] in tre parti, e l’Antenna del trinchetto anche in tre parti, lo sporone[9] di quella, e perdita di tre petrere[10] tirate in mare dalla banda[11] dalla detta borrasca’. Il tutto fu riportato nel testimoniale redatto dal detto padrone Avallone.  Ascoltato quanto era accaduto, ‘essi Padrone Prospero Castagnola, Padrone Giacomo Cappello’ con giuramento e alla presenza del signor Giuseppe Petra Santa e del padron Andrea Vallone, ‘dichiarorno et attestarno che d’essi visto e considerato li detti danni determinorno in tutto quelli ascendere in ducati Novanta cioè ducati sessanta n’aspettano alla Mercantia e ducati trenta alla barca[12]. Inoltre, dopo il pagamento del nolo[13] di ‘ducati settant’uno e grana settanta al detto padrone Andrea’, i due esperti aggiunsero che il padron Avallone doveva ricevere ‘per danno dell’avaria ducati dodici e grana novanta’. A questo punto il signor Giuseppe Petra Santa[14], ‘in presenza nostra pagò a detto Padrone Andrea Avellone li detti ducati dodeci e grana novanta, che in moneta d’argento usuale di questo Regno manualmente et in contanti ricevè ed hebbe’. L’Avallone quindi ‘se ne chiamò quieto e contento et intieramente sodisfatto e così ancora del detto nolo facendone la dovuta quietanza’[15].

 

Una comoda prigionia

Gallipoli, 24 febbraio 1719

La testimonianza del sergente spagnolo D. Gabriele Rodriquez, prigioniero, assieme ad altri sessantadue tra soldati e marinai, in un palazzo di Gallipoli, non identificato, rilasciata alla presenza del Notaio Carlo Mega e dal testimone D. Benedetto Pizzarro, spagnolo ma abitante a Gallipoli:

Io sottoscritto D. Gabriele Rodriquez Sargente Spagnolo della Nave di Guerra Spagnola naufragata nella Marina della Terra d’Alliste di questa Provincia di Terra d’Otranto, e al presente priggioniero In questa Città di Gallipoli con altri numero Sessanta due Soldati, e Marinari della suddetta Nave, con li quali sono Io stato, è al presente mi ritrovo dentro un Palazzo destinatoci per nostra habitatione dal Signor D. Giovan Battista Pievesauli Sindico di questa Città, Certifico con la presente, dichiaro, e cunfesso d’haver ricevuto dal detto Signor Sindico e dal signor Casciero dell’Università di detta Città dal dì quattro del passato prossimo mese di Gennaro del corrente anno del qual giorno fussimo portati prigionieri in questa Città con ordine dell’Illustrissimo Signor Preside di questa Provincia. In sino hoggi le venti quattro del corrente mese di febbraro, ogni giorno sessanta tre rationi di pane per noi tutti priggionieri, quali rationi sono state di peso once venti quattro, hotto per ogni ratione hiasche di uno [16]di noi priggionieri.

E dichiaro haver riceuto ancora da detti signori Sindico e Casciero Sessanta tre sarcene di paglia per potere noi dormire sopra d’essa et In fede della verità per cautela delli detti signori Sindico e Casciero e di chi aspetta richiesta ho fatto la presente, sotto dalle mie proprie mani[17].

 

