di Pietro De Florio
Luciano Falangone, un artista esuberante e anticonformista, uomo libero e amico sincero. La sua arte indagava l’essenza seducente del colore, ma l’affievolimento della vista e poi la sua totale perdita, a causa di una crudele malattia, interruppe questo viaggio nel colore.
Lui diceva di immaginare il colore, di conservare la memoria degli accordi o dei contrasti, di emozionarsi ancora pensando all’arte che non poteva più fare o quella ricordata e studiata fatta dai grandi artisti del passato; il suo, oramai, diventava un dipingere mentale, con l’incalzare della malattia.
Un poderoso desiderio d’arte lo pervadeva, ma inesorabilmente frustrato dalla malattia, come un po’ nel mito di Tantalo, un personaggio della mitologia greca che assetato e affamato è appeso, per volere di Zeus, ai rami di un albero proteso su una palude, nell’impossibilità disperata di bere e mangiare, in un eterno supplizio 1.
Luciano Falangone nasce a Nardò il 26 febbraio 1956, primo di due fratelli e due sorelle, la madre Annetta e il padre Leonardo (Narduccio) contadino lo educano ai sani principi del rispetto del prossimo, all’amore per la famiglia e al valore dell’onestà. Nel 1982 sposa Ivana, la dolce e paziente compagna di tutta una vita, colei che lo ha sempre amato e, a volte, sopportato; il nostro artista, sebbene essenzialmente un uomo buono e generoso, non aveva un carattere facile, non ti mandava a dire le cose. Negli ultimi anni, con la perdita della vista (nel peggioramento generale della stato di salute), iniziava un vero patimento inenarrabile, per lui che era una persona vigorosa e atletica e, per giunta, pittore a cui il senso della vista non può mancare. Quindi gli si perdonava tutto volentieri.
Tra l’amore della moglie, l’affetto dei due amatissimi figli Leonardo e Giulio, Luciano concludeva precocemente la propria vita il 14 luglio 2019.
Già da ragazzo manifesta una chiara predisposizione al disegno, tant’è che da adolescente si iscrive all’Istituto d’Arte di Nardò, conseguendo la maturità d’Arte Applicata nel 1976. Gli anni della scuola sono particolarmente fecondi, acquisisce le competenze grafico – progettuali nel campo della composizione dal vero e, nel settore della rappresentazione geometrica, padroneggia il rigore metodologico della forma rappresentata nello spazio. Ma soprattutto dirompente sarà in lui lo studio della Storia dell’Arte, quando conosce i grandi maestri delle avanguardie storiche del Novecento, rimanendone affascinato, nel suo animo, ormai, è in atto una rivoluzione copernicana estetica. Tuttavia va detto che nell’Istituto d’Arte di quel periodo la didattica si sforzava di conciliare la ricerca artistica con l’industria, attraverso la progettualità e produzione seriale standardizzata di manufatti d’arredo o elementi decorativi. L’artista non ci sta a questa specie di omologazione formale che esautora la creatività, già al terzo anno è in contrasto con qualche docente, riesce a prendersi una sospensione dalle lezioni, con l’esclusione dal viaggio di istruzione e contestuale perdita dell’anno scolastico.
All’abusato metodo di socialità artistica veteroBauhaus di quegli anni, preferisce l’esaltazione antifunzionalista dell’avanguardia surrealista, almeno qui si sente libero, nell’inversione di senso della rappresentazione (non astratta), comunque figurativa in cui si riconosce generalmente la pennellata sfumata e precisa 2 della tradizione figurativa occidentale ad iniziare dai quattrocentisti toscani. Adotta la scelta figurativa dell’esuberanza onirico – simbolica e al contempo “barocca” di un Salvator Dalì. L’altra avanguardia a cui guarda Luciano è la Metafisica novecentesca, almeno per quel che concerne la negazione della realtà naturale, privilegiando un altro mondo, appunto metafisico o metastorico, inclinando verso una più proficua adesione, sebbene episodica, per Carrà 3.
