di Armando Polito
Non posso fare a meno di fare a meno, scusate il gioco di parole, della famigerata premessa, ma prometto, augurandomi di mantenerlo, che essa sarà veramente breve. Lo faccio introducendo il vero protagonista di questa storia, cioè il senese Girolamo Gigli (1660-1722): professore di eloquenza all’Università di Pavia dal 1698 al 1708 (si capirà a breve perché lo fu per un solo decennio …), socio delle due più prestigiose accademie di quell’epoca e non solo: l’Arcadia (nella quale ebbe lo pseudonimo di Amaranto Sciaditico) e la Crusca, nonché di altre d’importanza, per così dire, locale: quella degli Intronati di Siena (con lo pseudonimo di Economico), degli Accesi di Bologna e dei Timidi di Mantova, il Gigli fu un letterato i cui punti di forza erano l’arguzia e l’ironia. La vera ironia, tuttavia, è quella che ciascuno manifesta nei propri confronti, il che è forse l’unico modo serio per non prendersi troppo sul serio. Così Girolamo, dopo aver tartassato il bigottismo in Il Don Pilone, ovvero il bacchettone falso (commedia rappresentata a Lucca nel 1711, pubblicata nel 1721), non risparmiò frecciate all’indirizzo della sua stessa famiglia in L’avarizia più onorata nella serva che nella padrona ovvero la sorellina di don Pilone (rappresentata nel 1708 e pubblicata nel 1721) e sistematicamente tra il 1712 e il 1714 le ridicolezze del suo tempo negli Avvisi ideali o Gazzettino.
La premessa che ho annunziato non sarebbe più breve se dovessi citare innumerevoli altre opere del Gigli e non andare direttamente alla pietra dello scandalo: dopo aver curato la pubblicazione di alcune opere di S. Caterina da Siena, da esse egli trasse il Vocabolario cateriniano sostenendo la superiorità del senese sul fiorentino. Si attirò, così, i fulmini della Crusca, che lo espulse, e la pubblicazione del Vocabolario si interruppe nel 1717 alla lettera R (già nel 1708 per lo scalpore suscitato dal Don Pilone aveva dovuto rinunciare alla cattedra universitaria) e il libro venne condannato al rogo. Ecco cosa si legge, annotato a penna, su un esemplare superstite del 1717.
(Questo libro pieno di facezie, e motteggi contro l’Accademia della Crusca, de’ Fiorentini, e d’altre Persone di qualità, e forse di chi ci governa, e regge, non solo a Roma fu proibito per Decreto del Maestro del Sacro Palazzo del 21 Agosto 1717, ma bruciato per le mani del Boia nel dì IX Settembre dell’istesso Anno al Bargello a suono di Campana; oltre l’essere stato l’Autore raso a pubblica voce da 40 Accademici della Crusca a ciò adunati la mattina de’ 2 Settembre di detto mese d’ordine del Serenissimo Principe di Toscana Protettore della predetta Accademia; e l’Autore esiliato da Roma per 40 miglia)
Analogo destino subirà poco dopo Il Don Pilone con decreto del 7 febbraio 1718. Ma andiamo avanti.
Correva il 1° gennaio 1720 e da Lecce partiva la missiva che riproduco integralmente, dopo l’antiporta e il frontespizio del volume I, da Collezione completa delle opere di Girolamo Gigli, All’Aia, 1797, v. II, pp. CLV-CLVII.
La lettera reca la firma di Girolamo Palma, Salvador Perrone ed Ignazio Viva, tutti dell’accademia leccese degli Spioni o Speculatori1. In particolare va detto che un dettaglio accomuna Ignazio Viva2 a Girolamo Gigli: anche lui fu socio dell’Arcadia col nome pastorale di Verino Agrotereo, il che ne fa il più coraggioso dei tre3.
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1 Per saperne di più vedi Archivio storico per le province napoletane, anno III, fascicolo I, Giannini, Napoli, 1878, pp. 150-15 e L’ Accademia degli spioni di Lecce, sua origine, progressi, e leggi: dove si fa menzione nommen de’ viventi, che de’ morti accademici, fondata l’anno 1683 dedicata da Oronzio Carro vicesegretario della medesima al glorioso martire di Cristo, patrizio, e primo vescovo di Lecce, S. Oronzio, Chiriatti, Lecce, 1723 (ristampa anastatica a cura di Giuliana Iaccarino, Eurocart, Casarano, 2000); Raccolta di componimenti de’ signori accademici Spioni di Lecce composta in occasione della natività del serenissimo primogenito reale infante don Filippo. Intitolata alla maestà di Carlo Borbone dall’illustrissimo signor don Domenico Maria Guarini patrizio, e general sindaco della città di Lecce, Viverito, Lecce, 1747.
2 Per saperne di più vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
3 Dell’Arcadia era socio dal 1715 Tommaso Perrone, pure lui di Lecce (vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/), ma non so se di Salvatore fosse parente e tanto meno di che grado.