di ArmandoPolito
Fin dal 1957 Vance Packard in The hidden persuaders aveva individuato i nefasti effetti della pubblicità connessa con una politica industriale basata sulla creazione di bisogni, certamente non primari e neppure secondari e che sfruttava tecniche cinicamente mutuate dalla psichiatria e dalla psicologia del profondo. Da allora acqua, sempre più inquinata …, ne è passata, e continua a passarne, sotto i ponti, e da formule pubblicitarie che oggi fanno tenerezza si è passati alle attuali, alcune delle quali mi fanno dubitare della salute mentale dei geni che le hanno partorite, nonostante, in un sussulto di modestia, ogni tanto mi chieda se non dipenda da mia deficienza la loro da me presunta demenzialità.
Nel frattempo, mentre il pianeta appare già in uno stato comatoso irreversibile, e l’obsolescenza programmata è diventata lo strumento fondamentale per alimentare il consumismo ed il connesso profitto di pochi, i grandi della terra nelle loro, immagino costosissime, cene di lavoro riescono solo a rilasciare dichiarazioni tanto roboanti nei toni quanto banali e scontate nella sostanza e bene che vada sono capaci solo di mettersi d’accordo, con un formale impegno, privo di qualsiasi concretezza, a ridurre le emissioni nocive entro un ventennio, salvo revisione, naturalmente al rialzo …
Qualcuno si starà chiedendo che rapporto possa mai esserci tra questa sparata iniziale ed il verbo del titolo. Lo scoprirà leggendo e, soprattutto, riflettendo su quale futuro attende i suoi discendenti col presente che stiamo vivendo e sul quale per quelli della mia generazione aleggia ancora il ricordo del passato, non condizionato più del dovuto dalla scontata laudatio temporis acti (lode del tempo trascorso).
Rinacciare corrisponde all’italiano rammendare e, per quanto s’è detto all’inizio, le due voci continueranno ad essere usate esclusivamente in senso metaforico, magari soltanto a livello letterario: a rinacciare un calzino, per esempio non sarà più (veramente non lo è più da decenni) una nonna, una madre o una sorella, ma un medico a farlo maldestramente con una ferita o una coppia con la sua unione bisognosa di una ricucitura.
Rinacciare è una di quelle voci dialettali formate da componenti che, separatamente, sono presenti nella lingua comune. Nel nostro caso esse sono: ri– (prefisso indicante ripetizione); in (preposizione); accia (sostantivo, sinonimo di gugliata, che è il pezzo di filo che si infila nella cuna dell’ago per cucire). La voce dialettale ha unito i tre componenti con eliminazione, per intuitivi motivi eufonici, della i del prefisso ripetitivo, dando al totale (con l’-are finale) la marca di verbo.
Se ri– deriva dal prefisso latino re– con le stesse funzioni di ripetizione dell’azione, se in è anch’essa dalla stessa preposizione latina, da dove deriva accia?
È anch’essa dal latino acia(m), voce presente in quello classico e che continua, tal quale (poi dalla fine del XIII secolo ci sarà la geminazione della c), nel latino tardo, come mostra la scheda che riproduco, traducendola con l’aggiunta di qualche nota, dal lessico del Du Cange.
ACIA, in Glossario latino-greco è definita ῥάμμα1, che è lo stesso che sutura; e usa acia Petronio2 in un suo passo3: Mi espose tutto per filo ed ago4, cioè in francese: M’ha raccontato tutto, dal filo all’ago. Voce di antica origine, che designa propriamente il filo usato per cucire. La usò con questo significato il poeta comico Titinnio secondo quanto si legge in Nonio Marcello5; la medesima anche Celso6 libro 5 capitolo 267. Su quest’argomento parecchio si trova in Turnèbe8 libro XVII capitolo 21 di Adversaria. Per gli italiani accia è il lino o la stoppa. Questa voce ricorre negli Statuti milanesi, seconda parte, capitolo 308.
Riporto di seguito la scheda del Turnébe, anche perché il Du Cange sarebbe stato più corretto se l’avesse copiata così com’è per intero o avesse dichiarato che non “parecchio” ma “tutto” vi si trovava.
