Dopo un primo arrivo dei Saraceni a Brindisi – nell’838 – per due secoli
intorno alla città non ci fu null’altro che un desolante ‘tutti contro tutti’
di Gianfranco Perri
Dopo qualche anno dallo screzio seguito al mancato matrimonio dei figli, tra i due imperatori romani, Ludovico II e Basilio I, si ristabilì una certa collaborazione e così Ludovico II poté puntare su Bari, conquistandola finalmente il 3 febbraio dell’871, liberandola dal trentennale dominio arabo e facendo prigioniero l’emiro Sawdan, che fu portato dal principe Adelchi a Benevento, dove rimase incarcerato per anni.
Quindi, già morto – nell’875 – l’ormai vecchio imperatore Ludovico II, i Bizantini dell’imperatore Basilio I nell’876 sottrassero Bari all’influenza del longobardo Adelchi e, finalmente – nell’880 – riuscirono anche a liberare Taranto dai Saraceni nel corso della campagna di riconquista condotta dallo stratega Niceforo Foca.
Partendo dalla punta dello stivale, Niceforo Foca estese la controffensiva bizantina su quasi tutto il Meridione continentale, riconquistando sia le città rimaste in mano araba e sia la maggior parte dei territori occupati dai principi longobardi. I limiti territoriali della conquista non sono definiti con esattezza nelle fonti, ma è verosimile che i Bizantini abbiano rioccupato tutta la regione che si estende dalla valle del Crati a Taranto e la Lucania orientale con le vallate del Sinni e del Bradano, nonché la costa salentina, mentre è più arduo definire dove essi siano arrivati a nordovest di Bari.
E quindi, fu nel contesto di quella lunga campagna condotta contro Longobardi e Arabi che, dopo Taranto, anche Brindisi intorno all’885 tornò sotto il formale controllo dei Bizantini, i quali, naturalmente, la incontrarono praticamente tutta in macerie: “macerie longobarde del 674, macerie saracene dell’838 e macerie imperiali dell’867”.
Nell’886 morì l’imperatore Basilio I e gli succedette il figlio Leone VI, il quale richiamò il vittorioso generale Niceforo Foca nominandolo comandante supremo dell’esercito imperiale e questi s’imbarcò da Brindisi alla volta di Costantinopoli con gran parte del suo esercito e lasciando alla città tutti i prigionieri longobardi, sottraendoli magnanimamente alla schiavitù e rendendoli così potenzialmente utili alla eventuale ricostruzione cittadina.
Il ritorno dei Bizantini a Brindisi, infatti, fu seguito da timidi e presto interrotti segnali di rinascita quando, alla fine di quel secolo IX, si iniziò la ricostruzione della chiesa di San Leucio, impulsata dal vescovo oritano Teodosio in occasione del ritorno in città di una parte delle reliquie sottratte dai Tranesi. E negli anni a seguire, la popolazione di sua iniziativa, intraprese anche la costruzione di un’altra chiesa, che fu edificata di fronte all’imboccatura del porto interno, sulla cresta della collina di ponente e con annessa un’alta torre – una specie di faro per i naviganti – in omaggio e gratitudine allo stratega greco Niceforo Foca.
«L’edificio può essere presumibilmente identificato nella chiesa di San Basilio, che fungeva anche da faro grazie ad un’alta torre che la sovrastava. Essa, eretta secondo tradizione locale al ritorno bizantino, era ancora visibile nel XVII secolo, come testimonia Giovanni Battista Casimiro, e in seguito andò distrutta per lasciare il posto ad abitazioni civili»3.
Il 18 ottobre 891 i Bizantini fondarono il Thema di Langobardia con capitale Bari, che affiancò quello di Calabria con capitale Reggio e che con quella riorganizzazione non comprese più l’antica Calabria, ossia l’odierno Salento, che invece fu parte del nuovo Thema di Langobardia. La denominazione di Calabria, infatti, dopo essere stata estesa al Bruzio, a quell’epoca aveva già finito con l’abbandonare del tutto il suo originale territorio salentino.
