Maestri della ceramica di Nardò tra fine ‘500 e inizi ‘700. I Bonsegna


I maestri della ceramica di Nardò (LE) tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘700

I Bonsegna e le produzioni compendiarie e tardo compendiarie

 

di Riccardo Viganò

Il ‘600 può essere considerato il secolo d’oro delle ceramiche smaltate prodotte dalle fornaci e dagli ateliers di Nardò. A partire dalla fine del ‘400, con produzioni “proto graffite”[1], e per il secolo seguente, i commerci di queste manifatture, successivamente specializzate nel decoro “alla porcellana”[2], ebbero una rinomata importanza tanto da essere regolamentate e presenti nel “corpus” dei regolamenti cittadini riportati dai “Capitoli della Bagliva” della città di Nardò[3]. L’importanza e la portata di queste produzioni è descritta minuziosamente nei documenti riguardanti alti prelati leccesi della fine del ‘500[4] dove essi prediligevano le produzioni compendiarie neretine, uscite dalle varie manifatture Manieri[5], Dello Castello (o di Castelli), Spata, a quelle di altri centri di Terra d’Otranto[6].

 

I Bonsegna il successo di un’immigrazione

Intorno al 1580, al seguito di quello che fu l’enorme movimento di manodopera specializzata in Terra d’Otranto[7], si inserì in questo tessuto produttivo il calabrese Jacopo Antonio Bonsegna, detto “lo scodellaro”. Originario della città di Bisignano, centro della provincia di Cosenza, sposa nella cattedrale di Nardò, Veronica “di Castelli” la quale porta in dote alcune botteghe, oltre alla casa. Queste, situate nel “pittagio dello Castello”, erano ubicate all’interno del centro abitato,“prope moenia fronte e vicino alla chiesa dell’Annunciata”; l’area che un decennio dopo sarà definita dai documenti “delli Piattari”[8]. L’evoluzione delle produzioni ceramiche dei Bonsegna sono soggette alle avventure finanziarie degli ateliers della famiglia Manieri, comunque a loro legati[9]. Difatti, Jacopo Antonio si vede costretto a vendere tra il 1592 e il 1600 alcune botteghe con fornaci al mastro costruttore proto barocco Giovanni Maria Tarantino[10].

I due ebbero per un breve periodo rapporti di padronanza/sudditanza nonostante il Bonsegna fosse associato nelle produzioni al mastro “pictor” laertino Santo Passarelli[11] che in quegli anni era attivo a Nardò.

Nel 1617 l’attività manifatturiera dei Bonsegna viene rilevata dal primogenito Donato Antonio che in un documento mutilo del 1658 viene classificato come “Piattaro”. Le abilità artistiche di questo Maestro erano tali da attirare alle proprie dipendenze vari cooperatori specializzati e maestri provenienti dai diversi centri di Terra d’Otranto e non solo, come dimostrano le collaborazioni avute con il “Mastro Paolo Nucci della Città di Ariano”[12].

Il forte carattere di Donato Antonio traspare in ogni documento che lo riguardi: conservò e trasmise le conoscenze tecniche ai figli, cercò di capitalizzare i risultati sia di fama che economici abbandonando il lavoro manuale a vantaggio dell’aspetto imprenditoriale finanziario tentando una scalata sociale che lo porterà a passare da Piattaro a rivoluzionario nel1647[13] e, infine, nel 1660 a rappresentante del popolo della città di Nardò[14].

Successivamente alla scomparsa di Donato Antonio (1662), le produzioni restarono nelle mani dei figli Giovanni Francesco (1643- 1693), Giacomo (1653 – 1705) e Donato Antonio[15] e dei nipoti Andrea (? – 1714) e Tommaso (? – 1704) di Giovanni Francesco. Essi, adattandosi alla crescente domanda di mercato e per una buona riuscita del loro commercio, probabilmente esibirono i forti legami sociali acquisiti nel tempo che dovevano essere decisivi come credenziali verso gli acquirenti più abbienti. Il prezzo di ogni singolo manufatto, forse, veniva adattato in base alla relazione tra venditore e compratore ed alla contrattazione economica del caso. Ad esempio, nell’eventualità di comande di corredi di stoviglie (le credenze nuziali, i corredi da spezieria, etc.), i ceramisti ricevevano comande su commissione soprattutto da privati cittadini, ambienti conventuali come il monastero di S. Chiara e il convento di Sant’Antonio della città di Nardò[16], nobiliari o magnatizi, la cui remunerazione doveva essere abbastanza sicura, seppur dilazionata nel tempo.

Difatti, venivano consentiti agli acquirenti prestiti rateizzabili nel tempo che venivano accordati non dal ceramista, ma da mercanti legati strettamente a loro da legami famigliari. Se una delle due parti veniva meno all’accordo verbale preso e/o registrato tramite atti notarili, ci si rivolgeva per crediti inferiori a due ducati alla corte giudiziaria del Mastro di Mercato, carica elettiva che veniva rinnovata annualmente durante la fiera dell’Incoronata nel mese di Agosto. Ad esempio, nella causa avvenuta il 3 agosto del 1707 tra il querelante Don Francesco Tocco e il “piattaro” Giacomo Bonsegna, il commerciante Domenico Rocca “Spontaneamente si offerse di pagare, carlini sette e grana sette per li quali ne consegnerà alla fin del mese presente tanti piatti, alias exequantur”[17]. Oppure due anni dopo dove il Mastro di Mercato decise che, il cugino materno di Andrea Bonsegna, Sabba Sicuro mercante, “Havesse da dare entro domenica, piatti otto, cioè mezzani quattro pittati con animali et alberi, e quattro piccoli a detto Tommaso Ruggiero”[18]

