di Giovani Greco
Della bravura artistica di frà Angelo dovette sentir parlare Sstefano II Gallone di Tricase. Difatti, quando nel 1651 costui fu nominato principe da Filippo IV di Spagna[1], approfittando della presenza del nostro nel convento dei cappuccini del paese, gli dovette commissionare un grande dipinto per la chiesa dei frati raffigurante S. Antonio da Padova. Il quadro è attualmente collocato nella piccola chiesa dei Cappuccini[2]. Nell’ala sinistra, all’interno della prima delle tre cappelle comunicanti, troviamo l’imponente tela dove frà Angelo raffigurò il Taumaturgo in piedi, quasi di profilo, con la mano sinistra appoggiata sul tavolo mentre con la destra abbraccia Gesù Bambino. Ai lati del Santo sono raffigurati degli angeli, in basso a sinistra il busto del committente Stefano II Gallone e in basso a destra lo stemma della famiglia principesca.
Nella parrocchiale di Casarano il bellissimo altare barocco degli Astore[3] nel transetto destro, è decorato da una grande tela centinata raffigurante L’Assunta[4] che frà Angelo dovette dipingere quando stanziava nel convento dei cappuccini di quella città. La ripartizione netta dei dipinto in due campi (quello inferiore riservato alla raffigurazione degli apostoli e ai busti dei committenti -gli Astore padre e figlio – e quello superiore in cui trova posto l’Assunta trasportata da uno stuolo di angeli), peculiarità artistica ancora priva dell’esperienza romana, gli angeli danzanti, il volto della Vergine assolutamente identico a quello delle sante raffigurate nel dipinto autografo nella collegiata di Copertino, l’elaborazione di una scala cromatica già vista consentono di datare l’opera tra il 1645-50.
La disposizione delle figure, la composta ripartizione delle masse e il sicuro controllo dei sentimenti rivelano la sorprendente bravura di questo frate che a Martina Franca subentra ad Antonio Donato d’Orlando portando a termine l’altare maggiore della chiesa dei cappuccini. Qui infatti vi dipinse L’Angelo custode, La Maddalena e l’Eterno del fastigio che, insieme alla grande tela del d’Orlando del 1589 raffigurante l’assunzione di Maria, completano l’allestimento pittorico dell’altare nel pieno rispetto degli insegnamenti della Controriforma[5].
Dai cappuccini di Martina passò a quelli di Nardò per eseguire l’intero arredo iconografico dell’altare maggiore della chiesa collocando al centro il grande dipinto raffigurante Il Perdono di Assisi e due tele laterali nelle quali sono raffigurati L’Angelo custode e San Michele Arcangelo, noto esempio di devozione che si trova spesso nelle chiese dei cappuccini. Nell’opera principale frà Angelo traccia idealmente due diagonali a colloca alle estremità della prima due gruppi di angeli musicanti, mentre alle estremità della seconda dispone S. Francesco che in ginocchio riceve il perdono da Gesù e la Vergine[6].
Poco più tardi lo troviamo alle prese con un altro grande quadro raffigurante la Regina Martirum[7] collocato nel transetto sinistro della collegiata di Copertino, sull’altare consacrato a San Sebastiano. L’impostazione del dipinto sembra procedere per percorsi obbligati: partendo dal nucleo figurativo in primo piano nel quale spicca la composizione anatomica e la luminosità dell’incarnato di S. Sebastiano si passa, quasi obbligatoriamente a S. Francesco che allevia i dolori delle anime purganti; si sale in alto dove ventitré santi, tra cui S. Lorenzo, S. Domenico, S. Carlo Borromeo, S. Antonio da Padova, S. Agata, S. Lucia e Santa Caterina popolano i lati destro e sinistro della Vergine col Bambino. L’opera, commissionata dall’Università locale è una delle poche giunte fino a noi firmata e datata. In basso a destra infatti reca la seguente iscrizione: F. ANGELUS A CUPERTINUS CAPUCCINUS A.D. 8bris 1655.
