di Oscar Zagabria
Questo libro di Paolo Vincenti, si compone di una serie di articoli, comparsi su riviste online prevalentemente nel corso del 2018, che prendono spunto dalla cronaca politica italiana per allargarsi anche al costume e alla musica, sempre a partire da quell’elemento autobiografico che è la cifra distintiva di quasi tutta la scrittura del Nostro.
Lo stile è quello già consolidato dalle precedenti pubblicazioni: “L’osceno del villaggio”, “Italieni”, “Avanti (o) pop!”, a metà tra l’editoriale e il satiresco, tra il serio e il faceto. I libri precedenti erano delle carrellate sui principali avvenimenti accaduti negli anni, a partire dal 2016, anno di pubblicazione del primo volume, filtrati spesso attraverso lo schermo di un televisore, vero e proprio oggetto feticcio per l’autore. Finestra elettrica sempre aperta sul mondo, reale o immaginifico che sia, non importa, dove l’assuefazione può solo essere scongiurata attraverso il continuo cambio di canale.
Ed è lo stesso zapping, anche in questo libro, unica forma di controllo di un mezzo così pervasivo, che sembra essere stato riversato nella scrittura di Vincenti, assurgendo a vero e proprio metodo narrativo che attraverso l’ellissi, la fratturazione degli avvenimenti, il salto senza reti di protezione da un argomento all’altro, cerca di superare l’illusione della continuità logico-temporale impacchettata dalla ideologia dominante. Svelando tutta l’alienazione e lo straniamento dell’uomo contemporaneo. Si trovano così i principali protagonisti della politica politicante del Belpaese, in primis Salvini e Di Maio (che l’autore definisce Dioscuri) accanto ai presentatori tv e ai cantautori storici degli anni Settanta-Ottanta, quali Lo Cascio, De Angelis, Paolo Pietrangeli, De Gregori, Rosso, ecc.
Gli Italieni che popolano le pagine di Vincenti diventano l’emblema e il prodotto di una certa contemporaneità che modella sulla deprivazione culturale e sociale stili di vita e di pensiero, trasformando le persone prima e i cittadini poi in mansueti consumatori a cui si può propinare qualsiasi tipo di prodotto, compreso quello politico.
Vincenti cerca di far deflagrare questo pensiero mainstream attraverso il decentramento e il depotenziamento semiotico dei fatti narrati, che diventano meri pre-testi per poter dire altro, e il frazionamento del testo tramite un cut up diverso da quello utilizzato da Burroughs o dagli autori del programma televisivo “Blob”, e inteso, più che altro, come taglio e divertito accostamento di argomenti, o registri espressivi, apparentemente distanti tra loro, che un sapiente campo lungo restituisce nella stessa pagina con sapienza e ironia, quando non con un vero e proprio distaccato sarcasmo. Ciò avviene là dove l’autore si rende conto che l’illusione di una simile operazione è destinata ad infrangersi sull’impossibilità di andare al di là di un mondo già strutturato mediaticamente che non permette voci fuori dal coro, come la sua.
Una nota a parte meritano le citazioni da canzoni italiane famose e meno famose, che aprono molto spesso i pezzi, anche in questo libro.
In tale presa di coscienza, nell’improvviso blackout del tran tran televisivo, nell’attimo di silenzio che intercorre saltando da un canale all’altro, che riflesso sullo schermo nero finalmente appare in tutto il suo splendore, troviamo Paolo Vincenti, seduto in poltrona con in mano una bottiglia di coca cola, alle sue spalle la libreria piena di classici e accanto il suo mai domo demone della scrittura. Barlumi di autenticità che percorrono e illuminano per intero questa ultima fatica dell’autore.