La frequente vendita a credito delle merci esponeva l’artigiano al rischio di fallimento e alla perdita di beni, come ad esempio le terre estrattive messe a pegno da Giacomo Bonsegna nel 1694 o come nella causa avvenuta nel 1705 dove Mastro Andrea Bonsegna nella lite contro Tommaso de Trane reclamava “carlini sei e grana quattro per tanti piatti con pittura di homini, fiori e alberi”[19].Ecco perché era fondamentale condividere con uno o più soci, ceramisti o meno,l’attività entro un preciso arco temporale e, parallelamente, poter indirizzare il proprio lavoro ed i propri investimenti anche in altri campi produttivi più o meno affini e proficui come la vendita del cotone e cenere[20].

Tommaso e Andrea furono ufficialmente gli ultimi interpreti della grande stagione del decoro “compendiario” o “tardo compendiario” fino ad allora prodotto a Nardò. Alla morte di quest’ultimo (1714), senza un erede maschio cui lasciare tale eredità ed economicamente al tracollo, questo ramo familiare di ceramisti si estingue lasciando alcune botteghe in mano al cognato Oronzo Papadia, che nel 1739 le vende, ormai dirute, ai figli dei loro ultimi associati di bottega, Domenico Rocca e il maestro Giovanni Battista Perrone[21].

 

[1] Viganò 2016, p.107.

[2] Queste manifatture erano ubicate tra via A Delle Masse, via colonna e via Pellettieri (Viganò 2016, p. 69).

[3] Le “disposizioni” disciplinano i rapporti tra gli abitanti di Nardò e la signoria degli Acquaviva in materia di esazioni fiscali, riscossioni di diritti e ammende esigibili nello stesso feudo (Salamac 1986, in Viganò 2016, p. 25, nt. 19).

[4] Viganò 2013, p. 58; 2016, p. 25.

[5] Detti anche maestri “M” o “M.L.” (Viganò 2013, p 75 scheda 9).

[6] Viganò 2013, p. 56.

[7] Manodopera specializzata proveniente da centri importanti come Ariano Irpino, Cutrofiano, Laterza, S. Pietro in Lama.

[8] Viganò 2013, p. 56.

[9] Viganò 2013, p. 27.

[10] Il maestro era legato per via matrimoniale alla famiglia Manieri da cui ebbe in dote alcune botteghe ceramiche.

[11] Il 26 febbraio del 1594 il Mastro Jacopo Antonio Bonsegna in qualità di Padrino partecipa, nella cattedrale di Nardò, al battesimo della figlia di “Mastro Santi Passarelli di Laterza e della moglie Anna Positano di Montescaglioso” (Viganò 2013, p.18).

[12] ASDN, Atti del Maestro di mercato anni 1600-1630 busta 2, anno 1640.

[13] Nel 1647 partecipò ai moti rivoluzionari neretini: il 28 luglio dello stesso anno, mentre era in fuga nel territorio di Seclì, fu fatto arrestare dal duca d’Amato per ‘essere stato lui che disse, che si portasse il stendardo a castello’.

[14] 14 Vacca a 1954, op cit., p. 84; Matteo, Viganò 2008, p.52; Viganò 2010, p10; 2013, op cit.,p 27.

[15] Due mesi prima della sua morte, il 27 marzo 1687, assieme la socio Mastro Cataldo Manzo, chiede 20 ducati in prestito alla mensa vescovile di Nardò.

[16] Che fossero fornitori dei vari conventi è riportato nei libri contabili del Monastero di Santa Chiara redatti tra il 1674 e il 1704 per bocali pitti fatti da Bonsegna, ducati 1 carlini 50. AMSCN Libro dè conti di procure del venerabile Monastero di S. Chiara di Nardò [1674-1704].

[17] ASDN, Atti del Maestro di mercato anni 1688-1708, busta, 4 F 69, anno 1707.

[18] ASDN, Atti del Maestro di mercato anni 1688-1708, busta, 4 F 71, anno 1709

[19]ASDN, Atti del Maestro di mercato anni 1688-1708 busta, 4 F 67, anno 1705.

[20] 20 AMSCN Libro dè conti di procure del venerabile Monastero di S. Chiara di Nardò [1674-1704]. anno 1694.

[21] 21 Nato a S. Pietro degli Imbrici il 10 agosto 1681, nell’isola dell’Amendole, G. B. Perrone due giorni dopo il matrimonio, nel gennaio del 1705, migrò a Nardò dove formò una vera e propria dinastia di ceramisti e capitani di industria che ben presto soppiantò in toto i Bonsegna per tutto il ‘700 e oltre.

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2 Commenti a Maestri della ceramica di Nardò tra fine ‘500 e inizi ‘700. I Bonsegna

  1. GRAZIE PER LA PUNTIGLIOSA CRONACA E ABBINAMENTI TEMPORALI NELLA STORIA DI NARDO’, PER LA PAZIENZA CERTOSINA DI RICERCA NEI VARI SETTORI, DELLE NOTIZIE RIGUARDANTI I BONSEGNA DI NARDO’

    • È un dovere fare luce su un passato così fulgido, ma dimenticato, della splendida Nardò.

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