Dopo la Maturità frequenta l’Accademia di Belle Arti a Lecce. Anche in questo caso entra in polemica con i docenti: l’Accademia gli pareva troppo accademica, ormai lo spirito innovativo e rivoluzionario della pittura novecentesca si cristallizzava in una sorta di scolastica filosofica, una specie di grammatica dell’astratto, con le sue regole e canoni, cosa che a Luciano non andava per nulla, infatti dopo appena due anni abbandona l’Accademia leccese. Egli vuol tornare alle origini della pittura, al piano, alle superfici bidimensionali, agli elementi fondanti della rappresentazione, intuisce che l’arte nasce dall’artigianato, dal fare manuale cosciente, dal lavoro creativo soggetto a regole. Luciano, in un certo senso, segue questo percorso, prima di essere artista da ragazzo per guadagnarsi una propria indipendenza economica, era un artigiano o, meglio senza ironia, faceva l’imbianchino e da imbianchino nella preparazione delle idropitture osservava incantato come il colore si dava alla luce, quando dai bianchi riusciva, mescolando altre essenze colorate, arrivare al pastello desiderato o alla tinta forte prevista. È attento alle mescole dei colori che già aveva avuto modo di studiare in Storia dell’Arte a proposito degli impressionisti.
Luciano riesce a realizzare sulle tele superfici dalle campiture cromatiche liquide e vibranti a volte traslucide, opache, invece sulle pareti, cercando qui il tono ideale da accordare con le possibili varianti del contesto. Tinteggiare un muro significa farne una specie di ponte (come una finestra), un’apertura, la cortina cessa di essere barriera bianca (perlopiù) fisica e psicologia del non luogo, la parete diviene permeabile, un posto per la vita, uno spazio di vita aperto, sebbene chiuso da quattro pareti, dopotutto si vive tra quattro pareti. Quindi il colore assume una funzione di ponte, facendo fluire il senso tra interno ed esterno, allora l’ambiente si trasforma in luogo dell’abitare4. Si spiega allora perché Luciano prediligesse il Veronese e il Tiepolo, artisti che nei loro affreschi dipingevano spazi aperti e atmosferici. Per questo la prima pittura di Luciano assume un aspetto lucente di espansione coloristica liquida, si dice che in quadri di Luciano arredino, fanno ambiente, sono colore, aprono le superfici / barriere dei muri, ora l’artigiano / imbianchino diventa artista.
Non si può fare a meno di porre in correlazione l’arte di Luciano Falangone con una citazione de pittore Mark Rothko che rivalutava l’arte dell’imbianchino quale azione primaria e naturale: “Noi – diceva Rothko – siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto dell’inequivocabile. Noi desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Noi siamo per le forme piatte perché esse distruggono l’illusione e rivelano la verità” 5.
Antefatto
Un’opera d’arte può nascere da un processo creativo libero, per certi aspetti spontaneo, con soluzioni che si presentano dinanzi all’artista prima ancora di cercarle. Spesso mi trovavo nello studio di Luciano e lo osservavo mentre dipingeva. Non rinunciava a conversare, scherzava e divagava amabilmente, quando magicamente alla fine l’opera con naturalezza e semplicità cominciava ad esistere, nonostante l’artefice pensasse, durante la realizzazione, a tuttaltro. Questo per dire che se il giudizio estetico può apparire complesso nella lettura dell’opera, l’artista invece, intuitivamente (consapevolmente o meno), spesso giunge generalmente pressappoco alle stesse conclusioni critiche, ma per altre vie che sono quelle ben superiori della libertà creatrice, un po’ come sosteneva il Croce 6.
Il suo modo di produrre ancora arte figurativa, fatta di impulsi luminosi e di fine ricerca coloristica, lo rende alternativo alle sollecitazioni neoavanguardiste degli anni settanta e ottanta che arrivano nel Salento. Non lo interessano i sofismi concettuali dell’astrattismo, egli, invece, sceglie un percorso estetico, per così dire, espressionistico neometafisico – surrealista in cui il senso della rappresentazione non viene rimosso.