Con l’avvento del secolo seguente, il X, le coste adriatiche ritornarono ad essere ripetutamente preda dei pirati saraceni, ai quali si alternarono con frequenza quelli slavi, che nel 922 assaltarono per la prima volta Brindisi e vi ritornarono nel 926, dopo aver occupato Siponto; e poi, nel 929, giunsero anche gli Schiavoni di Ṣābir, che dopo aver – il 17 agosto 928 – preso Otranto, risalirono la costa fino a Termoli.
«I Saraceni impiegarono ampiamente schiavi e mercenari slavi sulle loro navi e molti assursero anche a posizioni di comando e prestigio. Tra il 922 e il 924, lo slavo Mas‘ūd, a capo di venti navi saccheggiò la rocca di Sant’Agata. Poi, il 10 luglio 926 “comprendit, Michael rex Sclavorum, civitatem Sipontum”: un’irruzione slava il dì di santa Felicita, ch’ebbe a condottiere Iataches, che assaltò e prese la città di Siponto, estendendo le scorrerie anche più a sud. Tra il 927 e il 930, Ṣābir lo schiavone, si apprestò con una grande flotta alle coste dell’Italia meridionale, dove con tre incursioni, ripetute a poca distanza l’una dall’altra, saccheggiò varie città [da Otranto a Termoli] e catturò molti prigionieri»4.
«Non cessa, però, la minaccia saracena e le incursioni ed i saccheggi continuano sulle coste calabresi e su quelle pugliesi. E ai Mussulmani si aggiungono ancora una volta gli Slavi: dopo aver perduto Siponto nel 936, tornano nel 939 e con loro Ungari e Schiavoni minacciando le coste e spingendosi all’interno della Capitanata e nell’entroterra tarantino e, ancora nel 947, assediando Conversano e Otranto»5.
Nel 970 il Thema di Calabria e quello di Langobardia furono integrati per formare il Catapanato d’Italia e nel 976, successo a Giovanni Zimisce, l’imperatore bizantino Basilio II si trovò a dover gestire più urgentemente i fronti dell’Asia Minore e non ebbe disponibilità di truppe per stanziare contingenti di rinforzo a guardia dell’Italia meridionale e così, gli Arabi di Sicilia dell’emiro Abu Al-Kasim, ripresero a vessare le popolazioni della Calabria e della Puglia, che non riuscivano a garantirsi una buona difesa militare con le sole guarnigioni cittadine, insufficienti a proteggere le roccaforti.
In quell’anno 976, gli Arabi risalirono la Calabria, giunsero alla Valle del Crati e assediarono Cosenza, che fu costretta al pagamento di un tributo. Poi, nell’agosto del 977, con gli eserciti di Al Kasim, giunsero a Taranto perseguendo lo stesso obiettivo, ma trovarono la città abbandonata dai suoi abitanti e la distrussero. Quindi saccheggiarono nuovamente la vicina Oria bizantina e altri paesi del Capo. Poi, anche negli anni successivi, fino al 981, gli stessi Arabi misero ripetutamente a ferro e fuoco sia la Calabria che la Puglia, arrivando spesso a ridosso dei territori longobardi.
In reazione, nel 982, il sacro romano imperatore Ottone II decise una spedizione punitiva contro i Saraceni di Sicilia e, sceso nel Mezzogiorno, provò prima a ridurre la potenza bizantina nella regione costringendo all’obbedienza i piccoli stati della Campania della Lucania e della Puglia, fino a Oria, Taranto e Bari, dove però il 13 luglio fu battuto dai Bizantini. Quindi l’imperatore si diresse verso la Calabria e la Sicilia, giungendo in quell’occasione ad un passo dalla vittoria contro gli Arabi, ma nella battaglia di Capo delle Colonne subì una completa disfatta con almeno quattromila morti. Ottone II morì l’anno seguente e per qualche decennio sullo scenario del Meridione italiano, anche l’azione militare antiaraba dell’impero di Occidente – allo stesso modo che quella dell’impero d’Oriente – praticamente scomparve.
