di Gianfranco Perri
Nella primavera del 547, sorpresivamente Belisario riprese Roma, che era rimasta sguarnita di truppe gotiche e, per poter proseguire la guerra, richiese insistentemente nuovi rinforzi a Costantinopoli, da cui finalmente partirono alcuni contingenti alla volta dell’Italia, seguendo la rotta più breve che portava direttamente a Otranto. Un primo rinforzo, che giunse costituito da trecento Eruli comandati da Vero, appena sbarcato si diresse su Brindisi, accampandosi nelle vicinanze della città.
«Vero doveva essere un poco di buono; Procopio dice che oltre a non essere una persona seria, era anche un formidabile beone: il vino lo rendeva temerario fino all’inverosimile e quando Totila lo attaccò, massacrò molti dei suoi soldati e lui si salvò in estremis solo grazie all’arrivo di una flotta imperiale, forte di ottocento uomini comandati dall’armeno Varazze, diretta a Taranto [per unirsi alle forze di Giovanni].»1
Il Salento, per la sua strategica posizione, in quel frangente della guerra si trovò di fatto al centro del conflitto e Totila impegnò le sue forze a prendere Taranto – che nel mentre era stata fortificata da Giovanni – per poter meglio ostruire la via ai rinforzi imperiali richiesti da Belisario che li aspettava asserragliato dentro Roma. Dopo aver conquistato Taranto, infatti, Totila tentò di riprendersi Roma, ma non ebbe successo giacchè Belisario riuscì a respingere i suoi tre attacchi. Seguirono due anni in sostanziale situazione di stasi, finchè, nell’autunno del 549 Totila pose nuovamente l’assedio a Roma. Si trattò anche questa volta di un lungo assedio, nel mezzo del quale Belisario vanamente tentò di farsi mandare rinforzi dall’imperatore Giustiniano, inviando persino la propria moglie a Costantinopoli a perorare le sue richieste, ma questa solo ottenne che il marito potesse ritornare a casa. Poi, nuovamente, gli Isaurici tradirono aprendo la Porta di San Paolo al nemico e Totila entrò di nuovo a Roma, dove, con il Senato già trasferito quasi al completo a Costantinopoli, restavano ormai solo pochi sopravvissuti dei duecentomila cittadini che vi abitavano prima della guerra. E con Roma, i Goti di Totila consolidarono il loro dominio su gran parte dei territori italiani, con la sola eccezione di alcune poche città, tra cui Otranto.
Nel 552, Giustiniano – spinto anche dal papa Vigilio, dai senatori e dagli altri esuli italiani con lui rifugiatisi a Costantinopoli – decise di ravvivare la guerra e ne affidò il comando a Narsete, comes sacri erari, ministro del tesoro e prepositus sacri cubiculi, gran ciambellano di corte, eunuco armeno, ultrasettantenne, grande organizzatore e grande politico, il quale si rivelò essere anche uno straordinario e vincente stratega militare. Narsete, con un nutrito ed eterogeneo esercito entrò in Italia dal Veneto, spostando così nuovamente il teatro delle operazioni della guerra nelle regioni centro-settentrionali e, muovendosi verso Sud lungo la costa, raggiunse rapidamente Ravenna, evitando le forze del giovane comandante goto Teia, che si erano appostate a Verona per inteccertarlo. Totila quindi abbandonò Roma, ma raggiunto, fu sconfitto nella ‘battaglia dei giganti’ a Tagina, tra Gubbio e Gualdo Tadino, dove cadde ucciso alla fine di giugno 552, dopo aver regnato per undici anni. Nel 553 Narsete con i suoi soldati entrò a Roma accolto come un eroe. Poi, anche Teia, il giovane successore di Totila, proclamato a Pavia ultimo re dei Goti, che si era diretto a Sud, fu intercettato assediato e sconfitto, e dopo aver combattuto strenuamente fu ucciso tra i monti Lattari, presso il Vesuvio nel marzo del 553, mentre il resto dei caposaldi gotici rimasti nel Meridione, si arrese in rapida successione alle truppe imperiali.