La fuga

Gallipoli, 23 agosto 1719

Fuori le mura della città, precisamente vicino la chiesa di Santa Maria del Canneto, si recarono il Notaio Carlo Mega, i testimoni il Dottor Fisicus Giuseppe Vito Orlandino, il Dottor Fisicus Tommaso Senape e il signor D. Giovan Battista Pievesauli, General Sindaco della Fedelissima Città di Gallipoli, i quali, su richiesta di quest’ultimo, conferirono, stando sopravento, con le solite guardie. Queste ebbero l’ordine di chiamare e mantenendosi alle giuste distanze, in quanto in quarantena, i signori Tommaso Cavilline napoletano, di anni ventisei, Antonio Rubini di Ancona di anni ventisei, Lorenzo Selvini di Macerata di anni venti e Nicolò de Napoli, ‘decrepolo’ (deficiente) di Romania. ‘Fatta una croce di legno espostasi a distanza di noi a quelli se li diè il giuramento che dovessero dire la verità’. Disciolta la croce e buttati i legni a mare, iniziò l’interrogatorio. Fu chiesto come mai si trovavano nel porto di Gallipoli e per quale luogo erano diretti e con che tipo di imbarcazione. Disse uno di loro, ‘essendo noi in Malta da passegeri cui andavamo trovando imbarcatione per Genova’, trovarono una tartana gaetana (di Gaeta) vuota senza mercanzia, da ‘passageri s’imbarcorno’  e, navigando un giorno e mezzo nel canale di Malta, incrociarono un vascello spagnolo il quale assalì e predò la detta tartana, facendo prigionieri tutti i marinai e i passeggeri. Per ben venticinque giorni dimorarono sul vascello dopo li quali ‘essi quattro fuggirno da detta nave con una barca piccola’  e, nel mentre si trovavano nel mare di Calabria, navigando per otto giorni, furono avvistati da due tartane francesi che provenivano da Genova e dalle quali ‘li fù dato charitative un poco di pane, acqua e vino’ senza aver dato loro in cambio nulla. Navigando con quella piccola barca, giunsero la sera di venerdì 17 agosto nel porto di Gallipoli dove, su ordine del Sindaco e dai Deputati della Saluti, furono posti in quarantena. Visitati dal medico, risultarono tutti in buona salute e la piccola imbarcazione fu affondata[18].

 

Il legname di Rossano Calabro

Gallipoli, 30 luglio 1745

Nell’affascinante storia della Rossano commerciale una delle merci più preziose era il legname da costruzione per doghe di botti, il cui massimo acquirente era la Puglia. Un andirivieni di navi mercantili che attraccavano alla banchina per poco, giusto il tempo che serviva per scaricare e caricare le merci. Il 19 luglio 1745, si trovava nel porto di Gallipoli e in partenza per la marina di Rossano, la tartana del padron Giacinto Attanasio di Positano, sulla quale imbarcarono: Pietro Condoleo di Tropea, marinaio della tonnara di Gallipoli, il quale fu inviato dal padrone della tonnara per ‘pigliar robba di detta Tonnara’; Francesco Staiano di Positano, mastro bottaro in questa città presso la bottega del signor Francesco Romito, incaricato dal signor Romito per incontrare i mercanti e “per ivi attendere al scarto della legname di far botti”. Salpate le ancore, si fece vela per la marina di Rossano dove giunsero il martedì 20 luglio alle ore sedici[19]. Appena giunti alla marina[20], il ‘Padrone all’istesso tempo andò sopra Rossano per trovare li mercadanti’. Una volta trovati i signori D. Lelio Abenante[21] e Luca Maria Perrone[22], presentò ‘alli medesimi l’ordine del signor Francesco Romito’. Essi gli ordinarono di tornare giù per la marina e che la mattina del giorno seguente ‘si dava senz’altro, principio al carico di detta legname’, in quanto tutto era pronto. Purtroppo l’attesa fu invana, per tutta la giornata del 21 e sino al giorno 23 ‘non comparse persona veruna, ed esso padrone mandò un marinaio sopra Rossano per protestare contro detti mercadanti’ e, per mancanza del notaio, non fece nessun atto di protesta. Sul tardi, della stessa giornata, si recò alla marina ‘detto signor Luca Maria dicendo, che non trovava né carri, né persone per poter portare la detta legname alla marina’, inoltre, che il bosco[23] distava due miglia, caricando e assicurando un viaggio al giorno pur ‘con quattro cavalcature’. Il giorno 24, fino a tarda notte, si abbattè sulla marina una forte tempesta che durò 24 ore e fu necessario mettere in sicurezza la tartana dando fondo[24] con tutte le ancore e ‘capi’, in un fondale profondo ‘braccia quaranta’. Il giorno seguente, pur aver subito dei danni alli ‘capi e grippie[25]’, si ‘caricò sopra detta Tartana tutta quella legname che vi era alla marina’. Legname che non fu in quantità sufficiente per garantire un buon carico.