Nel 1668, di ritorno da Roma dove aveva concluso il prestigioso incarico in Vaticano, mons. Gerolamo De Coris gli commissionò S. Gerolamo morente[8] che volle collocare tra le sei colonne barocche del suo altare eretto nella navata laterale destra della cattedrale di Nardò[9]. Un’opera in cui frà Angelo manifesta pienamente le sue ambizioni compositive nel raggruppamento dei personaggi la cui connotazione drammatica è affidata non soltanto all’espressione esangue di S. Gerolamo, ma soprattutto ad una scala di accordi cromatici, da cui emergono il bianco e il vermiglio dei panneggi che avvolgono il Santo, e ad un rigore chiaroscurale sapientemente elaborato nell’incarnato. Quest’opera rappresenta, senza ombra di dubbio, il risultato pittorico più eccellente di frà Angelo: frutto dei frequenti contatti con la pittura romana e in modo particolare con le opere del Caravaggio.
Un altro momento della maturità di frà Angelo lo si può cogliere nella chiesa del convento dei Cappuccini di Alessano dove, ancora una volta svolge un tema molto caro ai frati: Il perdono di Assisi. La tela è collocata sull’altare in legno che occupa l’interra parete di fondo della chiesa. Come hanno dimostrato i lavori di restauro eseguito nel 1986, il dipinto è precedente alla costruzione dell’altare. Nella parte inferiore sono raffigurati i santi Chiara, Francesco d’Assisi, Leonardo e Antonio da Padova che implorano l’indulgenza di Cristi e della Vergine seduti maestosamente in alto e circondati da uno stuolo di angeli musicanti, L’opera, che per sua superba composizione cromatica sarebbe ascrivibile al periodo post-romano del Nostro, fu donata alla chiesa verso la seconda metà del Seicento da Laura Guarini, signora di Alessano e grande benefattrice dei capuccini, in occasione della nascita del primo figlio atteso per oltre sei anni[10].
Scolpito dal copertinese Ambrogio Martinelli per conto della famiglia De Magistris, il quarto altare della navata laterale destra della Cattedrale di Gallipoli custodisce il dipinto raffigurante l’Immacolata, altra opera ascrivibile alla maturità artistica di frà Angelo. La tela, non firmata, è stata attribuita da alcuni al clan dei Genuono e da altri ad un cappuccino di nome Facis[11]. Non si sa da chi e su quali basi fu fatta quest’ultima attribuzione. Tuttavia nell’ipotesi che sul dipinto esistesse questa sigla si potrebbe pensare ad un monogramma in cui è racchiuso il nome di frate Angelo cappuccino il quale dovette realizzare il dipinto durante un soggiorno nel locale convento dei cappuccini. La raffigurazione della Vergine appare impostata in un cerchio il cui perimetro è segnato da uno stuolo di angeli danzanti nonché altri due ai lati che reggono ciascuno la turris eburnea e la domus aurea. L’impostazione delle masse sembra ricondurci idealmente ad un ostensorio al cui centro vi è l’Immacolata, mentre la base è costituita da S. Agata a destra e S. Leonardo a sinistra.
Per evidenti analogie stilistiche con la produzione certa del pittore, anche la Madonna del Carmine nella chiesa parrocchiale di Melendugno potrebbe, secondo Giovanni Giangreco, appartenergli nonostante il dipinto non sia coevo all’altare.
