di Gianfranco Mele
La Cicoria (Cichorium intybus, fam. Asteracee) ha proprietà depurative, diuretiche, lassative e toniche.
Contiene inulina, principi amari e sali minerali, acido dicaffeiltartarico.
In medicina popolare era utilizzata come stimolante epatico, renale e intestinale: per questo si beveva l’acqua in cui erano state cotte le foglie.[1] L’insalata di cicoria insieme ad altre erbe come il grespino (Sonchus oleraceus) veniva utilizzata per combattere l’anemia.[2]
I monaci erboristi utilizzavano il decotto di radici come depurativo dell’organismo, e inoltre contro il diabete, contro l’inappetenza e contro l’itterizia.
L’infuso, veniva utilizzato per depurare reni e fegato e come leggero lassativo. Lo sciroppo, per disintossicare; il cataplasma di polpa cotta, come emolliente e lenitivo per la cute.
E’ stata utilizzata anche come succedaneo del caffè (le radici tostate e macinate); in alternativa, veniva utilizzata in aggiunta al caffè stesso.
Il medico cinquecentesco Castore Durante nel suo Herbario novo consigliava la Cicoria come rassodante del seno.
Questa pianta godeva anche di usi e proprietà “magiche”: si riteneva che rendesse i nervi saldi a chi la usava, e per questo si credeva che chi la consumasse regolarmente fosse in grado di superare con facilità gli ostacoli della vita.[3] Inoltre, era considerata un’erba propiziatoria e portafortuna.
Come per una serie di Solanacee (Giusquiamo, Mandragora ecc.) e per la Felce[4], si credeva che avesse il potere di rendere invisibili. A questo scopo, una procedura di raccolta è molto simile a quella della Mandragora (si ritrova descritta in un testo del tossicologo Enrico Malizia che raccoglie, a fini di documentazione etno-antropologica, una selezione da antichi formulari, manoscritti e testi magici che vanno dal 1400 agli inizi del 1800): “cogliete la cicoria a mezzanotte in punto, con un coltello d’oro, quando il sole è nella costellazione del leone. E’ molto importante che la raccolta come tutto il resto dell’operazione sia compiuta nel massimo silenzio. Subito dopo aver raccolto la cicoria, senza muovere un passo, mordete di netto le cime delle foglie e masticatele a lungo prima di deglutirle. Gli steli devono essere conservati con la massima cura in un sacco di iuta, posto in un luogo fresco e buio, fino al magico momento. A questo punto ponete su un tavolo nudo un recipiente di legno nel quale è stato preparato un letto con gli steli secchi della cicoria. Quindi aggiungete: basilico, radicchio, belladonna, giusquiamo nero, stramonio. Mescolate in senso orario, tritate il tutto e fate macerare in un fienile per trenta giorni. Filtrate con lino e bevete tre mestoli del liquido al cantare del gallo. […] Nessuno potrà vedervi per un intero giorno.”[5] Occorre notare che dopo la masticazione della cicoria il “procedimento” prescrive l’ingestione di Solanacee psicoattive, che sono le vere responsabili della suggestione (e della alterazione psichica) che fa ritenere allo sperimentatore di diventare invisibile.
La cicoria insieme a semi di cipolla, semi di satirione, semi di rughetta, di asparagi, di carota e varie erbe e radici: zenzero, ortica, ecc.) è presente nella composizione di un “elettuario per eccitare i sensi”.[6]
La ricetta di un filtro per sedurre un uomo comprende: peli dell’ascella e del pube (della donna che deve sedurre), tre gocce di sangue mestruale, e tre gocce di sangue fatte stillare pungendo il proprio dito mignolo. Questi ingredienti vanno mescolati a: infuso di cicoria, infuso di cannella, infuso di chiodi di garofano, infuso di aloe, idromele. Filtrare il tutto attraverso un panno di lino. Raccogliere il liquido così ottenuto, in una bottiglia di vetro chiusa e far riposare per cinque giorni al buio e al fresco. Trascorsi i cinque giorni, il filtro va consacrato in una chiesa durante una Messa, pronunciando la formula magica: “Sangue di Cristo, dèmone attaccami a lui. Bisogna che tu lo leghi a me affinchè non mi possa lasciare”. Così consacrato, il filtro è pronto ad agire, e verrà somministrato all’uomo da legare. [7]
Una leggenda rumena narra di una bella donna, Domna Floridor (Dama dei Fiori) che un giorno fu chiesta in sposa dal Sole. Ma questa donna rifiutò la richiesta, disprezzando l’ astro. Così, indignato, il Sole trasformò la donna in un fiore di Cicoria. Il fiore di Cicoria, ovvero Domna Floridor, è costretto a fissare il Sole nel momento in cui appare all’orizzonte, e a rinserrare i suoi petali quando la sua luce scompare. Per questo motivo, la Cicoria fu chiamata anche “sposa del sole”. In Germania era detta anche “erba del sole” o “erba del solstizio”.[8]
Un’altra credenza vuole che la Cicoria debba essere sradicata giammai con le mani, ma soltanto con un corno di cervo o con una moneta d’oro (che simboleggiano rispettivamente i raggi e il disco del sole), nel giorno di San Pietro e Paolo, il 29 giugno. Questa procedura avrebbe permesso a chi portava con sé la cicoria, di legare a sé l’uomo o la donna amata. Ma la radice, così come ha il potere di legare, si credeva, ha anche il potere di slegare. Ha inoltre il potere di togliere le spine dalla pelle. [9]
Secondo un’altra leggenda, di origine bavarese, Dio trasformò in fiori una principessa e le sue damigelle, per il seguente motivo: la principessa era stata abbandonata dal suo sposo, e si sentiva, per questo, morire di dolore. “Vorrei morire e non lo vorrei, per rivedere il mio amato dappertutto”, disse. Le damigelle, solidali con la principessa e legatissime a lei, dissero: “anche noi, vorremmo e non vorremmo morire, perchè il principe possa vederci su ogni strada”. E così, Dio volle esaudire i desideri di principessa e dame, cambiandole tutte in fiori: “tu, principessa, resterai con il tuo abito bianco su tutte le strade dove passerà il tuo amato; voi, damigelle, rimarrete sulle strade vestite di azzurro in modo che egli possa vedervi dappertutto”. Per questo, nei paesi tedeschi il fiore della cicoria è chiamato Wegwarte o Wegeleuchte (“guardiana delle strade”, “luce delle strade”). La cicoria selvatica nasce difatti ai bordi di strade e sentieri, e ha fiori di un azzurro lucente.[10]
Note
[1]Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012, pag. 201
[2]Ibidem
[3]Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003, pag. 125
[4]Gianfranco Mele, La Felce di S. Giovanni o del Solstizio tra leggenda, magia e medicina popolare, Fondazione Terra d’Otranto, sito web, luglio 2018 https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/07/25/la-felce-di-s-giovanni-o-del-solstizio-tra-leggenda-magia-e-medicina-popolare/
[5]Enrico Malizia, op. cit., 124-125
[6]Enrico Malizia, op. cit., pag. 150
[7]Enrico Malizia, op. cit., pp. 224-225
[8]Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori Editore, 1996, pag. 280
[9]Ibidem
[10]Ibidem