Verosimilmente ci fu un cambio di programma, quello di far recare la tartana presso la marina della Torre dell’Arso per un ulteriore carico. La sera, infatti, verso le ore 24[26] si fece vela (fig.9) per tale marina, lasciando a terra il mastro Staiano, per avvisare il signor D. Lelio Abenante e di far trovare presto ‘la robba la matina seguente’. Infatti, la mattina del giorno 26 luglio, ‘di nuovo si diede fondo in detta marina dell’Arso[27] in attesa che arrivassero gli ufficiali per dare inizio alle operazioni di carico del restante legname[28]. L’attesa si prolungò sino alle ore 20[29] e, giunti gli ufficiali ‘si pose la gente tutta a far detto carico, che sino ad ore 24[30] si caricarono da una migliara cinque e otto cento detta legname’. Nella notte però, ‘si pose un’altra tempesta à segno di Greco, e Tramontana, che fù necessario di sarpare et andare alla volta del Capo di Santa Maria, e tanto s’ingrossò il tempo che si perse il schifo della Tartana sudetta’. Il giorno successivo, 27 luglio, si fece rotta dal Capo di Santa Maria di Leuca per Gallipoli, e ad ‘ore 20[31] si giunse in questo Porto di Gallipoli[32].(fig.10)

 

Note

[1] piccola imbarcazione a vela o a remi;

[2] Luogo aperto, che si presta al rapido movimento di truppe e di mezzi;

[3] Aslecce, Not. MEGA Carlo, protocollo Anno 1719, coll. 40/13, cc. 229r-230r;

[4] senza testamento;

[5] apsagallipoli, Registro degli atti dei Defunti dal 1702 al 1719, c.82r;

[6] Vieceli m., “L’immagine per i mercanti di legname veneziani tra il XVI e XVII secolo: fluitazione di materiali e di idee”, tesi di laurea, anno accademico 2001/2012, p.7;

[7] Il fenomeno dell’architettura civile e religiosa di Gallipoli, specialmente quello di committenza confraternale, tra il XVII e XVIII secolo conoscerà la più radicale e duratura trasformazione d’immagine della sua lunghissima storia. (vedi: cazzato m. – pindinelli e., “Dal particolare alla città. Edilizia Architettura e Urbanistica nell’area Gallipolina in età Barocca”, Tip. Corsano, Alezio 2000); E’ il caso dell’Oratorio confraternale di Santa Maria della Purità che, fino alla seconda metà del XVIII secolo, fu un cantiere di lavoro per la sua realizzazione. Furono acquistate diverse tavole veneziane per vari usi, come si può notare dal libro dei conti della confraternita presso l’Archivio Storico Diocesano di Gallipoli: Esito 1709, “Per tavole numero quindici a ragione di grana 35 l’una, per la pittura de quattro fatti miracolosi alle mura della chiesa d. 5.1.5”; “Detto prezzo di 4 tavole veneziane che stanno nella Congregazione d.1.2”; Esito 1714-15, “Prezzo per 44 tavole veneziane, d. 22”; “Per 6 tavole veneziane di bulli 6, d. 3.75”; Esito 1737-38, “Pagati a Giacomo Spinola per tavole veneziane, chianette, centre e fatica per mezza d.6.80” (vedi: antonazzo l. –faita a., “Il pittore Aniello Letizia e le sue prime opere di committenza confraternale nella Gallipoli del ‘700” in anxa, n. 5-6 magg.-giu. 2016, pp. 12-13; pindinelli e., “L’Oratorio e la Confraternita di Santa Maria della Purità. I fratelli ‘bastasi’ e l’esito decorativo in età barocca a Gallipoli”, Grafiche CMYK, Alezio 2017;

