di Armando Polito
Dopo aver passato in rassegna i componimenti dedicati, a parte il primo, agli animali, in cui i riferimenti al mito trovavano diffuso albergo secondo il metaforico gusto dell’epoca, passo a quelli in cui il Gorgoni si misura con problemi esistenziali o fenomeni con cui l’umanità è destinata a confrontarsi fino, probabilmente, alla sua estinzione.
(pag. 81)
La Morte
Senza penne son vento; à scherno hò l’ali,
e ‘l tutto in brieve punto lascio ucciso.
Le Bare elette ad egria funerali.
per carri eleggo dove trionfo à riso.
Pioggie di sangue, e grandini di strali
ovunque giungo, ovunque approdo avisob;
e degli spirti altrui spoglie fatali
empio l’Inferno, e colmo il Paradiso.
Mi porge il Tempo tributaria usura;
già potendo fermar l’Orbe retondo
come estinto l’inceptoc in sepoltura.
Ogni cosa creata in Lethed affondo;
sotto i miei colpi ha da spirar Natura,
Iddio produsse, ed io rovino il mondo.
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a tristi
b annuncio
c ciò che si è iniziato
d Fiume dell’oblio nella mitologia greca e romana; da λανθάνω (leggi lanthano)=nascondere.
(p. 82)
La Politica
Se’ tutto il Mondo à gli miei gesti intento,
sovra tutti i Monarchi impero a pieno.
Chi de’ Statuti miei s’avanta alienoa
voli tra Selve à pasturar l’Armento.
Scovro grandezze, che non regna argento,
con astutie à gli Regni io reggo il freno.
Fingo, che sorda sono, ò cieca almeno,
s’à punire non vaglia un tradimento.
Più nelle Reggie, che ad altrove hò loco.
Dall’apparenze mie nasce il livore;
quando è tempo di pianto, io mostro il gioco.
É delle leggi mie queste il tenore:
d’ogni perdita vasta io narro il poco,
de’ trionfi minuti, il più maggiore.
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a Chi si vanta di essere estraneo alle mie direttive
(p. 98)
Per l’uso delle perucche, frequentato dal vano secolo
Da mentitea à Natura un lusso vano,
che l’huomo accusa effiminato, e molle.
Ebro sì secolo rio, pregiasi invano,
mentre ciocche insensate Aurab l’estollec.
Braccio, che non di spada arma la mano,
almad,che non guerreri ordigni volle:
per lascivetto crin, pensiero insano,
l’accende i fasti, e vanità già bolle.
Censurata livrea, vile ornamento,
hor i petti virili abbaglia a torto,
tesor, ch’odia fortuna, e furae il vento.
Ecco, chi non dirà con senso accorto,
che l’huomo forte, divenuto lento,
oggi per Nume adori il crin d’un morto?
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a cose finte
b il vento
c solleva
d anima
e ruba
(p. 131)
Forza dell’eloquenza
Tutto può, tutto fà, lingua loquace,
qualor con salia à lusingarti viene,
pretenda Ulisse, e benche erede è Aiace,
perche l’armi d’Achille, e Ulisse ottiene.b
Vinca Reina, in libertade, in pace
senza leggi tiranne, e senza pene:
e ‘l gran Periclec, nell’orar fugaced,
libera, indusse in servitude, Atene.
Eloquente spergiuro Acheo Sinone,
seppe sì dir, che la Troiana plebe
chiuse il greco destriero entro Ilione.e
Folef son poi, che le marmoree Glebe
con la lira tirò g, mentre Anfione
con l’eloquenza fè le mura a Tebeh.
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a arguzie
b Allusione alla contesa tra Aiace ed Ulisse per l’attribuzione delle armi di Achille, con il tragico epilogo celebrato da Sofocle nell’omonima tragedia. Dopo che Ulisse viene giudicato più degno di lui di prenderle in consegna, Aiace medita la vendetta ma la dea Atena gli toglie il senno, per cui egli compie azioni indegne di un guerriero. Ritornato in sé, per la vergogna si uccide.
c Politico, oratore e militare ateniese del V secolo a. C; la sua azione politica non ha mai trovato valutazione concorde tra gli studiosi, considerandolo alcuni un liberale, altri un semplice populista. Già lo storico Tucidide (V-IV secolo a. c.), che pure era un suo ammiratore, in Storie, II, 65 così si espresse: Ἐγίγνετότε λόγῳ μὲν δημοκρατία, ἔργῳ δὲ ὑπὸ τοῦ πρώτου ανδρὸς ἀρχή (Era a parole una democrazia, nei fatti il potere era sotto il primo uomo). Il Gorgone sembra aderire a questo giudizio.
d veloce, abile nell’arte oratoria
e Sinone si lasciò appositamente catturare dai Troiani e riuscì a convincerli ad introdurre dentro le mura di Troia (Ilio>Ilione) il famoso cavallo di legno.
f favole, qui, però, non in senso dispregiativo ma in quello di racconti mitici.
g Orfeo con la sua cetra faceva muovere alberi e pietre (marmoree glebe), fermava i fiumi e ammansiva le belve.
h Anfione per la costruzione delle mura di Tebe utilizzò le pietre del Citerone spostandole con il suono della lira donatagli da Ermes.
