di Armando Polito
Tamme nna manu cu ‘ndòccicu lu lanzulu! (Dammi una mano per piegare il lenzuolo!). Nell’era dell’usa e getta, non solo in riferimento alle lenzuola, ma anche a tovaglie e tovaglioli monouso, l’invito, normale fino a qualche decennio fa, rischia di diventare un pittoresco ricordo, a meno che non ci sia una rapida e globalmente concorde inversione di tendenza. Lo stesso vale per il suo uso come sinonimo di avvolgere, almeno come riferimento al gomitolo , visto il declino di quelli che un tempo erano normalissimi lavori femminili. Meno male che la voce conserva una certa vitalità quando è usata come sinonimo di incartare. Ad un antiquario dilettante della lingua come me non rimane, comunque, che dire qualcosa sul suo etimo. Essa risulta dall’aferesi di induccicare, cioè in origine era composta dalla preposizione in (come l’italiana, dal latino in). Togliendo in– rimane duccicare. Se dicessi che esso corrisponde all’italiano duplicare che è dall’identica voce latina formata da du– (da duo=due)+plicare=piegare, nessuno ci crederebbe. Conviene, allora, partire da lontano. Ecco gli esiti del digramma pl latino (naturalmente seguito da vocale) in italiano e in salentino: planus>piano>chianu; plenus>pieno>chinu; plicare>piegare>piecare; plovere o pluere>piovere>chiuire. Si nota come puntualmente pl in italiano è passato a pi e nel salentino in ch. Con questa premessa ci saremmo aspettato per quanto riguarda duplicare un italiano dupiegare ed un salentino dupiecare. Non si sono formati né l’uno né l’altro, perché l’italiano (che pure dal primitivo plicare aveva dato piegare) ha conservato il duplicare latino. Lo stesso non è successo, però, con il nostro ‘nduccicare, che ha seguito la seguente trafila: *induplicare> ‘nduplicare (aferesi)>‘nducchiecà (passaggio –pl->-ch-, con geminazione di –c-; la forma è in uso nel Tarantino). La variante neretina ‘nduccicare ha semplicemente eliminato l’aspirazione, per cui alla fine, non si è avuta la consueta evoluzione pl>ch ma pl>cc. Per questa volta almeno credo di non essere rimasto ‘nduccicatu …
Cumma ieni quai cusì me iuti chu chicu lu schiusciune
ricordo di Novoli
Cummà, ieni quai, cusì me iuti cu chicu lu schiusciune
Chiedo scusa se mi sono permesso di trascrivere più correttamente, almeno credo, l’espressione e, più genericamente, di aver risposto al commento tardivamente, non per colpa mia, ma del pc in avaria. Va da sé che “chicu” corrisponde all’italiano “piego” e al neritino “piecu”. La voce di Novoli è interessante perché conferma il passaggio pl>ch presente nel composto “nduccicare” (ma non in “piecu”, che mostra lo stesso esito dell’italiano “piego”).
La seconda osservazione riguarda “schiusciune” (lenzuolo), variante non registrata nel vocabolario del Rohlfs, a differenza di cascione/chiasciune/chiascione/chisciune/cisciune/ghiascione/ghiasciune/giascione, plaùna, tutti dal longobardo plaione/blaione, a loro volta dal germanico antico blahe/plahe=grossa tela