Le opere che al ritorno da Roma dovettero impegnare maggiormente frà Angelo, vista l’imponenza scenografica elaborata su ampie superfici, furono senza dubbio la S. Anna e la Sacra Famiglia (1671) e la Traditio clavuum collocate attualmente nel coro della parrocchiale di Galatina. Nel primo dipinto la Vergine in posizione seduta guarda amorevolmente il Figlio già adolescente, raffigurato in piedi e in atto di leggere un libro aperto su un leggio. A sinistra sono rappresentati S. Anna e S. Gioacchino seduti e S. Giuseppe: a destra, una fanciulla in atto di sollevare un grappolo d’uva da un cesto ricolmo di frutta. La parte apicale del dipinto è riservata all’Eterno circondato da angeli e cherubini. Nella zona centrale della seconda opera è raffigurato Gesù nell’atto di chinarsi per porgere le chiavi a S. Pietro il quale, inginocchiato, le prende con un atto di profonda devozione. Nella parte superiore un nimbo di angeli regge il triregno e la croce astile. In basso sono raffigurati S. Domenico e S. Tommaso d’Aquino. Relativamente al primo dipinto l’attribuzione a frà Angelo fu fatta dall’Arditi il quale rivelò di aver attinto la notizia dalla “Relazione di S. Pietro in Galatina” di A. Tommaso Arcudi del 1793. Nel “Dizionario Bio-Biblioghrafico degli uomini chiari in T.d’O.” il quadro si reperta come una delle migliori opere del cappuccino. Più recentemente il Montinari descrive ambedue le opere e attribuisce la Sacra Famiglia alla “scuola napoletana della seconda metà del XVII secolo”.
Ma ci vorranno i recenti studi di Mario Cazzato per restituire a frà Angelo la paternità delle due opere. Lo studioso, definendo il nostro come il più importante pittore della seconda metà del Seicento, rivela che quando nel 1671 l’arcivescovo Adarzo de Santander concesse agli Arcudi una sepoltura nella chiesa Matrice di Galatina lo fece a condizione che dovesse realizzare l’immagine di qualche santo. Sicchè, per onorare una cosi solenne condizione chiamarono frà Angelo da Copertino che dipinse un quadro grande con l’immagine della gloriosa sant’Anna[12].
A Sogliano, nella chiesa dell’ex convento degli agostiniani (1617) dedicata alla “Madonna del Riposo”, esiste un altro dipinto di frà Angelo raffigurante l’Immacolata eseguito tra il 1668 e il 1670. Difatti, quando nel 1667 i frati concessero a Crisostomo Coia una cappella dedicata all’Immacolata all’interno della loro chiesa, questi si impegnò di fare il quadro seu ancona in essa cappella dell’Immacolata Concettione, et altre cose necessarie per farci celebrare , et fare la sua sepoltura. Nel bellissimo dipinto è raffigurata la Vergine che, insieme agli angeli e a Dio Padre, occupa buona parte della superficie pittorica. In basso, secondo la volontà del committente che si fece raffigurare in un angolo a destra, trovano posto S. Gioacchino, S. Domenico, S. Francesco di Sales e Santa Teresa. Attualmente l’opera è collocata nel coro della chiesa di fronte ad un’altra notevole tela raffigurante la Madonna della Cintura che Cazzato attribuisce al cappuccino copertinese[13].
