di Armando Polito
Tanto per non cambiare, chi ci dovrebbe rappresentare, soprattutto all’estero, sembra continuare a perdere l’occasione per dimostrare, parole alla bocca, chi siamo, anzi dovremmo essere, se la cultura nel nostro paese avesse un minimo di considerazione. Così, dopo i problemi di “waind” accampati a suo tempo da Alfano a giustificazione di un ritardo, l’attuale ministro degli esteri ci ha deliziato di recente col suo “vairus”, infilato, per giunta, in un discorso in italiano. Voglio essere generoso e lasciarmi prendere dall’infondato sospetto che la sua intenzione era quella di ingraziarsi le simpatie di quel genio, e tanto altro ancora …, di Trump. D’altra parte non ci si può illudere che i collaboratori e gli addetti alla comunicazione, anche loro pagati profumatamente con i nostri soldi, siano ad un livello culturale, come teoria pretenderebbe, almeno un gradino superiore rispetto a quello di chi li fa mangiare. Sotto questo punto di vista la situazione è identica a quella che intercorre tra il livello culturale degli elettori e quello degli eletti. Tornando al “vairus”, c’è da dire che, nel quadro dell’anglofilia imperante, siamo caduti dalla padella inglese nella brace americana, perché i figli di Albione almeno pronunciano così come sono scritte le parole derivanti dal latino, che non sono poche. Per non scomodarne una caterva tra quelle scientifiche, mi limito a citarne solo una di uso comune, anzi comunissimo: “monitor”. Essa tal quale dal latino, in cui significa in generale suggeritore, consigliere (da monère=informare; in senso specialistico, poi, monitor era il servo che suggeriva al padrone il nome delle persone che incontravano per strada. E virus? Appartiene alla seconda declinazione, i cui nomi al nominativo escono in -us (o in -er o in -ir) quando sono maschili (pochi i femminili solo in -us, per lo più nomi di piante) quando sono maschili e in -um quando neutri. “Virus”, che in latino significa “veleno”, rappresenta un’eccezione, perché, pur uscendo in -us, non è di genere maschile né femminile, ma neutro e presenta solo il singolare. Siccome, poi, le disgrazie non vengono mai da sole, esso, sempre al singolare, è usato solo nei casi diretti (nominativo, accusativo e vocativo), mentre in quelli indiretti (genitivo, dativo e ablativo) viene adoperato “venenum” (da cui il nostro “veleno”). Tutto questo per evitare che alcune forme da esso assunte nella declinazione seguendo l’usuale procedura creassero confusione con le omofone di altri sostantivi come “vir” (che significa “maschio”, “eroe”) e di “vira” (che significa “donna”). Di seguito le “mutazioni” cui si è dovuto sottoporre “virus”. In questo e nei successivi specchietti il grassetto in contraddistingue le forme “vietate”.
* La mutazione, che nel singolare si manifesta solo nei casi obliqui, qui li coinvolge tutti. Essendo di genere neutro, avremmo dovuto avere i casi diretti terminanti in –a (ma ciò avrebbe creato confusione con il femminile singolare vira, mentre nei casi obliqui la confusione sarebbe avvenuta con il maschile plurale viris.
Oltre a VIRUS e a VIR, però, c’è un altro sostantivo, questo della terza declinazione, che significa “forza”: VIS. Anche lui è un povero disgraziato, nel senso che nei casi indiretti del singolare è integrato da quelli corrispondenti di ROBUR (da cui i nostri “rovere” e “robusto”), che significa “quercia e, per traslato, “robustezza”. Ecco la sua declinazione con le mutazioni alle quali si è dovuto adattare.
*A differenza del singolare, conserva il suo tema (vir-) perché le forme da esso generate non comportano nessun rischio di confusione.
Non è un caso che VIS, VIR e VIRUS appaiano come tre incarnazioni del concetto di “forza” (basti pensare ai derivati: non tanto “virtù” (pure nativamente riferita a quella militare) e “virilità” (di solito confinante col “machismo”) quanto “violenza” e “virulenza”. Vale la pena riflettere, però, sul fatto che la “forza” umana, che troppo spesso è solo “violenza” deve fare i conti con la “forza” della natura, della quale la “virulenza” degli agenti patogeni, forse soprattutto di quelli parzialmente o, peggio, totalmente “nuovi”, rappresenta il normale, da noi meritato portato.
C’è solo da augurarsi che il Covid-19 incontri un destino più o meno simile a quello del suo nome comune, che, cioè, subisca mutazioni di poco rilievo rispetto al “modello” originale, tali da creare, al massimo, una confusione passeggera tra i ricercatori e che questi trovino rapidamente la soluzione, come, presumibilmente in poco tempo, la trovarono i parlanti, nostri ascendenti, per “virus” individuando e sostituendo quei segmenti causa di confusione e di probabili equivoci. Poi, nel XXI secolo, con “vairus” pure il nominativo avrebbe subito una mutazione, quella dell’ignoranza e del “trendysmo”, contro la quale non c’è vaccino che tenga.
Quotidianamente leggo con piacere cioè che pubblicate. Oggi desidero timidamente smentire il sig. Polito circa la considerazione che gli italiani hanno all’estero. Per ragioni di lavoro, ho viaggiato, per più di trent’anni, in moltissimi paesi, soltanto Canada e Australia esclusi, per incontri in ambienti di altissimo livello sociale. Tutti hanno sempre dimostrato grande ammirazione per la cultura umanistica e artistica italiana. Non hanno, invece, molta stima delle nostre capacità organizzative. L’azienda per la quale lavoravo ha costruito centrali elettriche di tutti i tipi e non dimenticherò mai ciò che mi disse un giorno un grandissimo personaggio ora non vivo: agli italiani io affiderei il mio paese per abbellirlo, arricchirlo culturalmente, ma mai affiderei loro il ministero delle finanze.
Grazie per l’ospitalità e porgo cordiali saluti.
Credo, invece, che la sua testimonianza ratifichi il mio pensiero, che riguardava non certamente le eccellenze, poche o molte che siano, ma la gran parte del nostro popolo ormai immerso in una non del tutto incolpevole ignoranza e, soprattutto, l’intera classe politica. Quest’ultima poi, per quanto riguarda le finanze, se continuerà così, sarà costretta a vendere il nostro patrimonio artistico al miglior offerente straniero, che così potrà, da proprietario, continuare ad ammirarlo senza invidiarci …
che bellezza , professore – che bellezza, e mai come oggi sorte nostra : è babele – cordialità sempre –