[8] www.treccani.it: fune costituita da più funi a trefoli, usata per apparecchi di sollevamento;

 

[9] www.treccani.it: Nelle costruzioni navali, speciale forma del dritto di prua di navi militari di ogni tempo (dai più antichi esempi minoici, ai rostri romani, a quelli dell’Ottocento) foggiato in modo da sfondare, con l’urto, la parte subacquea dello scafo attaccato. Uno s. si trova, per scopi completamente diversi, sotto forma di bulbo rigonfio in alcune carene moderne, quale forma adatta a ridurne la resistenza al moto e soprattutto a frenare i movimenti di beccheggio in mare mosso;

[10] A Marine Vocabulary in three languages, (1814): E’ un piccolo cannone di palla di una libra di peso;

[11] www.treccani.it: Ciascuno dei due lati della nave, dritta e sinistra. Essere sbandata;

[12]Sono a carico dell’assicuratore i danni e le perdite che colpiscono le cose assicurate per cagione di tempesta, naufragio, investimento, urto, getto, esplosione, incendio, pirateria, saccheggio ed in genere per tutti gli accidenti della navigazione.

[13] prezzo convenuto per il trasporto di merci;

[14] verosimilmente, agente e garante della mercanzia;

[15] Aslecce, Not. MEGA Carlo, protocollo Anno 1716, coll. 40/13, cc. 364r-365r

[16] ciascheduno;

[17] Aslecce, Not. MEGA Carlo, protocollo Anno 1719, coll. 40/13, cc. 74v-76v;

[18] Aslecce, Not. MEGA Carlo, protocollo Anno 1719, coll. 40/13, cc. 334v-335v;

[19] paltrinieri g., “Fine Settecento: ora Italiana ora Francese”, in ‘Quaderni di gnomonica’ n. 5, Bologna 2002. Dallo studio svolto dal Paltrinieri si può risalire, consultando un grafico, da lui elaborato, a tradurre le ore italiche citate da autori del passto con le ore francesi, cioè in pratica quelle attuali. Le ore 16:00 riportate sul documento, corrisponderebbero, pressappoco, alle ore 8:00;

[20] Storicamente, la spiaggia di Rossano viene identificata con la località di Sant’Angelo, un insediamento che include la Torre Stellata, il fondaco, alcuni magazzini e case di pescatori; Cfr. Francesco Joele Pace, Grano, mulini e pane nella Sibaritide del ‘700, in: Il Serratore. Bimestrale di vita, storia, cultura e tradizioni di Corigliano e della Sibaritide,

n.1(1988), pp. 37–39; Francesco Joele Pace, Rossano:ipotesi di topografia e toponomastica medievale, Corigliano Calabro, Il serratore, 1992; Vito Calabretta e Francesco Joele Pace, I secoli XV-XVIII autonomie e infeudazioni, in: Rossano: storia cultura economia, 1996, pp. 87–134; Francesco Joele Pace, Società ed economia nella Rossano feudale, in: Il Serratore. Bimestrale di vita, storia, cultura e tradizioni di Corigliano e della Sibaritide, n.15(1991), pp. 48–49;

[21] piccioni l. “Una famiglia di ‘Monopolisti’ del Regno di Napoli: sulle attività economiche degli Abenante di Rossano nel settecento, dall’archivio Martucci di Rossano”, 2006: Dalle carte Martucci gli Abenante emergono come protesi, una generazione dopo l’altra, al consolidamento e all’ampliamento del patrimonio e delle attività imprenditoriali, con modalità che appaiono coerenti e consapevoli. Gli Abenante una tra le più vivaci case mercantili operanti nel Mezzogiorno. Quel che sappiamo con certezza è che Lelio nasce nel 1702, fissa la sua dimora principale in Rossano e muore nel 1765 dopo essersi saldamente insediato a Napoli in veste di commerciante. Nonostante non sia nobile e sia insediata a Rossano soltanto da pochi decenni la famiglia Abenante compare in seconda posizione nel catasto per rendita agraria. pp. 104, 108;