La guerra greco-gotica era, in principio, finita e gli imperiali bizantini di Giustiniano avevano sconfitto i Goti, il cui regno d’Italia era stato definitivamente cancellato. Restavano comunque alcune sacche di resistenza e di rivendicazione gotica, una delle quali, presso i confini nordici dei territori veneti, faceva in qualche modo riferimento al regno di Teodebaldo, re dei Franchi d’Austrasia, presso il quale chiesero aiuto i Goti d’oltre Po, mostrandosi disposti a compensarlo lautamente. Teobaldo, in posizione di formale neutralità rifiutò, ma favorì l’entrata in campo di due Alemanni Suavi, fratelli e condottieri inescrupolosi, Leutari e Boccellino, disposti a fornire “a titolo personale” l’aiuto militare richiesto. I due Alemanni predisposero con la massima celerità una spedizione militare, che nella primavera del 553 attraversò le Alpi, entrò in Italia e si diresse rapidamente verso il fiume Po.
«All’ingresso dei due duchi in Italia, l’assetto della penisola era parecchio instabile: alcune città o fortezze erano tenute da Goti passati all’ossequio dell’Impero, altre da Goti indipendentisti, certe altre erano ancora sotto attacco o assedio romaico. Alle prime favorevoli manovre dell’esercito franco-alamanno, qualche roccaforte ostrogota della Tuscia che si era già arresa insorse, col proposito di riunirsi ai connazionali transpadani e forze d’invasione.»4
«L’attacco franco-alemanno si rivelò da subito potenzialmente assai insidioso, anche perché molti Goti sbandati della Liguria e dell’Emilia vi si unirono: da Parma la spedizione toccò l’Etruria e nella primavera del 554 si spinse verso Roma, oltrepassata la quale, nel Sannio, gli invasori si divisero in due colonne d’attacco, ciascuna capitanata da uno dei fratelli: Buccelino guidò una scorreria lungo la Campania, la Lucania e il Bruzzio, fino allo stretto di Messina.»5
«Leutari, con l’altra schiera infestava l’Apulia e le terre Calabre; e dopo che [essendo di certo passato anche da Brindisi] giunse a Otranto, che è proprio al confine del mare di Adria e dello Ionio, tutti quelli che c’erano della stirpe dei Franchi, con grande religiosità e riverenza risparmiavano gli edifici sacri per ubbidire alle giuste e rette volontà divine; anche perché – scrive Agazia – essi avevano sulla fede le stesse convinzioni religiose dei Romani.»4
«La colonna di Leutari, che aveva intrapreso l’itinerario costiero adriatico, [sulla via del ritorno in piena estate del 554] si scontrò duramente con la piccola ma ben guidata guarnigione bizantina di Pesaro, perdendo in quella circostanza buona parte di quel bottino che cercava di mettere in salvo in territorio sotto controllo Franco e, attraversato in qualche modo il Po, si diresse in cerca di rifugio nella Venetia, accampando nel castrum di Ceneda, dove fu colta da una mortale epidemia in seguito alla quale morì lo stesso Leutari… Narsete, intercettato e inseguito Buccelino, [in autunno] ne aveva rovinosamente sconfitte le schiere nei pressi del Volturno, dove cadde ucciso in combattimento lo stesso Buccellino.»5
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Anche se la lunga ed articolata guerra greco-gotica coinvolse tutta l’Italia, dal Veneto alla Sicilia, e danneggiò seriamente la maggior parte della penisola, lo fece comunque con intensità e modalità diverse a seconda delle aree che interessò nei differenti momenti del suo percorso, non dovendosi pertanto necessariamente accettare del tutto la pur stereotipata lettura di un’Italia uscita completamente distrutta dal conflitto, con le campagne devastate e le città rase al suolo, la popolazione immiserita e deportata, quando non uccisa o decimata dalle epidemie.
Brindisi, nel lungo De bello Ghotico di Procopio di Cesarea completato da Agazia di Mirina, è citata pochissime volte, meno che le dita di una sola mano e ciò, in tale circostanza, potrebbe forse assumere un significato positivo, nella misura in cui “a meno fatti di guerra da raccontare, meno morti e meno distruzioni da contabilizzare”.
