Dopo un primo arrivo dei Saraceni a Brindisi – nell’838 – per due secoli
intorno alla città non ci fu null’altro che un desolante ‘tutti contro tutti’
di Gianfranco Perri
Le fonti relative alla storia di Brindisi tra il VI e il X secolo inclusi, sono molto avare, particolarmente avare, costituendo tale carenza quasi assoluta un forte indizio della effettiva mancanza di eventi, circostanze e personaggi da riferire in relazione alla città, un indizio quindi di marcata decadenza, associata, anche e certamente, ad un progressivo accentuato processo di depopolamento ed alla conseguente perdita della stessa fisionomia urbana della città.
Esula dal proposito di questo scritto il trattare delle possibili cause di tale situazione e basti solo accennare che, eventualmente, la prolungata guerra greco-gotica prima, l’esosa occupazione bizantina dopo, una serie di catastrofi naturali e finalmente, l’approssimarsi dei Longobardi ed il susseguirsi delle prime devastanti incursioni saracene, furono tutti eventi che più o meno in successione, per secoli affossarono completamente la città, la sua economia e la sua popolazione. Fino a quando, dopo che nel 1005 Durazzo ritornò sotto il controllo di Costantinopoli, Brindisi fu chiamata a rinascere per svolgere di nuovo una funzione di primo piano nel contesto di un rinnovato e più vasto orizzonte politico di Bisanzio. Una rinascita rimasta incipiente, che però, poco dopo, fu impulsata con decisione dai nuovi arrivati: i Normanni.
Dopo la rovinosa ventennale guerra greco-gotica conclusa nel 553 e dopo la distruttiva conquista longobarda – che per Brindisi si materializzò ai danni dei Bizantini intorno al 680 ad opera di Romualdo I duca Benevento – la città rimase semidistrutta, stremata e ridotta a poco più che un’espressione geografica quasi spopolata, anche se non del tutto abbandonata.
«La documentazione epigrafica indica che ai margini della città rimasero, sia alcuni gruppi di Ebrei – parte stabiliti presso il seno di levante del porto interno e parte presso l’attuale via Tor Pisana, dove vi fu anche un loro sepolcro – e sia qualche altro sparuto gruppo di cittadini stabiliti intorno al vecchio martyrium di San Leucio»1.
«Per il X secolo si hanno rade se non nulle notizie di transiti o approdi, reali o leggendari che siano, nella rada di Brindisi, eccezion fatta, il 908, per le reliquie di Santa Marina o Margherita d’Antiochia che il monaco benedettino pavese Agostino trasferì da Costantinopoli, ove erano conservate nella chiesa della Madonna del Mare, in Italia»2.
Dunque, alla fine del VII secolo, Brindisi, sottratta al controllo bizantino, divenne longobarda e poi per circa un secolo e mezzo di essa non se ne parla più, né se ne sa praticamente nulla, con eccezione – forse la sola – della citazione che ne fa l’anonimo tranese, descrivendola “eversa vero atque diruta” nel suo racconto del trafugamento delle spoglie del protovescovo brindisino San Leucio, effettuato nottetempo da un gruppo di Tranesi ad ulteriore riprova dell’estrema debolezza sociale, oltreché politica ed economica, in cui versava la città con i suoi superstiti abitanti.
Città quindi formalmente longobarda, Brindisi restò tale anche dopo l’arrivo dei Franchi di Carlo Magno che, sceso in Italia nel 771 chiamato dal papa Stefano III e sconfitti i Longobardi nel 774, rinunciò ad estendere il proprio controllo sulle longobarde terre beneventane. Quando poi, nel 787, Carlo decise di compiere una sortita all’interno di quei confini, ottenuta una formale sottomissione del duca Arechi II alla propria autorità, lo elevò a principe. Probabilmente, il re Carlo preferì mantenere in vita quello stato longobardo in un certo qual modo a lui sottomesso, piuttosto che intraprendere impegnative campagne militari che avrebbero potuto attivare pericolose frizioni con il confinante – in quel sud italiano – impero bizantino, nonché stimolare imbarazzanti richieste di ampliamento territoriale verso sud da parte pontificia.