Il prossimo sonetto che leggeremo è un’insolita, per quei tempi, dichiarazione d’indipendenza. Malizia mi suggerisce di chiedermi quale sarebbe stata la dedica, vista quella che suo fratello indirizzò, quattro anni dopo la sua morte, a Francesco Maria Spinola (1659-1727), che tra i tanti titoli, riportati nel frontespizio, deteneva anche quello di duca di S. Pietro in Galatina. Scrive, fra l’altro, Giovanni Camillo trattarsi di un attestato di antica e cordiale osservanza, il che fa pensare ad un rapporto datato, cosa confermata quasi in conclusione, dove si legge: Felicissima dunque s’appelli S. Pietro Galatina mia Patria, di cui è meritevolissimo Duca. Per esserle toccato in sorte di havere sì Nobile, Valoroso, Virtuoso, e Benigno Padrone. E d’ogni invidia degna si stimi la mia casa, con occhio cortese sempre da sì sublimi Padroni, e rimirata, e protetta. Le raccordo per fine, e protesto, che nella Schiacchiera, glorioso Stemma del suo gran Casato, ove si mira, et ammira l’apparato di tanti varii Personaggi, saranno sempre i Gorgoni le pedine, e pedoni a piedi suoi posti, e prostrati. Sicurissimi di mai assaggiare Schiacco matto di sinistra Fortuna.
Nell’immagine che segue lo stemma della famiglia Spinola1 (d’oro, alla fascia scaccata di tre file d’argento e di rosso, sostenente una spina di botte di rosso, posta in palo) sul portale principale del palazzo ducale a Galatina, a riprova che quanto ad invenzione metaforica Giovanni Camillo non era da meno di Angelo.
foto di Alessandro Romano
Tenendo conto anche di quello intitolato La Politica, che abbiamo letto prima, mi chiedo se in fase di pubblicazione Angelo li avrebbe eliminati entrambi dalla raccolta autocensurandosi o li avrebbe mantenuti, a costo di urtare la suscettibilità dell’eventuale, quasi inevitabile per il costume dell’epoca, dedicatario.
(p. 179)
Non hà genioa di servire in corte
Nacqui à me stesso, e così far non voglio
me stesso d’altri, e suggettar mia sorte;
qualor bersaglio mi propongo à morte,
punto da i dardi suoi, vòb che mi doglio.
Essere ad onde di capriccio un scoglioc,
troppo duro è per me, troppo m’è forte.
Ha stravaganti idolatrie la Corte,
giacche al pari del Rè s’adora il sogliod .
Ivi potenza è podagrosa all’attoe,
prima, ch’un’alma poco onore avanze,
i crini d’oro inargentati ha fattof.
Han, politici i Rè, barbare usanze;
serbano i Corteggiani in sù l’estrattog,
ond’hanno metafisiche speranze.
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a voglia
b voglio
c Il potere è paragonato al capriccioso movimento delle onde.
d Il trono, simbolo del potere.
e lenta a muoversi, come chi è affetto da podagra
f prima che un’anima consegua un po’ di onore, ha reso i capelli color argento da biondi che erano (l’interessato è diventato vecchio)
g mantengono il favore dei cortigiani con promesse astratte
(p. 180)
Abbondanza di poeti
Mancano gl’Alessandri, e i Cherilia
in maggior copia in ogni parte io trova
de’ metri armoniosi al Mondo novo,
più, che frutto gl’Autunni han fior gli Aprili.b
Dell’acque Pegaseec sorsi sottili
non si bevon lassù, per quel che provo.
Nascono Cigni d’ogni specie d’ovod,
a cui, fonti fatali, or sono i Nilie.
Le lire degli Orfeif, mille Neantih
trattan con man superba; e ‘l canto foscoi
par, ch’à sdegno attizzasse anco i latrantil.
Più si canta, che parla. E sì conoscom,
che Parnaso incapace à Cigni tantin,
vanno i Poeti, come i branchi al boscoo.
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a Mancano i grandi condottieri ed i poeti epici; per i primi viene citato Alessandro Magno (IV secolo a. C:, per i secondi Cherilo di Samo, poeta epico del V-IV secolo a. C.
b in misura più appariscente dovunque io trovi al mondo poesie armoniose: come i fiori in primavera sbocciano ma non maturano mai in frutto. Probabilmente al Lezzi è sfuggito lo stile contorto di questi versi, altrimenti il suo giudizio sarebbe stato, se possibile, ancora più severo.
c Pegaso era un cavallo alato che per ordine di Posidone arrestò la crescita del monte Elicona verso il cielo, dovuta al piacere datogli dal canto delle Pieridi in gara con le Muse, con colpo di zoccolo che fece sgorgare la fonte Ippocrene.
d nascono poeti destinati geneticamente a non esserlo
e per le quali fonti d’ispirazione non sono quelle della poesia antica (tra cui la fonte Ippocrene appena citata) ma fiumi senza mitiche implicazioni poetiche, come il Nilo
f Vedi la nota g a p. 17.
h Neante di Cizico, storico greco del III secolo a. C., viene qui assunto come modello di chi dovrebbe dedicarsi solo a ciò per cui ha provato talento (il che, però, non esclude che uno storico possa essere, magari solo potenzialmente, un poeta e che un poeta non sia negato, quasi geneticamente, per la storia).
i oscuro
l i cani
m vedo
n essendo il Parnaso (monte della Grecia centrale nell’antichità sacro ad Apollo e Dioniso, nonché sede delle Muse e, dunque, simbiolo della poesia)atto ad ospitare tanti (sedicenti) poeti
o vagano nel bosco come gli animali in branco
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1 La famiglia Spinola, di origini genovesi, vantò ben undici dogi dal 1531 al 1773 e ben quindici cardinali dal XVI al XIX secolo.
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/27/angelo-gorgoni-1639-1684-di-galatina-e-una-stroncatura-forse-immeritata-1-2/