Nino (classe 1924) non pesca più

di Rocco Boccadamo

Al momento della sua nascita, fu registrato all’Anagrafe, e parallelamente battezzato in chiesa, con il nome proprio di Albino (cognome F.) e, il suo caso, rappresentò, un’autentica eccezione, già che, all’epoca, fra la popolazione di Castro, non v’era alcuno che si chiamasse così.

In seguito, molto semplicemente, se non automaticamente, lo sviluppo sotto forma del diminutivo/abbreviativo Nino.

A parte siffatta singolarità appellativa iniziale, mette conto di annotare che il successivo, graduale divenire del personaggio si sgranò sul metro di un’assoluta, esclusiva e continuativa caratteristica: lo strettissimo rapporto, vera e propria simbiosi, fra lui e l’ambiente più prossimo e naturale su cui si era affacciata e dischiusa la sua avventura esistenziale, ossia a dire il mare.

Nino, dunque, prestissimo, pescatore, sin da bambino, tutti i giorni dell’anno, in ogni stagione, a braccetto, anzi, in questo particolare caso, a bordo di una barchetta di legno, del genere “gozzo,” in principio rigorosamente a remi, poi sospinta da un piccolo motore fuoribordo, e in compagnia funzionale e operativa di ami, lenze, “conzi” e reti.

Anni, lustri, decenni, attraversati espletando tale duro, incerto e talvolta periglioso lavoro, sempre con equilibrata passione, senza fermarsi o arretrare di fronte alle difficoltà e, spesso, ai magri proventi.

Frattanto, intorno a Nino, andava formandosi e crescendo anche una famiglia, con due figli, di cui uno rimasto a Castro e l’altro trasferitosi per lavoro in un’altra regione.

Che bagaglio di esperienze per l’uomo, acquisito e accumulato sotto cieli multiformi e multicolore, quando sereni, quando grigio scuri per effetto di nuvolaglie dense, in notti stellate o cupe e fredde, su distese calme o vivaci o con cospicui moti ondosi.

Nino, comunque, sempre lì, sull’uscio della sua grotta in Via Scalo delle barche, dove è solito preparare le attrezzature per la pesca, specialmente l’allestimento, prolungato e non facile, del “conzo”, oppure sulla banchina del porticciolo, prossimo a “uscire”, oppure al largo, a più riprese nell’arco delle ventiquattro ore, per “calare” o tirare su gli strumenti del suo lavoro.

Accanto alla quotidianità così snodatasi per una vita intera, con il protagonista sempre determinato, ma, insieme, sereno, è rimasto negli annali della marineria della Perla del Salento, uno specifico episodio, indubbiamente non comune, di cui Nino, alcune stagioni fa, si è trovato ad essere, un po’ ma non completamente a caso, protagonista.

Un pomeriggio, aveva “calato” il suo “conzo” (lunghissima lenza con alcune centinaia di anni pendenti da apposite appendici, mantenute a mezza profondità, mercé la compensazione di galleggiamento conferita insieme da piccoli piombi e cubi di sughero) a media distanza dalla costa verso la Marina di Andrano, dopo di che, nella mattinata successiva, era ritornato sul posto per recuperare il tutto.

Sennonché, a un certo punto, l’uomo ebbe ad avvertire una fortissima resistenza, che gli impegnava mani, gambe, braccia e spalla, segno che, a un amo, doveva aver abboccato un grosso esemplare di pesce (più tardi, si sarebbe rivelato trattarsi di un tonno), che, con tutte le proprie energie vitali, vanificava il tentativo di Nino di recuperare il “conzo”. Non cedeva l’amico pescatore, non mollava la lenza e la preda attaccata, né si arrendeva l’esemplare ittico. Durante questo confronto di forze, trascorreva deciso il tempo e, circostanza più delicata, il “gozzo” era lentamente trascinato, dai guizzi del pesce, in direzione di Tricase e di Leuca.

Nino, in occasione di quella uscita, non si era portato appresso il cellulare e, quindi, era praticamente isolato al largo e, progressivamente, sempre più distante da Castro. Per fortuna, il figlio, impensierito e preoccupato a causa del mancato rientro del genitore, ritenne di allertare la Guardia costiera, che, in breve, raggiunse, con un suo veloce battello, il pescatore, sempre accanito a non mollare. Così, rimase Nino, sordo financo alle esortazioni dei militari a lasciar perdere, fino a quando non fu il tonno, esausto, a perdere del tutto le forze ed a essere tirato all’interno della barchetta.
Fino a poco tempo fa, Nino è stato sorretto da una buona, o quantomeno discreta, salute ed è sceso puntualmente al porto, in sella al suo motorino o a piedi, salpando, sia pure sempre più raramente, col suo battello. Da parte mia, incontrandolo, mi tenevo aggiornato sull’avanzare dei suoi almanacchi e in merito all’andamento della sua attività. E, lui, a rispondermi, con tono gentile sorridente, magari, nelle ultime occasioni, precisando di essere uscito al solo scopo di trarre un quantitativo di pesce fresco destinato al figlio giunto a Castro per le ferie.

Da qualche tempo, gli acciacchi si sono purtroppo accentuati e, di conseguenza, egli si muove da casa raramente.

L’ho incontrato il mese scorso, seduto all’inizio della banchina interna del porticciolo davanti alla sede del “Circolo Sottufficiali”, domandandogli: “Come va Nino, come stai?”. Stavolta, diversa dal solito la risposta:” Come vuoi che vada, va come Dio vuole”.

Tuttavia, io penso che Nino, dentro di sé, sia egualmente sereno e contento, non fosse altro perché il suo battello, il piccolo gozzo denominato “Martina”, è sempre lì, in acqua, silenzioso ma ormeggiato all’altra banchina, a fianco della più grande barca consortile. E sono, altresì, sicuro che l’uomo, in silenzio, si ripassa con affetto e commozione le figure dei suoi colleghi e amici pescatori di Castro, ad esempio, quelle dei due Vincenzo e di Nunzio C., già proprietario, anche lui, di un “gozzo” dal nome “Davide”, i quali hanno tirato definitivamente i remi in barca, in età ben più giovane della sua, per salirsene sulle nuvole.

In certi giorni, mi capita di ritrovare Nino, intento a riposare tra aiole fiorite nei pressi della sua abitazione, e, lì, mi dà l’impressione di snocciolare un altro ripasso, cioè a dire le così tante albe e gli infiniti tramonti in cui i suoi occhi si sono rispecchiati.

Sì, posto che sono ormai novantasei gli anni compiuti da Nino, so che è improprio, ma qui mi piace parlare non di anni bensì di maree, appunto novantasei maree.

Ravvisando nella sua persona una sorta di simbolo della gente di mare castrense, la locale amministrazione civica (per la precisione, non quella in carica, presieduta, guarda caso, da un figlio di Nino, ma quella precedente), ha deliberato di conferire al pescatore in questione uno speciale riconoscimento ad personam e io rivedo ancora l’uomo felice e commosso sul palco della correlata semplice cerimonia

Anche da queste righe, il mio affettuoso saluto e sincero augurio, Nino: resisti, come in quella avventura al largo alle prese col grosso tonno, e abbi ancora lunga vita.

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