di Armando Polito
Ciò che sto per presentare potrebbe pure apparire come una testimonianza di narcisismo particolarmente diffusa nei secoli passati, se non fosse che essa, tuttavia, permane nei nostri giorni sotto le forme della dedica, della prefazione e della postfazione (queste due ultime, addirittura, non raramente multiple). La prima, la dedica, magari era solo un po’ più sfacciata di oggi, perché sbattuta in faccia già a partire dal frontespizio. E da questa comincio. Nel 1727 usciva per i tipi di Oronzo Chiriatti a Lecce un’edizione del De situ Iapygiae di Antonio De Ferrariis alias Galateo (1444-1517) curata da Giovanni Bernardino Tafuri e dedicata a Giovanni Nicastro, vescovo di Claudiopoli.
La dedica annunciata nel frontespizio ha il suo svolgimento nelle cinque pagine iniziali, cui seguono nella successiva due imprimatur. Inizia, poi, quella che oggi chiameremmo prefazione e che all’epoca consisteva per lo più in componimenti, naturalmente anche loro elogiativi, in latino (esametri o distici elegiaci). Essa consta di un componimento di Ignazio Maria Como (sul quale sorvolerò per non tediare il lettore ed anche perché non è funzionale a quanto fra poco vedremo), cui segue la pagina che riproduco, aggiungendo, come ho fatto per il frontespizio la traduzione e qualche nota di commento.
a Inizia la parte, per così dire, enigmistica dell’elogio in cui 69, 113 e 69 dovrebbero essere i totali risultanti dalla somma del posto che ciascuna lettera che compone ogni parola ha nell’alfabeto. Dico dovrebbero perché i conti non tornano: infatti, se 69 nasce correttamente da 10+15+1+14+14+5+19 e 44 da 1+11+2+1+7+5+17, lo stesso non è per 69, in quanto la somma di 18+1+6+19+16+19+17 è 96 e il totale di 69+113+96 è 278. A questo punto il creatore del giochetto dev’essersi distratto (o ha barato), per cui, invece di segnare 96, ha segnato l’inverso, cioè 69 e poi, operando la somma di 69+113+69 ha ricavato il totale definitivo di 251. La matematica, probabilmente, non doveva essere il cavallo di battaglia del nostro enigmista perché nella seconda parte, se 16 nasce correttamente da 5+3+3+5, lo stesso non può dirsi per 93, in quanto 17+13+10+20+5+12+17 dà 94, mentre corretti sono 44 (da 1+11+2+1+7+5+17) e 98 (da 14+16+9+13+16+19+11).
Il totale corretto (16+94+44+98) è 252. il 251 che si legge è figlio del 93 invece di 94, errore indotto, anche qui non so dire quanto in buona fede, dalla necessità che la somma fosse 251, cioè uguale a quella della prima parte, a sua volta, come abbiamo visto, figlia di errore. Probabilmente l’intera frase piaceva troppo e non sarebbe stato facile cambiarla in un’altra di senso compiuto (e che anche aritmeticamente fosse corretta), dal momentio che tradotta suona così: GIOVANNI BERNARDINO TAFURI, ECCO CHI RISOLVE I DUBBI DEI PREDECESSORI (il riferimento è alle difficoltà incontrate dai precedenti commentatori dell’opera del Galateo).
E il giochetto piacque tanto all’autore che pensò bene di incastonare la seconda parte dell’anagramma nel componimento in distici elegiaci che viene subito dopo. Così apprendiamo che l’autore di entrambi è Giovanni dello Presta precettore del Tafuri.
b Epiteto di Atena, dea greca della guerra, ma anche della sapienza e delle arti.
Non tutto il male viene per nuocere, perché, se l’inserimento di quanto appena esaminato fu un atto narcisistico1, senza di esso, tuttavia, non avremmo conosciuto il nome di chi seguì il Tafuri negli studi letterari e nulla di lui ci sarebbe pervenuto. Provvide poi un discendente di Bernardino a fornirci qualche altro dato. Si legge in Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò stampate ed annotate da Michele Tafuri, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1848, v. I, p. 494, dopo altri nomi di autori che diedero lustro a Nardò: Giovanni dello Presta. Nacque a 22 novembre 1683, e morì agli 11 di marzo 1765. Fu prete, e di poi eletto canonico della chiesa cattedrale di Nardò da monsignor Sanfelice. Fu maestro di lettere amene nel Seminario Diocesano della stessa città di Nardò. ________
1 Ridimensionato, però, dal fatto che l’anagramma e l’epigramma non compaiono nella successiva edizione inserita in Angelo Calogerà (a cura di), Raccolta d’opuscoli scientifici, e filologici, Zane, Venezia, 1732, tomo VII, pp. 35-205.