Colori e Fluidità Formali anni 80’-’90
Predominanti nella produzione artistica sono i paesaggi, ma Luciano, almeno dal 1984 – 1986, ha realizzato anche della ritrattistica e, laddove nei dipinti di vedute apparissero delle figure umane, queste connotavano perlopiù contenuti simbolici ed esoterici.
Generalmente, nei dipinti di questo periodo, la linea di terra è bassa, per dare più spazio a un cielo che transcolora dall’azzurro ai toni caldi dal giallo, al rosa e al lilla e spesso sono presenti volumi (perlopiù casette, ricoveri contadini, ecc.), plasticamente modellati e chiaroscurati, segni di sostanzialità plastica, di vaga ascendenza alla Carrà , qui e là si notano filamenti serpeggianti di vegetazione in primo piano.
Si ha la sensazione che l’artista voglia esprimere in questa prima fase un senso di pace. Altri dipinti sono impostati su linee orizzontali che ricordano l’impostazione alla Van Gogh (Mietiture del 1888), con fasce a volte monocromatiche, interrotte e puntinate dal rosso dei papaveri e da una esile linea blu di un possibile e fantastico mare posto all’orizzonte.
Lo spazio assume una disposizione fluida, non si lascia misurare, tutto è sospeso, in accordo simbolico ai spesso presenti papaveri che rimandano alla proprietà soporifera di Ipnos, il dio greco del sonno, fratello di Thanatos, per meglio dire la morte 7. Traspare una forma d’inquietudine, un senso di smarrimento, in questo spazio senza direzione e profondità, in cui si annuncia l’inconsistenza metafisica del mondo 8.
In altre opere lo sfondo linea d’orizzonte e profondità si dileguano del tutto, prende vita un sistema coloristico a spirale, in un avviluppo che inizia dai toni caldi in basso (gialli e arancio), mescolandosi con quelli freddi in alto, roteanti intorno a elementi terrestri, quali terra, spighe di grano e papaveri; il tutto dalla pregante valenza simbolico energetica (giallo: terra; rosso: potenza – azione – energia), secondo quanto teorizzava Kandinskij 9. Questa è fase di ricerca psicanalitica della pittura di Luciano: la pulsione filogenetica dell’eros (nel senso proprio, di forza vitale e libertà creativa) frustrata o frenata dall’organizzazione vincolante della strutture sociali, si trasforma in aggressività, senso di colpa e, alla fine, istinto di morte o thanatos (papavero), in una regressione psichica nel pre – biologico, al geologico, fino alla stasi finale nell’inorganico 10.
Ecco allora emergere l’aspetto surrealista dell’interiorità inconscia 11, in antitesi alla ragione cartesiana diurna dominante. È il motivo per il quale il dipinto si presenta senza alcuna separazione tra fondo e primo piano, tutto ruota intorno alle figure simboliche centrali, come nell’individuo; la psiche non è separata dal corpo e questo, per analogia, non fa da sfondo.
Nel “Paesaggio blu” (fig. 2) l’autore pare risenta degli influssi della Transavanguardia, un modo di prendere le distanze dagli astrattismi concettuali informali e, come dice Achille Bonito Oliva, si tenta di trattenere “un patrimonio storico nelle scelte dell’artista”, con un ritorno alla manualità e alla figurazione espressionistica 12.
Si tratta di un paesaggio montano e contemporaneamente marino o lacustre; dai blu intensi variamente modulati, si passa alle tonalità primarie di giallo e rosso e a quelle secondarie di verde, mentre la presenza di striature spatolate evocano un senso di profondità, ma tutto, però, vien dato in superficie in una sorta di intuizione immediata. I monti in lontananza richiamano a paesaggi lontani, strani, esotici, magari alieni. Di tutt’altro registro è il cielo, un’estensione infinita, quasi cosmica dai colori magenta, rosa e gialli che si stemperano nel blu man mano che lo sguardo sale verso l’alto in uno spazio emozionate, totale continuo nato da un unico respiro che ricorda al pittura ottocentesca dell’inglese Turner; sotto l’orizzonte, invece, un’estensione discreta (anche dei monti), sintetizzata dal blu in una sorta di recupero plastico di tradizione postimpressionistica alla Cezanne. Rimane un senso pittorico – poetico, quasi magico, per certi aspetti vicino alla pittura di Nicola De Maria 13 (tela: Mare, chiudere gli occhi, o mare. Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), una sensazione di spaesamento, ma la gamma cromatica particolarmente estesa permette un recupero rassicurante e consolatorio.
