di Armando Polito
Dell’illustre concittadino mi sono già occupato in tempi diversi e il lettore che voglia saperne di più, prima o dopo la lettura di questo post, ha solo l’imbarazzo della scelta:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/02/11/una-nota-su-alberico-longo-di-nardo/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/02/11/una-nota-su-alberico-longo-di-nardo/
In Le Rime di M. Francesco Petrarca riscontrate con ottimi esemplari stampati e con uno antichissimo testo a penna, Giuseppe Comino, Padova, 1722, a p. CIV si legge: in fine dell’edizione del 1740, che è la prima in ordine del presente Catalogo, aggiungasi , che nella Libreria del più volte menzionato Signore Giuseppe Smit, Inglese, in Venezia, se ne conserva un esemplare, in cui si leggono traduzioni in versi latini eleganti d’alcuni de’ più celebri Sonetti del Petrarca, fatte da M. Alberico Longo Salentino ad istanza del Sig. Francesco Melchiori da Uderzo, il quale le scrisse di sua mano, ed aggiunse ancora in molti luoghi di cotesto Codice, da lui una volta posseduto, dotte ed erudite osservazioni.
in Almorò Albrizzi, Memorie storiche di Oderzo, Venezia, 1743, a p. 5 si legge: Biblioteche. Di Biblioteca trovansi competentemente provveduti i PP. Cappuccini in materia di SS. PP. e Cà Amalteo in materia di Belle Lettere di ottime Edizioni, con qualche Manoscritto antico, fra’ quali un Petrarca moralizzato manoscritto d’incerta Autrice, lodata dalla Sig. Luisa Bergalli, che la suppone Veneta. Ve n’era poi una assai insigne di Francesco Melchiori, qui a a C. 9 riferito, ed accennata dal Bonifazio , (Stor. Triv. C. 20) nonché dalli Sig. Volpi di Paova nel loro ultimo stampato Petrarca, andata, non molti anni sono, compassionevolmente dispersa, parte in Venezia fra le celebri Biblioteche Soranzo, Pisani, Zeno, PP. della Salute, e Smith, il quale ne à riportato una Edizione sì rara di esso Petrarca, che non si sà, ove trovarsene il terzo esemplare; e parte in Inghilterra.
La notizia è ripresa, senza aggiungere granché, in Gian-Giuseppe Liruti, Notizie delle vie ed opere scritte da’ letterati del Friuli, Tipografia Alvisopoli, Venezia, 1830, p. 428: E per verità, bisogna , che fosse un singolar piacere di un uomo amatore dello studio dell’Antichità, della erudizione e delle buone lettere l’andar a ritrovarlo [Francesco Melchiori] in Oderzo; dove oltre una bella abitazione con le sue aggiacenze, e la di lui gioconda, e dotta conversazione, aveano una copiosa, e scelta Biblioteca, ragunata da lui di Libri stampati , e manoscritti, lodata dal Bonifazio nella Storia di Trivigi ultimamente ristampata, e da altri, nella quale potevano divertirsi, e che ora, non sono molti anni, è andata dispersa, parte in Venezia nelle Biblioteche Soranzo e Pisani, e parte in quelle di Apostolo Zeno, de’ Padri Somaschi della Salute, e del Sig. Smith, al quale è toccato un raro Pertrarca, e parte in Inghilterra.
Un risolutivo passo avanti, invece, costituisce quanto scrive Cesare Scalon, Tra Venezia e il Friuli nel Cinquecento: Lettere inedite a Francesco Melchiori in un manoscritto udinese (Bartolini 151) in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Villanovich, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1984, p. 625: Il Petrarca, di cui fa menzione l’Albrizzi, è un Canzoniere di Vindelino da Spira del 1470, ora nella British Library (C. 6. b.2): dopo essere stata postillata da Alberico Longo Salentino, questa preziosa edizione era entrata in possesso di Francesco Melchiori, come documentano alcune note autografe del medesimo7. E in nota 7 l’informazione più ghiotta: London, British Library, C. 6. b. 2. Sul foglio di guardia anteriore IIr di mano del Melchiori: “Questo sonetto fu tradotto da M. Alberico Longo Salentino a mia contemplatione”, “Alla dolce ombra delle belle frondi- Canzone carissima al signor Francesco Sugana, mio cognato”.
Nel catalogo del Comino si faceva riferimento a traduzioni in versi latini eleganti d’alcuni de’ più celebri Sonetti del Petrarca, fatte da M. Alberico Longo Salentino ad istanza del Sig. Francesco Melchiori, dunque a più dei soli componimenti (un sonetto e una canzone) annotati di propria mano dal Melchiori nell’edizione custodita a Londra; a meno che il loro gradimento particolare a lui e a suo cognato l’abbia indotto a non dir nulla delle altre traduzioni.
