di Armando Polito
La Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze custodisce un manoscritto (Plut. 35.231) del XII secolo2, restaurato nel XIV, che fu posseduto e postillato dal Boccaccio3. Esso contiene la Pharsalia di Lucano (I secolo d. C.), poema che ha come argomento la guerra civile che oppose Cesare a Pompeo. L’immagine che segue è la riproduzione della carta 17r.
Sulla sinistra sono riportati i versi vv. 616 (Nec tamen hoc artis inmissum faucibus aequor)-665 (ipsa, caput mundi, bellorum maxima merces) del secondo libro con annotazioni sparse ai margini, mentre sulla destra si nota un disegno, anche questo preceduto, affiancato e seguito da annotazioni. Tutto non è casuale, perché i versi costituiscono la parte iniziale dell’episodio dell’assedio di Brindisi (9-18 marzo 49), dove Pompeo si era asserragliato, da parte di Cesare e il disegno ne rappresenta il porto. Tuttavia la descrizione del porto inizia dal v. 610 e termina al 627, versi che di seguito riporto e traduco.
Urbs est Dictaeis olim possessa colonis,/quos Creta profugos vexere per aequora puppes/Cecropiae victum mentitis Thesea velis./Hinc latus angustum iam se cogentis in artum/Hesperiae tenuem producit in aequora linguam,/Hadriacas flexis claudit quae cornibus undas./Nec tamen hoc artis inmissum faucibus aequor/ portus erat, si non violentos insula Coros/exciperet saxis lassasque refunderet undas./Hinc illinc montes scopulosae rupis aperto/opposuit natura mari flatusque removit,/ut tremulo starent contentae fune carinae./Hinc late patet omne fretum, seu vela ferantur/in portus, Corcyra, tuos, seu laeva petatur/Illyris Ionias vergens Epidamnos in undas./Hoc fuga nautarum, cum totas Hadria vires/movit et in nubes abiere Ceraunia cumque/spumoso Calaber perfunditur aequore Sason.
(Questa città [Brindisi] fu posseduta un tempo dai coloni dittei4 che, profughi da Creta, navi cecropie5 trasportarono attraverso il mare, quando le vele diedero la falsa notizia che Teseo era stato vinto6. Da qui un angusto tratto dell’Italia che già si restringe sospinge nel mare una tenue lingua che racchiude le onde dell’Adriatico con corna ricurve. Tuttavia questo mare immesso in strette gole non sarebbe un porto se un’isola non smorzasse con le sue rocce il violento maestrale e non respingesse onde stanche. Da una parte e dall’altra la natura ha opposto al mare aperto l’altezza di rocciosa scogliera ed ha tenuto lontani i venti in modo che le imbarcazioni potessero stazionare trattenute da una tremula gomena. Da qui si estende il mare aperto sia che si spieghino le vele verso i tuoi porti, o Corcira, sia che si cerchi di raggiungere a sinistra Epidamno d’Illiria che si protende verso le onde dello Ionio. Questo è il rifugio dei marinai quando l’Adriatico scatena tutta la sua forza e i monti Cerauni svaniscono tra le nubi e la calabra Sason è sommersa dal mare spumeggiante)
Passo ora al dettaglio ingrandito del disegno.
Purtroppo lo stato di conservazione (o la qualità della digitalizzazione) non consente la decifrazione di tutte le parole che in esso compaiono in punti strategici, complice anche l’interferenza della scrittura sul verso. Sarebbe strano che il disegno si riferisse all’aspetto che il porto aveva al momento in cui fu tracciato e non fosse invece una ricostruzione virtuale di com’era al tempo della guerra civile, una rappresentazione grafica, insomma, di quanto descritto nei versi della colonna a sinistra.
Dall’alto in basso :
IN
SULA È l’isola di S. Andrea prima ricordata nel verso 617. Non riesco ad attribuire un significato alla corona circolare che la cinge, se non l’allusione ad una struttura difensiva, il che suppone l’esistenza di fabbriche all’interno, come chiaramente si vede in un altro disegno presente in un codice ancora più antico del nostro (è dell’XI secolo), del quale mi sono occupato in https://www.fondazioneterradotranto.it/wp-admin/post.php?post=93632&action=edit e che di seguito riproduco.
MARE MARE
por tus da notare il suo contorno regolare, un cerchio quasi completo, con la circonferenza, però, ad intervalli regolari sovrascritta da sporgenze ed incavi che sembrano alludere ad altrettanti moli. All’interno due torri ed una fabbrica più alta molto simile a quella accanto alla torre nel disegno più antico.
mons mons Alla lettera dovrebbero essere un monte per parte. Mi pare, però, che nel diario di Cesare non ci sia un riferimento preciso nell’elenco delle opere messe in atto per l’assedio, come il lettore potrà facilmente constatare.