In altre opere della metà degli anni ‘90, specialmente nelle tempere su cartoncino, inizia la fase delle rappresentazioni (apparentemente) caotiche: un turbinio di colori, bastano pochi punti di rosso (fiori), per ricomporre mentalmente l’immagine. Colori che debordano, accostamenti multipli, aspetto figurativo contraddetto dalla dissoluzione dell’immagine ecc.
Fare un quadro non è semplicemente un dare a percepire qualcosa; l’autore, invece, vuol rifare la realtà nella pienezza dei colori, nella densità di timbri, nel dissolvimento apparente della profondità dei piani. Siamo, in un certo senso, alla fase pre – classica del nostro artista. Il caos iniziale visto in termini negativi diventa adesso apertura, cioè un qualcosa che si dischiude. Infatti il significato originario di caos, per gli antichi Greci (presocratici), è proprio questo, e non mescolanza o confusione degli elementi primordiali. Quindi apertura originaria in cui ogni cosa nei suoi aspetti costitutivi è presente: dei, uomini, natura, per tutti i possibili mondi di là da venire. Scriveva Eraclito di Efeso nel V sec. a.c. “Quest’ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è sempre fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne” 14.
Per analogia l’arte di Luciano si mostra, consapevolmente o meno, appunto come apertura di mondi, luoghi di possibili genesi alla maniera greca. È la vecchia azione del lògos che fa sbocciare naturalmente una forma facendola venire alla luce per rendersi visibile, senza che ci sia alcun calcolo o concetto di ragione strumentale 15.
Con – formazioni (dal 2000)
In questa seconda fase la pittura di Luciano si fa più vivida ed intensa. Nel “Paesaggio con papavero” (fig. 3), il fiore è posto in primo piano alla base delle masse granarie, una quasi natura morta. Vengono in mente le esperienze astratte di Philippe Guston (1956)16 o, in ambito neofigurativo, Ennio Morlotti (1956)17.
Quando il papavero si schiude e si mostra, pur nell’ambivalenza simbolica (rosso = azione e vita; fiore papavero = sonno) diventa natura naturata, si aprono le masse fibrose del grano, attraverso la sottolineatura plastica delle strisce verticali inclinate blu rosse, verdi e magenta. Ciò è reso possibile da un orizzonte alto che permette questa successione di piani che fanno spazio, a partire dal papavero; infine la linea d’orizzonte curva e un cielo che transcolora dal rosa al bianco al blu. Una pittura che ri – fa la natura in senso originario, o meglio originale, il quadro vive, si apre, germoglia e si mostra un po’ come una nuova sostanza vivente.
Nel quadro “La grande valle” (fig. 4) il registro cromatico cambia completamente. Si passa ai toni freddi del verde che predominano sui gialli e i rossi. I colori delle varie striature parallele e nelle raggiere della vegetazione sembrano solidificarsi. Accade qui in maniera più evidente come le tinte diventano masse plastiche, dandosi in addensamenti in sintonia a quanto sosteneva Cezanne, alla fine dell’Ottocento: “disegno e colore non sono affatto separati, dal momento che dipingi, disegni […]. Quando il colore è al più elevato grado di ricchezza, la forma è nella sua pienezza. I contrasti e i rapporti di tono, ecco i segreti del modellato”18.