Se ne riparla – di Brindisi – solo nell’838 e se ne riparla perché sullo scenario del Meridione continentale d’Italia è apparso un terzo litigante ad affiancare i due precedenti e già secolari contendenti longobardi e bizantini. Si tratta degli Arabi originari del nord Africa, poi più comunemente detti Saraceni, provenienti dalla loro nuova vicina base, la Sicilia, che da poco più di una decina d’anni – dall’827 – avevano gradualmente cominciato ad occupare (Palermo sarebbe caduta nell’831 e, ultima, Siracusa nell’878) sottraendola ai Bizantini. E perché mai e come mai, i Saraceni provenienti dalla Sicilia giunsero fino a Brindisi?
Accadde semplicemente che, una volta sbarcati e ben insediati nella Sicilia, fu naturale che gli Arabi guardassero all’Italia peninsulare come ad una meta di conquiste e, soprattutto, di scorrerie. Le incursioni e le loro azioni offensive verificatesi nel Meridione d’Italia, infatti, per lo più contrastarono con la stabilità propria dell’insediamento musulmano insulare della Sicilia, dove da subito si manifestarono il desiderio di una durevole conquista e la volontà di includerla nel dominio islamico.
Nel territorio peninsulare, invece, i pochi isolati episodi di conquista, come quelli di Bari e Taranto o sul Garigliano a sud di Gaeta, si estinsero nel giro di due o tre decenni al massimo; mentre per ben due secoli, il IX e il X, quasi l’intero Mezzogiorno visse la presenza musulmana come un endemico flagello di guerra e di rapina, continuamente combattuto – da Bizantini, Veneziani, Longobardi, Pontifici, Franchi – e mai debellato.
E tutto ciò durò così a lungo, anche perché gli Arabi furono abili a inserirsi nelle vicende della tribolata storia altomedievale del Meridione italiano, proprio come avvenne in quella loro prima incursione dell’836 e 837, quando fu lo stesso duca di Napoli, il console Andrea, che li chiamò in suo soccorso contro Sicardo, il principe longobardo di Benevento, che lo aveva assediato.
Da lì in avanti il prosieguo fu inevitabile e, solo un anno dopo, gli Arabi di Sicilia comparvero nelle acque dell’Adriatico e s’impadronirono indisturbati di Brindisi.
«Per idem tempus Agarenorum gens, cum iam Siculorum provinciam aliquos tenuerunt per annos pervasam, iam fretum conabantur transire Italiam occupandam. Dum vero cum multitudine navium fretunque ille transmeassent, sine mora Brindisim civitatem pugnando ceperunt (Chronicon Salernitanum)»
Il duca Sicardo, appena saputolo, accorse da Benevento con numerose forze a cavallo per respingerli, ma la sua corsa si bloccò per un banale tranello: gli assalitori, scavata una lunga e profonda trincera in prossimità dell’ingresso alla città, la ricoprirono con rami e con zolle di terra; quindi vi attirarono l’ingenuo nemico che cadde nella trappola subendo gravissime perdite, e Sicardo riuscì solo fortunosamente a salvarsi.
Quegli Arabi giunti fino a Brindisi, probabilmente in pochi, avuta notizia che dopo lo scacco il duca-principe Sicardo stava facendo grandi preparativi per la rivincita, non esitarono a dar fuoco alla città e a ritirarsi, non senza averla depredata del poco ancora depredabile. Eventualmente, fu anche opera loro la distruzione del monastero bizantino di Santa Maria Veterana [a meno che tale monastero non sia invece stato edificato a fine secolo, in concomitanza con il primo avvio – poi presto interrotto – della ricostruzione bizantina della citta seguita alla riconquista di Niceforo Foca, e sia stato quindi distrutto in una delle successive incursioni saraceno-slave].