Commentarii de bello civili, I, 25, 5-10: Qua fauces erant angustissimae portus, moles atque aggerem ab utraque parte litoris iaciebat, quod his locis erat vadosum mare. Longius progressus, cum agger altiore aqua contineri non posset, rates duplices quoquoversus pedum triginta e regione molis collocabat. Has quaternis ancoris ex quatuor angulis destinabat, ne fluctibus moverentur. His perfectis collocatisque alias deinceps pari magnitudine rates iungebat. Has terra atque aggere integebat, ne aditus atque incursus ad defendendum impediretur; a fronte atque ab utroque latere cratibus ac pluteis protegebat; in quarta quaque earum turres binorum tabulatorum excitabat, quo commodius ab impetu navium incendiisque defenderet.
(Dove l’imboccatura del porto era strettissima faceva gettare massi e costruire un argine dall’una e dall’altra parte della costa, poiché il mare in quel punto era poco profondo. Allontanandosi da lì, poiché un terrapieno non poteva resistere per l’acqua troppo alta, faceva collocare a partire dal punto dell’argine una coppia di zattere di trenta piedi per lato. Le faceva fissare con quattro ancore ciascuna dai quattro angoli perché non fossero spostate dai flutti. Finito di realizzarle e collocarle, ordinava poi di aggiungere altre zattere di pari grandezza. Le faceva ricoprire di terra e materiale per colmare, perché non fosse impedito l’accesso e il passaggio per difendersi; faceva proteggere la parte frontale ed entrambi i fianchi con graticci e ripari mobili; su ciascuna quarta zattera faceva innalzare torri di due piani, per difendersi meglio dall’assalto delle navi e dagli incendi)
Tuttavia il dettaglio che ho sottolineato nel testo originale ed in traduzione risulta chiamato monte anche in una tavola di Andrea Palladio a corredo di molte edizioni7 dell’opera di Cesare, a cominciare dalla prima, dalla quale l’ho tratta: in Commentari di Caio Giulio Cesare con le figure in rame degli alloggiamenti, de’ fatti d’arme, delle circonvallationi, delle città, et di molte altre cose notabili descritte in essi fatte da Andrea Palladio per facilitare a chi legge la cognizione della storia, De Franceschi, Venezia, 1575. Con la circonferenza bianca ho evidenziato ciò di cui si parla.
brundi
sium scritto nel vuoto di quella che ha tutta l’aria di essere la porta principale di accesso alla parte più interna della città. Se non fosse una carta storica, cioè riferentesi ai tempi di Cesare, avrei supposto che potesse essere laporta maggiore, cioè Porta Mesagne fatta costruire da Federico II nel 12432.
ITALIA
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1 http://mss.bmlonline.it/s.aspx?Id=AWOIfaZKI1A4r7GxMIXk#/book
2 Così si legge in https://flore.unifi.it/handle/2158/952178?mode=full.624#.XpQppv0za-w nella scheda compilata da Laura Regnicoli.
3 https://flore.unifi.it/handle/2158/952178?mode=full.624#.XpQppv0za-w
4 Da Ditte, monte di Creta.
5 Ateniesi; da Cecrope, antichissimo re dell’Attica, fondatore della rocca di Atene.
6 Il riferimento è legato al tributo dovuto da Atene a Minosse, re di Creta, dal quale era stata sconfitta: il sacrificio annuale (secondo altre versioni quinquennale) di sette fanciulli e sette fanciulle destinati ad essere divorati dal Minotauro. La terza spedizione sacrificale fu affidata aTeseo il quale promise al padre Egeo che, se fosse riuscito ad uccidere il mostro, al ritorno avrebbe issato vele bianche. Teseo con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, che si era innamorata di lui, uccise il Minotauro, uscì dal labirinto e fuggì con la ragazza, che, però, poco dopo fu abbandonata dall’eroe sull’isola di Nasso. Teseo, però, sulla via del ritorno ad Atene dimenticò di issare le vele bianche al posto delle nere, sicché il padre Egeo, credendo che egli fosse morto, si gettò nel mare che da lui prese il nome.
7 (Con lo stesso titolo) Foglietti, Venezia, 1598 e 1618; Commentari di C. Giulio Cesare, con le figure in rame di Andrea Palladio, le quali rappresentano a gl’occhi di chi legge, accampamenti, ordinanze, & incontri di esserciti, citta, fiumi, siti de paesi, & altre cose notabili contenute nell’historia, Misserini, Venezia, 1619 e 1627.