Luciano, dunque, produce una sensazione visiva (partendo dal vero) elaborata dalla propria coscienza, indagando la struttura o profondità dell’immagine nell’intimità densa del colore, cioè i neri che separano i bianchi, verdi e i gialli, il verde esaltato dal giallo (in accordo) i rossi bruni puntualizzati dai bianchi e dai gialli, i cespugli o alberi (non ha importanza) resi nuclei plastici intrisi di luce, come il lago fatto da sostanza bianca, verde gialla e nera. Prevale complessivamente una grande massa definita dall’orizzonte alto, che permette queste stratificazioni materiche conformate di risaltare su un cielo neutro dalla stesura uniforme.
Per questo gruppo di dipinti il linguaggio pittorico fa risaltare un modellato più pregnante, composto da aggregazioni plastiche sensibilissime alle iridescenze luministiche, per un’atmosfera insolita, di un mondo ricreato e trasfigurato.
Luoghi e Coscienza (dal 2002 al 2007)
A partire dal 2002 la paesaggistica di Luciano mostra una corrispondenza più intima verso i luoghi vissuti, cioè il Salento, le masserie nella campagna di Nardò, torre Uluzzo, i furnieddhi, casine di campagna, ecc.
L’artista non si ferma alla pura visione intimista o psicologica. Si fa strada l’elaborazione plastico – coloristica. Ciò si nota al di sotto della linea d’orizzonte, con note materico – cromatiche di fiori, piante e terreno che danno un senso di profondità di campo ai dipinti. Una specie di intuizione in cui la coscienza dell’artista elabora, nella propria durata, una rinnovata, irripetibile e unitaria visione istantanea del reale19. Un nuovo “slancio vitale” figurativo, un’onda che tende a salire dal basso fino comprendere i solidi geometrici delle costruzioni sulla linea dell’orizzonte.
In questo slancio creativo (per dirla ancora con Bergson) di solo colore, Luciano riesce a creare una visione intensa aperta e carica di emozione, di luoghi a prima vista familiari e allo stesso tempo forse mai visti o solo immaginati. Nascono personalissimi paesaggi interiori che l’artista trasfigura al contatto con la vibrante e calda luminosità di una terra salentina arcana orfica e dionisiaca, luogo di antichissimi miti mediterranei.
La Terra della Sera
Nei dipinti dell’ultimo periodo, prima che l’artista perdesse del tutto la vista (fig. 5), la precedente poetica dei colori accesi viene superata. Si affievolisce l’entusiasmo cromatico del luogo intuito, personalmente amato. Ora compaiono terra, mare, cielo, colore, in una specie di quadratura abitante nell’animo dell’artista.
Il linguaggio pittorico si mostra nell’imbrunimento dei toni caldi (i rossi tendono al vermiglio, i gialli assumono tonalità grasse e dense, i verdi diventano più scuri) e dalla più marcata presenza di colori freddi, azzurri e verdi chiari.
In questo nuovo periodo si nota un immalinconirsi della espressione artistica e la solidificazione del tratto pittorico, con l’ispessimento del pigmento fino a diventare materia e sabbia, in una sorta di pietrificazione del sentimento. Se prima le composizioni si disponevano nella fluidità a scalare dei piani, ora si raggrumano e il passaggio dei piani (dal primo piano all’orizzonte al cielo) si dà a strati o per sfumature.
All’affievolirsi della vista, per Luciano sempre più importanza assume la propria interiorità, con la coscienza rivolta a ciò che ha visto, amato e sentito. Ecco che l’immaginazione, nella mente dell’artista, assume un’importanza fondamentale, un qualcosa di immaginato appartiene ad un altro piano dell’esistenza, rispetto ad una cosa reale, pur non essendo è una copia della cosa. Il pensiero produce immagini del tutto autonome rispetto alla realtà, sebbene ne sia debitrice, se si adopera questo ragionamento, preso in prestito da Sartre 20, per comprendere il nuovo corso artistico di Luciano.
