“Zia Valeria”, l’ultimo libro del salentino Rocco Boccadamo, recensito da un altro salentino (lombardo d’elezione), Paolo Rausa
di Paolo Rausa
Conoscendo Rocco Boccadamo di Marittima (Le), ridente località del Sud Salento a ridosso sul mare, a strapiombo sul fiordo suggestivo di Acquaviva, c’è da star sicuri che questo non sarà l’ultimo suo libro di pescatore di perle, o ragazzo di ieri come ama definirsi lui, giovane di bella età in cui tutto è permesso, finanche di volare ma sempre con i piedi ben piantati nel suo paesino natale. Che dico? Nel suo quartiere, nel nucleo costitutivo dell’aggregato rurale che tradisce nel suo nome la vocazione marinaresca. E Rocco è marinaio, di terra però. Se può esserci un nauta che tocca terra ma che vive nell’alto mare dei ricordi, nelle tempeste e nelle gioie della vita come una navigazione di cui si è certi solo del porto di partenza. Infatti, nulla si sa della vita, come per ognuno di noi. Le sue mosse partono da lui infante, circondato dall’amore dei genitori, dei parenti, di tutto il vicinato, che lui enumera e snocciola, nome per nome, età, professione in bilico tra la terra e il mare, grado di parentela, i figli che scappano come lui al Nord per cercare fortuna, però qui hanno piantato le radici che germogliano ma che ricevono alimento e sostanza dal cuore e dalla mente persa nel passato e rivolta al futuro, quasi come fotocopia. Non immagina Rocco una vita senza le carezze della madre, per quanto lo abbia lasciato giovinetto, e se anche si bea delle carezze della nidiata dei nipoti, Rocco resta sempre figlio della sua terra e di sua madre che vigila e lo attende d’estate o nei periodi delle feste natalizie a casa, all’Ariacorte, dove brulicava la vita primordiale di un centinaio di anime, ora quasi spenta. Rocco si fa figlio della propria terra, diventa cantore, “raccontastorie” o “cuntacunti” alla dialettale, rievoca le battaglie non davanti alla Porte Scee ma nel suo nucleo primordiale vitale che assurge ad ombelico del mondo. La compostezza di Rocco si espande grazie alla memoria, alla descrizione minuziosa dei particolari, alla genealogia dei suoi conterranei che hanno condiviso con lui le stradine del paese e la resistenza alla miseria, che hanno imparato a percorrere le strade della dignità come strumento non per conseguire la gloria omerica, ma per esaltare la semplicità della vita nei campi, virgiliana, fatta di tenacia e di umiltà, che ora sta per soccombere. Ecco allora che tutti i personaggi sono evocati da Rocco che, dopo il suo peregrinare in tutta Italia da sede a sede nella sua attività da bancario, ritorna al suo paese, sedotto come la prima volta quando è ritornato da Monza, e poi da Firenze, Taranto, Messina, Lecce, alla sua villa ‘La “Pasturizza”, dove la terra è “mara” e “nicchiarica”, come dice il poeta. Che non morirà mai finché ci sarà il suo cantore in vitam che esalta i particolari, gli attrezzi che ritornano a chiamarsi come un tempo. Divelta la lingua italiana estranea, quegli oggetti vivificano sotto i suoi e i nostri occhi, per un momento riacquistano vita come per essere reimpiegati. Ma l’illusione si ferma qui. A Rocco basta denominarli, secondo il linguaggio antico, e insieme a loro anche i protagonisti, oscuri di natali, ma eroici per aver resistito a un destino difficile, tuttavia non privo di affetto nel richiamo dei nomi propri personali, i Vitale, i Costantino e la zia Valeria, la piccola della famiglia materna, lei che assicura la continuità di una stirpe e di un popolo stampigliato sulle carte in modo che tutti rimangano impressi per non morire mai. Il libro è impreziosito dalla prefazione di Ermanno Inguscio e dalla postfazione di Raffaella Verdesca. Spagine, Fondo Verri edizioni, Lecce, 2019, pp. 162, € 10,00.