Poi, abbandonata momentaneamente Brindisi, alcuni Saraceni si stabilirono una quindicina di chilometri più a nord, nella strategica e protetta baia di Guaceto, ove costruirono un campo trincerato – denominato “ribat” del quale fino a tutto il XVI secolo si scorgevano ancora le rovine – che servì loro come base da cui dedicarsi, a lungo e indisturbati, a organizzare scorrerie per mare e per terra.
I Saraceni, che con l’intervento a favore di Napoli prima e con la presa di Brindisi poi, avevano sperimentato la debolezza del ducato beneventano, nell’840 risalirono le coste della Calabria ed occuparono Taranto e subito dopo, nell’841, riattaccarono la costa adriatica con un primo assalto fallito alla città di Bari, che finalmente fu stabilmente occupata l’anno dopo. Così, oltre che dalla Sicilia, anche da Taranto e soprattutto da Bari – città che divennero sedi di emirati – partirono per anni le incursioni arabe, sempre più penetranti e più incisive, dirette sulle città e sui territori adiacenti appartenenti ai domini bizantini residui in Italia, nonché a quelli longobardi.
La situazione di instabilità causata dalla presenza araba nell’Italia meridionale cominciò finalmente a preoccupare seriamente anche il papa e quegli stessi principi che avevano in qualche modo flirtato con gli Arabi di Sicilia, i quali pensarono bene di richiedere l’aiuto dell’impero, quello dei Franchi – il quarto contendente nello scacchiere dei “tutti contro tutti” – e così, eletto sacro romano imperatore nell’850, Ludovico II nipote di Carlo Magno, nell’852 fu sollecitato a scendere nel sud d’Italia, nel tentativo di liberare le città pugliesi – Bari in primis – dal giogo arabo, ma fallì nell’intento a causa dei contrasti ben presto sorti con i principi longobardi, primordialmente interessati a conservare la propria autonomia.
Fu Venezia poi, con il suo Doge Orso, che nell’864 inviò una flotta di quaranta navi e finalmente batté i Saraceni e permise per qualche anno la restaurazione del dominio bizantino su Taranto. Ciò però, non impedì ai Saraceni di resistere di nuovo allo stesso sacro romano imperatore, il franco Ludovico II, il quale, ridisceso a sud nell’866, in Puglia nell’868 solo riuscì a liberare dall’occupazione araba Matera Canosa e Oria, giacché l’enorme flotta di ben quattrocento navi – comandata dal patrizio Niceta Orifa inviatagli dall’imperatore bizantino nell’869 per supportare l’attacco terrestre a Bari – si ritirò a Corinto e lo lasciò impotente. Ludovico II, infatti, nel mezzo di una disputa ideologica con l’imperatore d’Oriente Basilio I, si era rifiutato di acconsentire al già accordato matrimonio di sua figlia, Ermengarda, con Costantino, figlio di Basilio I.
Nel trascorso di quella campagna, con lo strategico obiettivo di colpire i Saraceni del vicino emirato barese, i Franchi di Ludovico II assediarono e quindi assaltarono e presero – 867 circa – anche Brindisi, che nel frattempo era stata rioccupata dagli Arabi.
«Due reperti archeologici testimoniano l’influenza franca sul territorio brindisino tra fine VIII secolo e inizi del IX. Si tratta di una vera di pozzo e di uno stampo con il nome di santa Petronilla, patrona dei Franchi, che potrebbero essere appartenuti al monastero di Santa Maria Veterana, dai Normanni ricostruito nell’XI secolo per ospitare le suore benedettine – unico edificio religioso documentato in Brindisi per il secolo VIII, nell’ambito della vecchia città»1.
1 G. Carito Lo stato politico economico della città di Brindisi dagli inizi del IV secolo all’anno 670 – 1976
2 G. Carito Brindisi nell’XI secolo: da espressione geografica a civitas restituita – 2013