L’immaginazione per la sua autonomia va oltre, non rappresenta oggetti, forma qualcosa di nuovo e, al contempo, si separa dal reale, perché prima è tra le cose e poi se ne allontana nella propria facoltà di essere libera. Se fossimo solo assorbiti nell’esistenza pura sarebbe difficile poter immaginare, pertanto l’immaginazione oltrepassa l’esistente, lo trascende, per un nuovo essere in una nuova situazione esistenziale e reale 21.
Si comprende allora che i nuovi paesaggi del nostro artista sono immaginati, distanziandosi dal mondo con un senso velato di tristezza.
Nel paesaggio “Fiori e cielo rosso” (fig. 5) la tonalità predominante è il rosso, poi si passa dal marrone chiaro al verde olivastro alle sfumature del rosso scuro fino all’arancione chiaro e rosa. Sull’orizzonte l’esile e ridotta, ma squillante, striscia di mare color acquamarina. Poi due strisce dai colori dal rosso al giallo e lumeggiate di bianco individuano due piani paralleli inclinati che danno un senso di profondità al dipinto e, infine, in primo piano, in basso lo spazio scuro vivacizzato dalla presenza di fiori stilizzati. In altre parole un dipinto ad onde dal cielo alla terra, dall’unica sostanza di uno spazio tutto in sé nella mente dell’artista, simile a una specie di sostanza spinoziana senza principio e fine 22 (se mi è consentito fare questo accostamento che, forse Luciano avrebbe condiviso) da cui procedono gli attributi infiniti del pensiero e della materia. Nel dipinto si concretizza l’immaginazione dell’artista, attraverso un rincorrersi infinito (dalla quiete al moto) delle onde di colore e sfumature e dei piani. Si avverte quasi un panteistico risalire dal pluralismo all’unità della sostanza in un unico concetto di immagine e qui siamo in una dimensione che nega la realtà, in quanto ne pone un’altra per sé.
Nell’opera “Paesaggio serale” (fig. 6) le tinte sono decisamente scure: il cielo viola con sfumature di nero, grigio e giallo. La linea d’orizzonte viene individuata da alture collinari nere che si staccano dal fondo in virtù di una sfumatura intensa e degradante di arancione. Poi uno stagno o un lago, tra il blu e il viola, evidenziato con striature di bianco, è uno specchio d’acqua immobile; solo i riflessi a tocchi di bianco lo ravvivano. Tutt’intorno una vegetazione materica e corposa, sebbene sensibilizzata dalle intense luminosità dei rossi, gialli e verdi, comunque colori riassorbiti nella struttura tonale dominante. Prevalgono gli accordi di colore dei viola con i rossi, i verdi e i blu con i gialli ecc. non i contrasti (cioè tra colori composti e complementari). Tutto indica stasi, fissità, riflessione, non più “onde” strutturali, come nel dipinto precedente. Un senso di malinconia pervade l’opera, perché questo, in definitiva rimane un dipinto da terra della sera, di un tramonto imminente, la fine del giorno in una sensazione di disincanto. Tuttavia, qui e là, i rossi intensi i verdi dei vegetali illuminati di giallo denotano una gioia per il mondo, per una specie di ossimoro esistenziale.
Diversi autori qualificati e quotidiani anche nazionali hanno scritto di lui. Ha esposto un po’ dappertutto in Italia e all’estero (Parigi e Ginevra). Dal 2007 esponeva stabilmente presso la propria galleria in Corso Galliano 11 a Nardò (cfr. Brochure Salento e dintorni Luciano Falangone, Rotograf, Nardò, 2008).
Note
1 Omero, Odissea, XI, 382 – 392, traduz. Rosa Calzecchi Oresti, Einaudi, 1963.
2 Hans Sedlmayr, La rivoluzione dell’arte moderna, traduz. Mariangela Donà, Garzanti, Milano, 1961, p. 100.
3 Giulio Carlo Argan, L’Arte Moderna, 1770 – 1970, Sansoni, Firenze, 1970, p. 592.
4 Cfr. Georg Simmel, Ponte e porta (1909) Saggi di Estetica, a cura di A. Borsari e C. Bronzino, Archeo Libri, Bologna, 2011.