(per facilitare la lettura della traduzione ho scelto per questa il carattere corsivo ed ho racchiuso volta per volta il commento in parentesi quadre)
Come l’ago, parimenti l’accia era tra gli strumenti del ricamatore in oro ed era il filo del piccolo ago
[acicula dell’originale è diminutivo di acus; il dialetto salentino ha il suo esatto corrispondente in acuceddha, usata in passato soprattutto per infilzare le foglie di tabacco o per rammendare i sacchi]
d ha il nome da acies:
[acies=punta; fa parte di una vasta famiglia connessa con una radice ac– indicante cosa appuntita, di cui fanno parte in italiano acciaio, acacia, acuto, acre, acido, aceto, aguglia, guglia …, tutti derivati da altrettanti termini latini; per il greco basti citare l’aggettivo ἄκρος (leggi acros)=estremo, primo elemento di composti come acrobata, acropoli, acrostico …; per il dialetto salentino oltre alla citata acuceddha (anche nella forma cuceddha per errata deglutinazone della a– (l’acuceddha>la cuceddha>cuceddha) favorita forse dall’influsso di cucire) àcura corrispondente all’italiano aguglia (il pesce)]
Titinio: Mi ebbe come schiavo per primo un frigio; appresi questo lavoro./Ho lasciato gli aghi e i fili al padrone e alla mia padrona. Celso libro 5 capitolo 26: entrambe sono ottime di filo molle non troppo ritorto, perché più delicatamente penetri nel corpo. In un antico lessico latino-greco acia è tradotta in ῥάμμα [vedi nota 1], anzi acia e aciela in esso sono spiegati come ἀκαλύφη [errore di stampa per ἀκαλήφη=asprezza].
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1 Leggi ramma. Con essa non ha nulla a che vedere rammendare, che è da ri+ammendare (quest’ultimo da ad+menda)
2Petronio Arbitro (I secolo d. C.)
3 Satyricon, XVII.
4 Corrisponde al nostro per filo e per segno, in cui, però il filo è quello usato un tempo dagli imbianchini per delimitare con precisione la superficie da trattare. Intinto nella vernice, veniva rilasciato di colpo a lasciarvi la linea di demarcazione.
5 Grammatico romano del III-IV secolo, autore del De compendiosa doctrina per litteras ad filium, dove il frammento citato dal Du Cange è al lemma Phrygiones: Reliqui acus aciasque ero atque erae nostrae (Ho lasciato i fili e gli aghi al padrone ed alla nostra padrona)
6 Aulo Cornelio Celso (I secolo a. C-I secolo d. C.).
7 De medicina, V, 26: Utraque optima est ex acia molli … (Entrambe [le suture] sono ottime di filo molle …
8 Adrien Turnèbe o Tournebeuf (nome latino Adrianus Turnebus), filologo del XVI secolo, autore di Adversaria.
Non ricordo la parola RINACCIARE invece ricordo bene Ripizzare
ai miei tempi era dispregiativo additare un bambino che andava in giro con i pantaloni ripizzati cu le pezze puru te culure diversu cusute cu acu e filu.
Per il Prof. Armando ricordo la parola (Vinaccia) si tratta della parte dei raspuli di uva topu la stumpatura ma e tutta un’altra cosa,
un saluto da Torino Ersilio Teifreto
I due termini ripizzare e rinacciare, a mio parere, e chiedo conferma ad Armando, sono differenti come significato. Se il primo prevede di mettere la toppa, il secondo è un lavoro di “filo ed ago”
Esatto.
aciam nel nostro dialetto è diventato “azza”. Una filastrocca così recitava:
“la cucimandeddha la culi-pizzuta
cce sta face intra ‘sta ruta
e sta ccose cu filu t’azza,
la isazza gghè cusuta
la cucimandeddha la culi-pizzuta”.
La cucimandeddha dovrebbe essere un volatile, la cutrettola
http://www.uccellidaproteggere.it/Le-specie/Gli-uccelli-in-Italia/Le-specie-protette/CUTRETTOLA.
E so bene che ho trovato “flo da torcere” per il prof. Polito!
Grazie al Prof.ed alle persone intervenute per avere confermato che Ripizzare e Rinacciare hanno significati diversi, per me esisteva solo ai an giru ripizzatu comu nu scugnizzu, nell’articolo si ricorda che Rinacciare in Italiano vuol dire rammendare, mi sono smarrito quando ho letto Rinacciare un calzino.
un saluto Ersilio