Questa premessa è indispensabile per dire che, in attesa che la British Library immetta in rete la copia digitalizzata del prezioso testo, operazione indispensabile per procedere ad un controllo senza muovere un passo e senza spendere un centesimo, quella che mi accingo a presentare è la traduzione in latino fatta dal Longo di un sonetto dell’aretino, non prima di aver detto, ad onore, una volta tanto, dell’Italia che esso è contenuto in un manoscritto (Vat. lat. 9948) del XVI secolo conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e liberamente consultabile all’indirizzo https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.9948, manoscritto del quale mi sono già servito in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/08/nardo-alberico-longo-e-la-sua-inedita-doppiamente-versione-di-un-mito/.
Ne riproduco dalla c. 105v il dettaglio che ci interessa.
Ecco la trascrizione:
Pet(rarca) Canzo(n)iere Tradottione del so(netto) Io mi rivolgo indietro a ciascun passo.
Alberici Longi Salentini
Retrorsum aspicio passim dum corpore fesso
pes titubans proprium vix facit officium.
Tunc mi animum reficit vestris qua fertur ab oris
aura, et me querulum carpere cogit iter.
Mox mecum reputans bona quae iocondaa relinquo
quam sit iter longum quam mihi vita brevis.
Sisto gradum pavidus, nec non lachrymantia tristis
fixa diu teneo lumina nostra solo.
Interdum interb lachrymas dubius mecum ipso voluto,
quo pacto absque animo sistere membra queant.
Tunc Amor, an nescis proprium esse hoc munus amantum,
quorum hominum a reliquis longe alia est ratio.
__________
a Errore del copista per iucunda.
b Errore del copista: inter (indotto dal precedente interdum) per in.
Agli errori del copista va aggiunto quello presente nella schedatura (https://opac.vatlib.it/mss/detail/74990), dove nella trascrizione dell’incipit si legge auspicio per aspicio.
Fornisco ora la mia traduzione letterale per consentire agevolmente al lettore di fare il confronto con l’originale:
Indietro guardo qua e là mentre per il corpo stanco
il piede titubante a stento fa il suo dovere.
Allora mi ristora l’animo, dove dalle vostre contrade spira,
l’aria e mi costringe ad intraprendere un lamentoso cammino.
Poi pensando tra me i beni gioiosi che lascio,
quanto lungo sia il cammino, quanto breve per me la vita,
timoroso fermo il passo e triste i lacrimanti
occhi miei a lungo tengo fissi al suolo.
Talora in lacrime dubbioso tra me stesso penso
per quale patto le membra possano stare senz’animo.
Allora Amore: – Non sai che è proprio questo il dono degli amanti,
esseri umani la cui condizione è ben diversa da quella degli altri?
E questo è l’originale (componimento XV dell’edizione critica del Canzoniere a cura di Gianfranco Contini, Edizioni Einaudi, 1964; nella stessa edizione la canzone annotata dal Melchiori è il componimento CXLII):
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch’a gran pena porto,
et prendo allor del vostr’aere conforto
che ‘l fa gir oltra dicendo: Oimè lasso!
Poi ripensando al dolce ben ch’io lasso,
al camin lungo et al mio viver corto,
fermo le piante sbigottito et smorto,
et gli occhi in terra lagrimando abasso.
Talor m’assale in mezzo a’tristi pianti
un dubbio: come posson queste membra
da lo spirito lor viver lontane?
Ma rispondemi Amor: Non ti rimembra
che questo è privilegio degli amanti
sciolti da tutte qualitati humane?
Spero che la mia traduzione sia riuscita a far comprendere come il Longo si sia attenuto quanto più era possibile all’originale. Non mi riferisco, però, solo all’aspetto concettuale, perché anche le scelte formali confermano la fedeltà. Mi si dirà che ai canonici quattordici endecasillabi del sonetto corrispondono sei distici elegiaci (in totale dodici versi) della traduzione. Credo che il Longo non avesse altra scelta e che proprio le caratteristiche del distico elegiaco (in cui il primo verso può variare da un massimo di diciassette ad un minimo di dodici sillabe, il secondo da un massimo di quattordici ad un minimo di dodici) abbiano determinato quella differenza di due versi, pur garantendo, a differenza di altre combinazioni metriche, un ritmo più vicino a quello dell’endecasillabo.