di Armando Polito
Quando si studia un termine dialettale si cerca anzitutto di individuare, se esiste, il perfetto corrispondente italiano. Per perfetto intendo qualcosa di coerente, oltre che sul piano formale, anche su quello semantico.
Nel nostro caso, per esempio, per fògghie si pensa subito, e a ragione, all’italiano foglie, plurale di foglia. Ma fògghie in salentino è usato, sempre al plurale, come sinonimo di verdura: osce mangiamu fae e fògghie (oggi mangiamo fave e verdura, uno dei nostri piatti tipici). Molto probabilmente l’uso del plurale è legato proprio a questo piatto, che nella sua versione più fedele alle origini prevede l’impiego di crema di fave bianche e verdure selvatiche di vario genere: cicureddhe creste (giovani cicorie agresti) o cicore ti campagna1(cicorie di campagna).
Per significare la foglia, invece il salentino usa fugghiazza, sia al singolare (è catuta ‘nna fugghiazza=è caduta una foglia) che al plurale (sta’ ccatinu li fugghiazze=stanno cadendo le foglie). Non c’è corrispondente italiano (fogliame è termine collettivo), anche se fugghiazza ha in comune con esso, a parte la voce primitiva (foglia) il suffisso peggiorativo: –azza corrisponde perfettamente all’italiano –accia, entrambi derivanti da un latino –acea. Il suffisso peggiorativo la dice lunga sulla commestibilità delle fògghie rispetto alle fugghiazze.
Per completezza va detto che in alcune zone del Brindisino scafògghie (o scafòje) indica le verdure selvatiche e in altre lo scarto delle verdure da minestra; nel primo caso s- iniziale (dal latino ex) ha un valore intensivo, nel secondo dispregiativo.
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Il termine fujàzze o fugghiàzze viene usato soprattutto per lo scarto della verdura “ste cicore erane tutte fujàzze” e le foglie secche cadute per terra dagli alberi. Per foglie è per lo più usato l termine pàmpane: pampane te fica, pàmpane te vigna ecc. Tra foje e fujàzze la differenza è piuttosto evidente.
Non mi meraviglia il fatto che il significato dello stesso termine possa avere leggeri slittamenti semantici in territori distanti anche pochissimi chilometri. A Nardò “fugghiazza” è usato anche nel senso di “eccesso di foglie”: ddh’arulu tene troppa fugghiazza (quell’albero è troppo folto), con implicita sfumatura negativa. Per “pampana” l’uso è limitato, almeno a Nardò, alla vite e al fico (non ho mai sentito “pampana ti la mendula” o simili.