di Franco Contini
Un’opera di Vincenzo Ciardo è recentemente emersa dal mercato delle aste internazionale. Si tratta di una “Natura morta”, un pregevole disegno realizzato a matita su carta di cm. 24×33, firmato e datato 1947.
L’opera non è inedita ma è stata pubblicata con la dicitura “collezione ignota” nel saggio monografico “Vincenzo Ciardo” di Antonio Cassiano, Lorenzo Capone Editore, 1979, pag. 11.
Pur difettando nella riproduzione fotografica il disegno, nell’originale, si rivela essere una tra le più belle e armoniche composizioni di nature morte realizzate dall’artista, comprese quelle dipinte ad olio.
Immesso nel mercato internazionale da un antiquario di Napoli e proveniente, a sua volta, da una collezione privata napoletana, ha trovato definitiva dimora in una collezione privata in provincia di Lecce. Vi è raffigurata una piccola cesta con frutta di stagione che da sola, tra l’altro, è già un’opera nell’opera. Un trionfo di segni con cui l’autore celebra la magnificenza della natura.
La tipologia dei frutti rappresentati ci consente di individuare anche il mese di esecuzione del disegno: siamo nell’estate del 1947, l’autunno è quasi alle porte, lo si deduce dalla presenza delle melagrane, in particolare, che notoriamente maturano a settembre.
È una natura morta rappresentata alla stregua di un silente paesaggio domestico, intimo, assai bilanciato nella composizione. Nulla dell’immagine ci è dato spostare senza comprometterne l’armonia compositiva.
Su di un piano neutro Ciardo colloca gli elementi che diventano l’allegoria di una stagione e la metafora dello scorrere del tempo. Un grappolo d’uva, una pera ed una melagrana sono contenuti in una cesta; un fico con una foglia dell’albero, una melagrana, una pera e due succulente fette di melone “di pane” –come noi salentini chiamiamo il melone per distinguerlo da quello “d’acqua”– pronte per essere gustate sono
posizionate in primo piano.
Un settecentesco vaso di porcellana di Capodimonte, in secondo piano a destra, traduce l’intimità di un interno privato, probabilmente salentino e presumibilmente della casa avita di Gagliano del Capo dove ogni estate Ciardo tornava e da dove ritardava la partenza per Napoli, città di residenza, anche per godere ancora dei frutti della sua terra, ci piace pensare, aspra quanto generosa.
L’impianto di questo disegno attiva un brulichio di segni tracciati con un ritmo quasi febbrile, tanto che paiono agitarsi eccitati e smaniosi di raggrupparsi in una forma o nello spazio che la forma contiene, per poi placarsi e quietarsi dopo aver raggiunto la compenetrazione degli spazi, pieni e vuoti, evidenziando uguale valore tra forma e contenitore. Quasi la rappresentazione di un amplesso, pari ad un atto sessuale in un matrimonio perfettamente riuscito. I segni non descrivono il dettaglio ma è nel loro aggregarsi-disgregarsi che trovano e ricreano la forma e lo spazio che la contiene.
Ciardo realizza il disegno usando almeno tre matite di differente grado di morbidezza. Inoltre, i segni tracciati con una pressione variabile contribuiscono a loro volta ad ampliare notevolmente la quantità dei toni e ad ottenere una ricchezza di passaggi chiaroscurali tali da raggiungere quasi un effetto pittorico.
A tale proposito possiamo affermare che Ciardo usa la matita per dipingere ed il pennello per disegnare. Ogni segno è pari ad una pennellata di un tono specifico. Altrettanto nella pittura, conserva un potente impianto grafico, con pennellate tracciate come segni, decise a sostenere la struttura compositiva di un dipinto. Un sistema, questo, con il quale tocca i vertici altissimi della poesia.
Giulio Carlo Argan, parlando della qualità poetica dell’opera di Vincenzo Ciardo nella prefazione alla mostra personale tenuta al Maggio di Bari nel 1960 scrive: “Ciardo aggiunge la poesia senza passare dalla letteratura, ma attraverso una selezione sempre più sottile e severa dei mezzi pittorici”. Ed anche Raffaele Spizzico in Ricordando un amico” nel catalogo della mostra retrospettiva del 1973 “Ciardo”, organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Lecce al Circolo Cittadino leccese, parlando di un dipinto dell’artista visto in una galleria romana scrive: “carico di quella vena poetica che al pugliese fa pensare alla storia millenaria di una terra di difficile interpretazione”. La Poesia dunque, come elemento segnante l’arte di Ciardo. Come pure altri critici hanno rilevato.
Tornando al disegno, non è un caso se Ciardo lo firma al centro e non a destra, come solitamente si fa. Le ragioni sono almeno due. Per la prima ragione è che in questo modo enfatizza la centralità della visione, quasi a sottolineare l’importanza della fetta di melone nella composizione. Per la seconda ragione è che intende, volutamente, lasciare lo spazio in basso a destra libero, con un varco aperto allo sguardo del fruitore il quale può accedere agevolmente nello spazio della rappresentazione rasentando la forma curva della seconda fetta di melone collocata diagonalmente in basso a destra. In tal modo il fruitore, una volta iniziato il percorso, è invitato a soffermarsi sul pregiato vaso di porcellana -simbolo di artificio- il quale vaso lo pone immediatamente in dialogo con la cesta di canna intrecciata ricolma di frutta -simbolo della natura-. Un dialogo nato da segni che tradotto in parole significa che l’artista non imita la natura ma la ri-crea (la frutta), nello stesso e identico modo in cui ri-crea l’artefatto (il vaso di porcellana). Vale a dire che il vaso, in realtà, non è il vaso ma rappresenta l’idea che Ciardo ha del vaso, così come la frutta non è la natura ma è il senso di Ciardo per la natura.
Infine, è sulla fetta di melone che lo sguardo si posa per terminare il tragitto, un percorso circolare sviluppato in senso antiorario. Un cerchio, iniziato e chiuso sulle fette di melone, vere protagoniste di una scena dalla quale sembrano arrivare gli effluvi dell’ortaggio appena tagliato oltre ché i sapori degli altri frutti della terra.
Per concludere, considerando la qualità dell’opera, non ci sorprenderebbe scoprire in futuro l’esistenza di una versione dipinta ad olio su tela. Auspichiamo che la ricerca possa dare conferma a questa nostra ipotesi.
Supersano, 27-02-2020
Caro Maestro,non c’è che dire:bellissimo disegno descritto da te in modo mirabile.La frutta, sembra di vederla nella cesta bella colorata e succulenta.La qualità e l’intensità del segno, quasi fossero pennellate.Confesso che invidio lo sconosciuto possessore e vado a caccia dell’eventuale opera ad olio.Un abbraccio e a presto, Coronavirus permettendo.
Grazie del commento, Michele. Buona “caccia” all’olio!