A Lecce la presenza di frà Angelo è attestata nella chiesa di S. Francesco d’Assisi[14] (detta anche S. Francesco della Scarpa) dove, in occasione del suo rifacimento, nel 1682 dipinse il quadro autografo raffigurante l’Immacolata[15]. Nella seconda metà del Settecento il dipinto fu oggetto di un contenzioso tra la Confraternita dell’Immacolata[16] che aveva sede nella chiesa e i frati, lite seguita da Gaetano Jotti della Regia Udienza di Lecce. Quest’ultimo acquisì agli atti alcune interessanti dichiarazioni fatte a vario titolo da personaggi leccesi di età compresa tra i cinquanta e i sessant’anni . In una declaratio del 21 gennaio 1757 il patrizio leccese, Ignazio Panzini, sostenne di abitare vicino al convento dei francescani e per aver di continuo visitata la di loro chiesa come anche divoto della Vergine Immacolata, sa benissimo che il quadro della medesima esisteva prima dell’altare che ora trovasi dedicato al SS. Crocifisso e così ancora chiamato. L’altare, sostenne il Panzini, fu edificato dal defunto don Gaetano Cardamone nel 1720 quindi, fu nel medesimo altare collocato il quadro che prima esisteva nella cappella del Crocefisso, indi poi dall’istesso don Gaetano fu migliorato e posto in oro come di presente si trova[17]. Stessa affermazione fu fatta il 24 gennaio seguente dai reverendi Francesco Favilla e Isidoro Santoro, sacerdoti mezionarij nella Cattedral Chiesa della Città di Lecce[18]. Il 18 febbraio seguente furono raccolte inoltre, le dichiarazioni del magnifico Filippo Pintabona, del sacerdote don Nicola Calenda, del falegname del convento, Santo Naie r del barbiere dei frati, Gregorio Tamburelli i quali dissero di sapere benissimo che l’altare della Conc.ne di Maria Immacolata sistente dentro detta chiesa, ove al presente da fratelli dell’Oratorio si solennizza la festa della Conc.ne di Maria Immacolata fu edificato a proprie spese da don Gaetano Cardamone e dopo migliorato e fatto in oro[19]. Giova ancora ricordare un atto del 7 marzo seguente con il quale la baronessa leccese Lucrezia Scaglione, vedova di Antonio Personè, per devozione verso la Vergine donò il suo abito ricco e propriamente una Andria di drappo in oro col fondo color latte e fiori in oro e seta a condizione che venisse usato per vestire la statua dell’Immacolata per tutto il periodo che si solennizzava tale festività e in particolare durante la processione che si svolgeva l’8 dicembre di ogni anno[20].
Quasi certamente l’ultimo decennio della vita (1675-85) frate Angelo lo dovette trascorrere nei conventi di Scorrano e di Salve. Nella chiesa dei cappuccini di Scorrano intitolata a S. Maria degli Angeli e costruita in soli due anni dal 1598 al 1600 dal copertinese Evangelio Profilo[21] il pittore, ormai settantenne, realizzò il grande quadro raffigurante Il Perdono di Assisi, opera che dovette portare a termine con l’aiuto di Giuseppe Andrea Manfredi di Scorrano, un prete pittore che quasi certamente seguì frà Angelo quando questi lavorò nella parrocchiale di Salve[22]. Ai lati del Perdono, collocato sull’altare maggiore della chiesa, vi sono altre due tele: a sinistra una Maddalena penitente e a destra l’Angelo Custode attribuibili al Manfredi. Alcune discrasie anatomiche , infatti (si veda nella Maddalena l’angelo in caduta libera il cui collo non è affatto in asse con il tronco), fanno pensare più ad un principiante come Manfredi che ad un pittore esperto quale era frà AAngelo.
Secondo i Ruotolo , il nostro “eseguì quadri pregevoli in diverse chiese di Salve”[23]. Nella cappella intitolata a S. Antonio Abate esisteva un dipinto raffigurante il Santo[24]. Nella parrocchiale in brandita tra il 1596 e il 1669 e consacrata a S. Nicola Magno il 15 ottobre 1677 da mons. Antonio Carafa, le pitture degli altari laterali dedicati all’Immacolata e alla Vergine del Rosario erano state realizzate dal nostro cappuccino e andate perdute. Secondo uno zibaldone del 1750 , nel monastero dei cappuccini, eretto sotto il titolo di S. Maria della Misericordia, vi erano sette altari compreso il maggiore ed erano dotati di ottimi quadri alcuni dei quali dipinti da frà Angelo e ci cui fino a noi è giunto solo quello raffigurante La visione di S. Francesco che adorna l’altare maggiore[25]. Secondo l’autore dello zibaldone a Salve frà Angelo eseguì numerosi dipinti tra cui S. Michele Arcangelo, Sant’Orsola, l’Immacolata, l’Assunta, La Madonna del Rosario, Lo Spirito Santo, S. Antonio Abate ed altri quadri raffiguranti scene della Passione di Cristo[26].
La presenza di questo cospicui numero di dipinti non solo attesta la lunga permanenza del pittore a Salve, ma lascia presumere che proprio nel locale convento dei cappuccini si dovette concludere la sua esistenza terrena.
Ma cosa ne è stato di quei quadri che si trovavano presso il convento dei cappuccini, tra cui certamente quelli raffigurante la Passione di Cristo? Secondo quanto mi racconta l’architetto Maria Rosaria Sperti Peluso – alla quale indirizzo un doveroso ringraziamento – suo padre, Camillo Sperti, affermava che i suoi antenati custodivano nella loro casa di Salve una ricca quadreria e una biblioteca nelle quali erano confluiti i volumi e le tele del locale convento al momento della soppressione. Purtroppo la cura nel custodire queste ricchezze venne meno intorno alla metà del degli anni Trenta in seguito alla morte di suo nonno , l’avvocato Giovanni Sperti, il quale lasciò la moglie e quattro figli in tenera età che, per negligenza e trascuratezza, dispersero tutto e andarono via da Salve. Fortunatamente, però, una tela della serie della Passione raffigurante la VI stazione della Via Crucis, ovvero Cristo asciugato dalla Veronica fu ritrovata nel giardini retrostante la casa di suo nonno che fungeva da riparo ad un pollaio. La tela fu quindi recuperata da Camillo Sperti che la portò nella sua casa di Martignano e in seguito trasferita in quella della figlia Maria Rosaria. Camillo Sperti, sempre ben informato sulle vicende della sua famiglia, ricordava di aver sempre letto alla base di questo quadro l’inscrizione: “Frà Angelo da Cupirtinu p.”. Frase rimastagli sempre impressa per la tipica lectio dialettale con cui era menzionato il nome del paese; purtroppo questa firma autografa è scomparsa insieme al lembo inferiore della tela.
Nel 1682 frà Angelo dipinse un’ariosa pala d’altare raffigurante la Vergine, il Bambino e S. Giuseppe Patriarca circondati da uno stuolo di angeli di cui uno regge un cartiglio con la scritta SALUS INFIRMORUM. Nella zona inferiore sono raffigurati S. Francesco e S. Antonio da Padova in posizione orante e sullo sfondo S. Chiara. In basso a sinistra si legge l’iscrizione. F. ANGELUS A CUPERTINU CA. [PPUCCI]NUS . PE SUA DEVOTIONE PINGEBAT 1682. Questo dipinto è stato segnalato per la prima volta nel ’96 da Mario Cazzato[27] e attualmente collocato nella cappella di S. Maria delle Grazie in Copertino. Nonostante i suoi 73 anni qui frà Angelo dimostra una mano ferma e felice nell’equilibrio delle masse e nell’armonizzazione della scala cromatica. Ed è del periodo post-romano la tela raffigurante S. Francesco che riceve le stimmate, collocata nella medesima chiesa, esemplata su quella del Barocci osservata dal nostro in Vaticano. Nonostante il pessimo stato di conservazione è possibile osservare l’emergenza più significativa di questi dipinto affidata alla figura del Cristo che assume le sembianze dell’Angelo e che frà Angelo ripropone attingendo alla vasta iconografia medievale[28] . Questo dipinto – in cui Cristo compare privo della croce e munito di sei penne ad ognuna delle quali Alano da Lilla assegnò un titolo che riassume ciò che singolarmente significano, e cioè: confessio, satisfactio, carnis munditia, puritas mentis, dilectio proximi, dilectio Dei – è, quindi, una seicentesca raffigurazione delle stimmate di S. Francesco[29] eseguita da frà Angelo per assecondare l’incessante devozionismo francescano della popolazione.
Concludendo questa breve quanto provvisoria indagine si può affermare che frà Angelo, insieme con Giovanni Donato Chiarello, Ambrogio Martinelli ed Evangelio Profilo i primi due per la scultura e il terzo per l’architettura, fornirono un valido contributo all’evoluzione dell’arte in Terra d’Otranto nel XVII secolo, riprendendo quel repertorio figurativo di cui la chiesa del periodo controriformistico continuò a servirsi per consolidare la propria egemonia.
