di Mirko Belfiore
Durante la sua secolare storia, l’abitato di Francavilla poté contare sulla realizzazione di ben tre cinte murarie. La prima, con molta probabilità, fu costruita durante la seconda metà del XIV secolo dopo che, nel 1364, la città ottenne, dal principe di Taranto Filippo II d’Angiò (1329-1374), una concessione per la costruzione di nuove mura, ma di questo tracciato, purtroppo, non rimangono testimonianze.
Alcuni tempi dopo, quando a governare la città giunse il nuovo principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini (1401-1463), ritenendo Francavilla non adeguatamente provvista di una perimetrazione difensiva, ordinò la costruzione di una nuova cerchia. Quest’ultima è riconducibile alla descrizione che ne fa l’abate Giovan Battista Pacichelli (1641-1695) il quale, facendo tappa a Francavilla, durante il suo soggiorno nel Regno di Napoli. fra il 1683 e il 1694, ci racconta di come l’impianto urbano fosse organizzato entro mura, torri e sei porte urbiche: “Al numero concorso delle genti, che dalle convicine, e remote parti vennero a farli novelli Cittadini di Francavilla, si formo la Terra circondata da Mura, e Torri, alle qualu furono distribuite sei Porte, tre picciole e tre maggiori, le maggiori furono la prima chiamata Porta grande, hoggi detta Porta della Piazza; la seconda la Porta di Sant’Antonio Abbate, hoggi del Castello; terza, che fu l’ultima a farsi, La Porta Nuova; le tre picciole, la prima fu detta Porta D’Elia, hoggi di San Sebastiano, la seconda Porta di San Carlo, hoggi la Rucirella, e la terza la Porta di S. Nicolò, hoggi detta dal volgo il Cravotto”.
Con i secoli a venire la città non smise di crescere e anzi, sotto l’impulso dei nuovi feudatari giunti da Genova e del ruolo raggiunto dalla stessa Francavilla in Terra d’Otranto, si giunse al superamento della cinta muraria cinquecentesca. La conseguente spinta edilizia incentivò la realizzazione di nuovi quartieri abitativi, congiuntura che spinse il principe Michele III Imperiale a farsi promotore fra il XVII e XVIII secolo, della realizzazione di una nuova cerchia muraria: la terza.
Quest’ultima, oltre a difendere il numero sempre più crescente di una popolazione che ormai raggiungeva il migliaio di fuochi, raggruppò le nuove borgate nate a Sud, Est ed Ovest dell’antico agglomerato quattro-cinquecentesco.
Percorrendo l’asse Sud che, dall’antica piazza del Foggiaro, oggi piazza Umberto I, prosegue attraverso il Burgo Grande, si erge in tutta la sua monumentalità la mole architettonica della Porta del Carmine, eretta intorno alla metà del XVII secolo e situata all’imboccatura di Via Roma (già Via del Carmine), una delle arterie cittadine fra le più scenografiche della città, sulla quale si andranno a inserire i più importanti ed eleganti palazzi della nobiltà francavillese.
Ad una prima occhiata, si può notare subito la particolarità del suo prospetto, conforme ai canoni dei trattati cinquecenteschi del Serlio e del Palladio e innalzata quasi a voler imitare gli antichi archi di trionfo d’epoca romana. La struttura, deteriorata nella superficie tufacea dall’erosione degli agenti atmosferici, si presenta articolata in tre fornici, tutte contraddistinte da arcate a tutto sesto e fiancheggiate da semicolonne, quest’ultime poggianti su alti plinti e coronate da pregevoli capitelli compositi. Quattro dadi sporgenti e un cornicione aggettante caratterizzano la trabeazione, mentre due ricche cornici rettangolari, poste in asse coi portali laterali, realizzate forse con lo scopo di accogliere scritte mai eseguite, arricchiscono il prospetto principale.
La facciata interna, invece, presenta le medesime modanature ma, in alternativa alle semicolonne, si articola di alcune lesene finemente decorate da festoni floreali.
Lungo la direttrice Sud-Est che, sempre dalla piazza del Foggiaro, procede lungo l’attuale via Regina Elena e insieme a viale Capitano Di Castri crea quell’arteria viaria che mette in comunicazione il centro della città con il Complesso conventuale di Maria S.S. della Croce, fuori le mura, si posiziona la struttura classicheggiante della Porta della Croce (o di Cagnone).
Costruita secondo le fonti intorno al 1714, dai maestri Davide De Quarto e Giosuè Pozzerrese, essa si caratterizza di un prospetto lapideo a bugnato, composto da una serie di pietre squadrate poste a raggiera che, ricoprendo tutta la facciata, evidenzia gli archivolti dell’arcata a tutto sesto e incornicia in chiave di volta lo stemma feudale dei committenti: gli Imperiale. Le modanature continuano in senso orizzontale lungo tutto il resto del prospetto, venendo interrotte solo dalle due semicolonne, unico elemento verticale. Quest’ultime, incoronate da due corpi lievemente aggettanti e poggianti su semplici basamenti quadrati, concorrono come elementi decorativi a creare un gioco chiaroscurale sulla superficie continua dei pilastri. Il medesimo effetto chiaroscurale si accentua nella doppia modanatura posta a metà della costruzione, da cui parte l’impostazione dell’arco, ripresa nella parte rastremata dalle colonne e conclusa da un capitello dorico.