Nel 986 gli Arabi di Abu Said ripresero le ostilità contro la Calabria ritornando a Cosenza, di cui distrussero le mura per poi dilagare fino in Puglia: a Bari nel 988, dove i sobborghi furono saccheggiati con gran traffico di prigionieri verso la Sicilia.
Con il nuovo secolo e il nuovo millennio, le incursioni piratesche non diminuirono e interessarono sia la Puglia, per lo più Bari, e sia in Calabria, la Valle del Crati e Cosenza.
Tra la fine del primo millennio e l’inizio del secondo, insomma, la situazione generale delle coste e dell’entroterra nel tribolato Meridione italiano, di nuovo, non poté essere più disperata:
«Assente l’impero bizantino nella lotta intrapresa dalle città pugliesi contro la pressione araba; impotenti ad intervenire i Longobardi di Benevento e Capua, coinvolti in guerre intestine e quelli di Salerno timorosi della crescente potenza amalfitana; ormai in fase di decadenza Gaeta, Napoli e Sorrento; inefficace la rapida apparizione del sacro imperatore Ottone III; le uniche forze in grado di opporsi ai Saraceni furono le repubbliche marinare, le quali si andavano affermando sul Tirreno con Pisa e, soprattutto, con Venezia sull’Adriatico»5.
Nella prima metà dell’XI secolo, dopo che nel 1005 l’esercito bizantino riconquistò le coste dalmate, Brindisi riacquistò immediatamente l’antica strategicità – con il suo porto dirimpettaio a quello di Durazzo da cui partiva la via Egnazia che lo collegava alla capitale dell’impero – e i Bizantini ne intrapresero presto la ricostruzione.
«La portata dell’investimento bizantino è valutabile grazie al testo dell’epigrafe datata alla prima metà dell’XI secolo, scolpita sul basamento di una [quella superstite] delle due colonne che dal promontorio di ponente guardavano proprio l’imboccatura del porto interno: Illustris pius actibus atque refulgens Protospatha Lupus urbem hanc struxit ab imo. Una formula che attribuisce al programma imperiale il valore di una vera e propria fondazione»6.
Al contempo, il secolare arricchimento accumulato nell’isola aveva finito con indurre gli Arabi di Sicilia a non occuparsi più tanto di guerreggiare né di consolidarsi sul continente, quanto a godere dei tanti notevoli agi acquisiti. Un atteggiamento questo, che nei primi decenni dell’XI secolo permise alle forze bizantine di riprendere i territori dell’Italia peninsulare e di dedicarsi a controllare le rivolte filoimperiali interne che in essi via via andavano scoppiando.
Così, nel 1038 – quindi duecento anni dopo quella prima incursione saracena a Brindisi – le forze bizantine sbarcarono a Messina e si diressero verso Siracusa, ponendo l’assedio alla città. I Musulmani di Sicilia non riuscirono a rispondere per molto tempo alle forze greche e così, in quella prima metà dell’XI secolo, ebbe inizio la fine della storia islamica nell’isola e di conseguenza anche di quella nella penisola, lasciando lo scenario sgombro all’arrivo dei nuovi conquistatori: i Normanni.
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3 G. Carito-S. Barone Brindisi cristiana dalle origini ai Normanni Brindisi – 1981
4 M. Loffredo Presenze slave in Italia meridionale (Secoli VI-XI) in “Annali della Schola Salernitana” – 2015
5 T. Pedio La Chiesa di Brindisi dai Longobardi ai Normanni in “Archivio Storico Pugliese” – 1976
6 R. Alaggio Il medioevo delle città italiane: Brindisi – 2015
Per la prima parte:
Brindisi tra IX e X secolo in balia del ‘tutti contro tutti’ (parte prima)