«Durante il ventennale conflitto greco-gotico, Brndisi fu occupata in varie occasioni dai contendenti, ma i fatti si svolsero senza colpo ferire… Sembra che durante il conflitto fra Goti e Bizantini, i Brindisini, per proteggere i loro interessi economici, abbiano seguito una politica ambigua parteggiando, di volta in volta, per l’occupante di turno, consentendo alla città di uscire dalla guerra col minimo dei danni… Si sa che i danni più considerevoli la guerra li arrecò con la devastazione delle campagne, battute dagli opposti eserciti. Tale devastazione dovette provocare, di riflesso, squilibrio nell’economia brindisina che contava molto, allora, sull’esportazione dei prodotti agricoli.»3
In effetti, dall’analisi delle fonti pervenute, sembrerebbe che le azioni di guerra abbiano interessato più direttamente da vicino il territorio del brindisino e meno la propria città e comunque, di fatto, solo durante la seconda fase della guerra, quella corrispondente al regno goto di Totila e del suo effimero successore Teia, a partire dal ritorno in Italia di Belisario nell’estate del 544, e quindi per circa un decennio.
«Possiamo chiederci quale fosse l’atteggiamento delle popolazioni meridionali: sappiamo che durante la campagna di Belisario – prima fase della gerra – Bruzi e Calabri in particolare, non avendo truppe gotiche nel loro paese, volentieri patteggiavano per il generale bizantino. Ma – nella seconda fase della guerra – con la situazione militare cambiata, forse, è legittimo pensare che anche l’atteggiamento di quelle popolazioni cambiasse e si volgesse a favore dei Goti… In conclusione, gli atteggiamenti delle popolazioni furono determinati di volta in volta dal variare delle circostanze e a seconda dell’opportuntà del momento.»1
Se dunque la causa dell’indubbio profondo e prolungato decadimento che soffrì Brindisi nei secoli che seguirono a quell’evento bellico6 non fu tutta semplice e diretta conseguenza della guerra, e se inoltre – come è ben documentato anche da Cassiodoro – quel decadimento non si era manifestato prima dell’evento e forse – como farebbe presumerlo la Pragmatica Sanctio emanata da Giustiniano alla fine della guerra – neanche immediatamente dopo, allora cosa realmente lo determinò? Quale ne fu la reale causa? Molto probabilmente, la spiegazione è da ricercare direttamente nel cambiamento indotto dal risultato della guerra, determinato cioè dalla sconfitta dei Goti e dalla vittoria dei Greci, in definitiva, dalla nuova conduzione politica e amministrativa: quella bizantina dei vincitori, i Greci, nuovi dominatori della regione.
«Vi contribuirono l’errata politica economica dei successori di Giustiniano, il precario stato di sicurezza delle vie di comunicazione terrestri ed infine una serie di catastrofi naturali… Lo spopolanento delle campagne, le inumane condizioni di vita dei contadini ed il fiscalismo eccessivo furono le cause della depressione che, iniziatasi in questo periodo, sarà costante per Brindisi fino alla fine del primo millennio… Con il declassamento del porto di Brindisi e la rivalutazione di quello otrantino, Brindisi perde il ruolo che aveva esercitato nella regione sin dall’età messapica… E sotto Costante II, la pressione fiscale esercitata dai Bizantini divenne insostenibile…»3
Note
1 O. Giordano, La Guerra Greco-Gotica nel Salento in “Brundisii Res” – 1974
3 G. Carito, Lo stato politico economico di Brindisi dagli Inizi del IV Secolo all’anno 670 in “Brundisii Res” – 1976
4 G. Arnosti, Goti e Franchi Merovingi Nella Venetia aa. 450-565 – 2015
5 M. Gusso, Franchi Austrasiani nella Venetia del VI Secolo dC – 2002
6 G. Perri, Brindisi bizantina nei cinquecento anni più bui della sua storia http://www.brindisiweb.it/storia/brindisi_bizantina.asp
Per la prima parte: