di Armando Polito
E poi qualcuno, magari per atteggiarsi, dice peste e corna di Facebook e simili, ma per pubblicizzare la sua opinione è costretto ad usarlo. Come non tutto il male vien per nuocere, non è detto che questo social, come altri, al pari di qualsiasi altro strumento, non possa servire a qualcosa di utile. Esempio recente: qualche giorno fa (per la storia … il 26/1/2020) Marcello Gaballo, come abitualmente ha cominciato a fare da qualche tempo, sulla sua bacheca ha riproposto un post già apparso, a mia firma, su questo blog il 24/6/2013 (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/24/la-condizione-degli-ebrei-a-lecce-al-tempo-di-maria-denghien/?fbclid=IwAR2lPDvrfXq_ko8JjT1ByJ4dR63CgAY_dwkJsnm6tbDLzNZCLS1Ek0d11Ys).
Confesso che, nonostante l’arteriosclerosi non mi abbia intaccato vistosamente, almeno credo …, la capacità mnemonica, mai riesco a resistere alla tentazione di rileggermi, alla ricerca di qualche strafalcione o con lo scopo di apportare qualche integrazione. Così è successo anche questa volta e, se il risultato di questo nuovo intervento lascerà deluso il lettore, siccome sono testardo, oltre che presuntuoso …, nessuno pensi che rinuncerò a priori qualora si dovesse presentare occasione più o meno simile.
Lì avevo manifestato la mia impotenza di fronte alla voce stompi che si legge negli statuti emessi per Lecce da Maria d’Enghien il 4 luglio 1445 (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/20/riflessioni-su-alcuni-bandi-leccesi-del-xv-secolo/).
Riporto il passo contenente la voce: … che nulla persona christiano, oy iudeo, citadino oy forestieri habitante in la dicta cita non ausa ne degia vendere arbori de arangi, citri, oi stompi a forestieri: li quali volessero quelli portare fore de lo territorio de leze.
Nel commentare il mio stesso post scrivevo due giorni dopo: Nell’edizione della Pastore (Congedo, Galatina, 1979) a pag. 29 leggo: “Vieta la vendita di alberi di aranci, cetri o stompi (grossi limoni) a forestieri che intendano esportarli”. La definizione “(grossi limoni)” è evidentemente presa tal quale (non sarebbe stato meglio ricordarne l’autore con una noterella? …) dalla nota 49 del commento agli statuti che Ermanno Aar (pseudonimo di Luigi De Simone) pubblicò in Archivio storico italiano, tomo XII, anno 1883, che di seguito riporto: “Stompi stempi sono una specie di grossi limoni”. Questo conferma il mio sospetto che si trattasse di un agrume, ma l’etimo (anche di “stempi”, variante o italianizzazione che sia di “stompi”) rimane al momento un mistero.
Non pretendo di aver risolto il mistero ora, ma, rileggendo la definizione del De Simone, ho pensato che stompi potrebbe essere italianizzazione di stuempi, plurale del leccese stuempu (stompu in altre zone) che significa mortaio.
Su stuempu e stumpare non mi dilungo e rimando a https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/01/28/stumpisciare-calpestare/ e chiudo dicendo che quello che sicuramente è un agrume potrebbe aver tratto il nome dialettale non tanto dal mortaio (che è, in un certo senso, il pestato) quanto dal pestello (il pestatore), in dialetto stumpaturu, in uno scambio metonimico tutt’altro che infrequente anche nel dialetto. E se in cetri o stompi quell’o non è disgiuntivo ma vale per ossia, l’ipotesi non appare poi tanto peregrina, pensando alla forma di certi cedri, come quello della foto di testa. E il fatto che l’albero e il frutto abbiano lo stesso genere non è certo una novità per il nostro dialetto.
A questo punto a chi mi chiede se era proprio infame destino che trascorressero più di sei anni per giungere a tale risultato, ribatto che, ad ogni buon conto, è meglio tardi che mai e, se la mia riflessione è apparsa assolutamente improponibile, allora sì ha ragione quel qualcuno che dice peste e corna di Facebook … e poi lo usa. A questo punto, lo spazio riservato ai commenti è pure qui disponibile …
Un’altra ipotesi !
Poiché si parla di alberi di “aranci, cetri o stompi (grossi limoni)”, quindi di agrumi, perché non pensare a quel grosso agrume con la buccia quasi liscia, gialla (come il limone),di forma quasi sferica ma leggermente schiacciata, in alto e in basso, dal diametro di cm. 15//20 che personalmente ho scoperto un paio di anni fa in salento nell’antico giardino/agrumeto,di una nota dimora storica. Quest’agrume internamente ha una spessa parte bianca della corteccia (albedo,4/6 cm.per lato) e presenta un frutto centrale(piccolo in relazione al diametro esterno) a spicchi, giallastro come il limone e di sapore amaro (occhio! Amaro e non aspro). Questo frutto lo ho poi rintracciato anche in vecchi giardini a Bisceglie e a Bari(nel murattiano). Da ricerche su internet mi e parso poterlo individuare nel “Pomelo”(da non confondere col pompelmo). Questo agrume è normalmente coltivato in California(dove lo si mangia al naturale eliminando la buccia che avvolge ogni singolo spicchio, e in Israele.E’ probabile che quelle varietà siano state selezionate, o modificate geneticamente, per renderle commestibili. Di quelli da me assaggiati, provenienti sia del salento che da Bisceglie, ne è mangiabile al massimo uno spicchio in quanto decisamente amaro. La scorza esterna (giallo e albedo) diventa mangiabile,dopo il processo di canditura che abbia subito almeno tre bolliture e cambio acqua e abbondante zucchero.
Ben inteso, la mia è solo un’ipotesi da approfondire.
Le sono grato per avermi fatto conoscere il pomelo. L”ignoranza della sua esistenza per me, da sempre divoratore senza ritegno di agrumi d’ogni specie, è particolarmente grave, anche perché la sua forma appare più convincente di quella del cedro in riferimento all’ipotesi etimologica formulata per “stompu”.