[22]I Perrone furono un’antichissima e nobile famiglia del Cosentino sin dal XIV secolo e, in particolare, Giovanni Perrone, segretario dell’Imperatore Carlo V, nel 1521 fu nominato nobile e gli fu concesso di potersi fregiare dell’aquila imperiale. Il ramo di Rossano fiorente in Catanzaro ha goduto nobiltà in Calabria e Sicilia e risulta iscritto nei sedili nobiliari come nobile di Rossano. Luca Perrone, agente negli affari commerciali, nelle negoziazioni e contrattazioni della famiglia Sambiasi. Principi di Campana e duchi di Crosia. La famiglia Sambiase è un ramo della Casa Sanseverino e trae origine da Ruggero Sanseverino il quale, nel XIV secolo si rifugiò in Calabria. Il materiale documentario, posseduto dal prof. Ioele Pace, è costituito da 26 pezzi archivistici compresi tra il 1658 e il 1862 e comprende bandi, pandette del Principe, significatorie erariali, libri contabili, produzioni di causa. Ringrazio il prof. Pace per la sua collaborazione;

[23]Il bosco di Orgia, situato nella zona tra le province di Cosenza (Sila Greca e Sila Grande). Qui avveniva lo scarto di prima o seconda scelta deli alberi di castagno o quesrcia, tagliati in pezzi e utilizzati per la produzione di doghe, remi, pali, per costruire e costituire flotte navali;

[24] calare l’ancora;

[25] Cavo di canapa legato all’ancora, per recuperarla o per indicare il punto in cui è sommersa;

[26] pressappoco alle ore 16:00;

[27] A quanto mi riferisce lo studioso prof. Francesco Joele Pace, la marina della Torre dell’Arso detta Calopizzati, era la marina del feudo di Mandatoriccio dove si praticava il carico e lo scarico di vari prodotti come anche del legname proveniente dal bosco dell’Orgia. Essa era sotto la gestione del regio Portolano del Fondaco di Sant’Angelo che controllava il commercio di tutto ciò che transitava a largo della costa ionica cosentina da Rocca Imperiale a Neto;

[28] calderazzi A. – carafa R. (a cura di), La Calabria fortificata. Ricognizione e schedatura del territorio, Vibo Valentia, 1999, Il “Fondaco”, sede degli uffici della dogana con deposito e magazzino di merci, testimonia come Rossano abbia avuto per secoli, un ruolo economico rilevante per all’importanza di questa struttura daziaria. Il fondaco fu un centro fortificato, posto in riva al mare, atto a difendere e diffondere le ricchezze del territorio. Ad attestarne l’esistenza resta l’attuale Torre Sant’Angelo o stellata, per via della sua forma, costruita per volontà del principe Bona Sforza, tra il 1543 ed il 1564, proprio per salvaguardare l’allora struttura doganale dalle incursioni Arabo‐Turchesche. Gli uffici mercantili erano diversi. Nel fondaco operavano il credenziero addetto alla stima delle merci d’imbarco e responsabile dell’intera struttura;

[29] pressappoco alle ore 12:00;

[30] pressappoco alle ore 16:00;

[31] pressappoco alle ore 12:00;

[32] Aslecce, Not. ALEMANNO Carlo, protocollo Anno 1745, coll. 40/19, cc. 191V-193V.

Questo studio, corredato di note, è la rivisitazione di quanto già pubblicato con il medesimo titolo in Rassegna Storica del Mezzogiorno, organo della “Società Storica di Terra d’Otranto”, n°3, Anno 2019, pp.153-161.

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