5 Paola Bacuzzi, Mark Rothko, in AAVV. Arte Contemporanea anni cinquanta, vol. I, Electa Milano e Gruppo Gedi, 2018, p. 110.
6 Benedetto Croce, Che cosa possa chiamarsi propriamente “poesia popolare ”(1929), in Poesia popolare e poesia d’arte, Laterza, Bari,l 1933, pp. 1-7.
7 Karoly Kereny, Gli Dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore Cde, Milano, 1963, pp. 39, 167, 393 – 400.
8 Maurizio Calvesi, Storia dell’Arte Contemporanea, Fabbri, Milano, 1985, pp. 252, sgg.
9 Angela Serafino, Cerchio Rosso, (da una lettera di Kandinskij), in L’Arte e le Arti, a cura di Paolo Pellegrino, Argo Lecce, 1996, p. 174.
10 Herbert Marcuse, Eros e Civiltà (1955), introduzione di Giovanni Jervins, Traduz. Lorenzo Bassi, Einaudi; Torino, 1964, pp. 96 – 144, 163 – 167.
11 G.C. Argan, op. cit. p. 438.
12 Paola Bacuzzi, Transavanguardia e Nuova Pittura, in Arte Contemporanea anni Ottanta, a cura di Elena Del Drago, vol. IV, Electa / Gedi, Milano, 2018, pp. 26- 27.
13 Elena Del Drago, Op. Cit. p. 44.
14 Eraclito, in Angelo Pasquinelli, I Presocratici frammenti e testimonianze, Einaudi, Torino, 1959, DK B 30.
15 Martin Heidegger, Introduzione alla Metafisica (1935), introduz. Gianni Vattimo, traduz. Giuseppe Masi, Mursia, Milano, 1968, p. 25.
16 Paola Bacuzzi, Espressionismo astratto, in Francesco Poli, Simona Bartolena, Arte Contemporanea, Op. Cit., pp. 86 -97.
17 Marco Meneguzzo, La Storia dell’Arte, L’Arte Contemporanea, vol. XVIII, Electa /Espresso, Milano 2006, p. 144.
18 Simona Bartolena, Alle Radici dell’Arte Contemporanea, in La Storia dell’Arte, L’Età dell’Impressionismo, vol. XV, Electa /Espresso, Milano 2006, p. 687, da cit. Paul Cezanne.
19 Henry H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), traduz. Vittorio Mathieu, Paravia, Torino, 1951, pp. 100 – 115.
20 Jan Paul Sartre, L’Immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni , traduz. E. Bonomi, Bompiani, Milano, 1962, pp. 9 – 129.
21 J. P. Sartre, L’Immaginario o immagine e coscienza , traduz,. E. Botasso, Einaudi, Torino, 1948, pp. 278 – 290.
22 Cfr. Baruch Spinoza, Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico (1665), traduz. G. Durante, Sansoni Firenze, 1963, pp. 8 – 69.
come mai è sparito il mio commento.? peppino martina – mi si risponda- grazie
A quale comento fai riferimento?
Pietro De Florio,ha disegnato l’opera e l’essenza biografica dell’artista Luciano Falangone,in dotta maniera calzante ed esaustiva.
Purtroppo da circa un anno, il Maestro Luciano non è più con noi. Ora è tra Beati a catturare le paradisiache bellezze celesti e dipingerle con quei colori sgargianti che solo lui sa armoniosamente mettere insieme
Grande ricordo commosso dell’amico artista non si poteva scrivere meglio.
Ringrazio pubblicamente Piero De Florio per aver voluto ricordare un amico che ci ha lasciato troppo presto e forse troppo in fretta dimenticato!
Grazie per l’apprezzamento. Spesso ero nel suo studio quando dipingeva. Sempre allegro, ironico e bonariamente irriverente quando qualcuno sollevava qualche giudizio non condiviso. Un amico con cui ho condiviso i miei anni giovinezza, tra goliardate, cose serie e meno serie. Grazie Sergio