La facciata interna, più sobria, presenta alcune profilature che percorrono in senso verticale i fianchi dell’arcata e in senso orizzontale la trabeazione.
Infine, lungo la direttrice Nord-Ovest posta in posizione diametralmente opposta alla Chiesa dello Spirito Santo, in origine Complesso conventuale dei Frati minori cappuccini, trova posto Porta Cappuccini, già Porta Nuova.
Essa, secondo le fonti coeve, fu costruita durante la seconda metà del XVIII secolo e fu con molta probabilità realizzata dallo stesso artefice della chiesa antistante, fra’ Liborio da Manduria. Porta Nuova, rispetto a quella della Croce, si presenta con linee curve e superfici rotondeggianti, frutto di un’interpretazione del barocco più sobria e misurata. La sua struttura imponente è costituita da un’arcata, sempre a tutto sesto, due semicolonne ai lati, poggianti su un alto basamento e coronate da capitelli compositi, e due ali leggermente rientranti arricchite da un fine arriccio al vertice. La trabeazione è sormontata da un frontone, dai profili curvi e rettilinei, mentre la parte sommitale è caratterizzata da un coronamento dalle spigolature aggettanti e un timpano a mezzaluna.
Sulla parete interna, l’arco ribassato è mascherato da un arco a pieno centro poggiante su due pesanti lesene. Come per la Porta della Croce, anche questo accesso al borgo seicentesco si presenta oggi isolato e poco valorizzano dalle costruzioni limitrofe, ma contribuisce a rimarcare la teatralità che le porte urbiche francavillesi prospettavano ai viandanti che si apprestavano a varcare le soglie.
A queste architetture civili, vanno aggiunte le ormai scomparse Porta Paludi, Porta Pazzano (o di San Vito), Porta San Lorenzo e Porta San Carlo (o Porta Roccella).
Porta Paludi, situata nel quartiere omonimo e posizionata all’angolo fra via Simeana e la direttrice extramurale di via San Francesco d’Assisi, fu demolita nel 1925 perché: “Oltre a rappresentare uno sconcio evidente, (è)… causa grave di pericolo per la pubblica incolumità, date che, nei tempi di pioggia, quel tratto di strada resta del tutto allagato […] e le acque che là si raccolgono, vanno a formare dei pantani immensi”.
Porta Pazzano invece, posizionata a Nord-Est dell’abitato seicentesco, sulla strada che collega Francavilla a San Vito dei Normanni, venne demolita nel 1952. Tramite un’istantanea dell’epoca, possiamo ricostruirne solo il prospetto Sud, semplice nelle linee e nella mole, se paragonato alle precedenti. Quest’ultimo, composto da un arco a tutto sesto leggermente ribassato e una trabeazione rettangolare coronata da un piccolo cornicione aggettante, presenta alcune modanature distribuite lungo tutta la facies, le quali, nell’insieme, contribuiscono ad aggiungere un po’ di dinamismo al prospetto, altrimenti essenziale.
Di Porta di Brindisi (o di San Lorenzo), situata a cavallo fra le attuali via San Lorenzo e via Francesco Baracca, costruita dai già citati Davide De Quarto e Giosuè Pozzerrese nel 1714 e Porta Roccella, indicata nella veduta del 1643 come Porta San Carlo, quest’ultima posizionata alle spalle del convento dei Padri Redentoristi sull’attuale via Barbaro Forleo, non abbiamo più tracce; forse danneggiate dal terremoto del 1743, ma ancora presenti in una pianta ottocentesca della città, subirono probabilmente la stessa sorte di Porta Pazzano e Porta Paludi e quindi smantellate.
Presso queste porte urbiche, poste sulle arterie viarie che dagli agglomerati limitrofi confluivano verso il centro di Francavilla, stazionavano i gabellieri. Quest’ultimi, preposti al controllo delle merci sia in entrata che in uscita, oltre che applicare i dazi preposti, sorvegliavano il flusso e il deflusso degli abitanti, impedendone l’ingresso agli indesiderati. L’importanza di queste strutture era tale che persino la larghezza dei traini era regolamentata seguendo l’ampiezza dei varchi.
Spettatrici di avvenimenti quotidiani quanto di fatti cruenti e sanguinosi, le porte urbiche furono testimoni anche di momenti di giubilo: il 29 marzo del 1740, fra due ali festanti, varcò la soglia di Porta del Carmine, il corteo proveniente da Roma con la principessa Eleonora Borghese, nuova consorte del principe Michele IV Juniore: “con lo tiro a sei, da 40 carrozze a un solo tiro, con una bellissima cavalcata di duecento para di cavalli avanti, con una Infanteria di Libardieri, […]appresso poi da 200 contadini armati sotto lo capitano Scilazza, Alfredo Carlo Di Noi, ricevendola dalla Porta sino alla piazza, sotto una bella e sontuosa Archiata fatta da Core di Donna”.
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