Frate Angelo da Copertino non mancò di lasciare l’impronta della sua pittura in quasi tutti i centri di Terra d’Otranto dove sorgeva una comunità di cappuccini e in un periodo in cui l’arte era divenuta efficace strumento di propaganda religiosa. Potremmo affermare infine che, la sua sensibilità artistica, nutrita dai colti moduli napoletani e romani fu talmente alta nel disegno e nelle espressioni cromatiche da offrirci risultati pittorici che superano i limiti di una produzione artigianale di carattere locale e devozionale.
Note
[1] Su Stefano Gallone cfr. A. Raeli, Aneddoti di storia tricasina, a cura di M. Paone (Galatina 1951, 59.
[2] Sui Cappuccini di Tricase si veda il saggio di G. Sodero, ‘Per la storia dell’ex complesso monumentale dei Frati Cappuccini di Tricase’, Leucadia, a cura della Società di Storia Patria per la Puglia sez. di Tricase, (Miggiano 1986), 63-80.
[3] ACVN, Visite Patorali di A. Sanfelice, A/13, 1719, c. 64v. Il 21 aprile 1719 il vescovo visitò l’ “Altare Beatam Mariae Virginis sub tit. Assumptionis et laudavit”. Nella zona acroteriale dell’altare osservò un’iscrizione lapidea la quale attesta che nel 1711 l’altare fu assegnato al chierico Vito Antonio de Astore, che con atto di notar Antonio Vergario, vi fondò un beneficio ecclesiastico.
[4] L’opera è stata pubblicata in AA. VV. Pittura in Terra d’Otranto, tav. 63 e attribuita ad un anonimo pittore meridionale della fine del XVI secolo.
[5] N. Marturano, Tradizioni pittoriche, 80. Cfr. anche M. Rutigliano, Chiesa di S. Antonio ai Cappuccini (Locorotondo 1973), 45.
[6] Una copia speculare del Perdono fu eseguita molto più tardi da un anonimo pittore locale per il coro del convento della claustrali di Santa Chiara di Nardò. Ringrazio Rosetta Fracella per avermi messo a disposizione una riproduzione del dipinto.
[7] De Giorgi, La Provincia di Lecce, II, 239. Cazzato, Guida di Copertino, (Galatina 1996), 82. Cfr. anche A S L, Dizionario biografico degli uomini illustri. Il dipinto è stato restaurato nel 1973 per volontà dell’arciprete d. Giuseppe Marulli.
[8] Cfr. Mazzarella, 197.
[9] Si veda il recente contributo di Stefano Tanisi, Nuove acquisizioni pittoriche per frà Angelo da Copertino (1609-1685 ca.) La Comunione di san Girolamo nella cattedrale di Nardò, in Il delfino e la mezzaluna, (Nardo 2014), pp.79-96.
[10] A. Caloro-A.Melcarne-V.Nicolì, Alessano storia, arte, ambiente (Tricase 1994), 33. Le altre tele che adornano l’altare sono settecentesche e raffigurano Il Profeta Isaia, Sant’Anna e la Vergine Bambina, mentre nel tondo del fastigio è raffigurato S. Giuseppe, antico titolare della chiesa. Queste tre tele sono attribuite al pittore alessanese Aniello Letizia. Cfr. anche Caloro, Guida di Leuca. L’estremo Salento tra storia arte e natura a cura di M. Cazzato (Galatina 1996+), 72-73
[11] S. Verona, Gallipoli e i suoi monumenti, (Gallipoli 1983), 55; pur riconoscendo l’eccellenza, la tela di Gallipoli è attribuita ad un “ignoto pugliese”, in Virgo Beatissima. Interpretazioni mariane a Brindisi (Brindisi 1990), fig. 7 del saggio di M. Gustaella che è anche curatore dell’opera.
[12] Arditi, 191. De Giorgi, II, 423, M. Montinari, Storia di Galatina, testo ampliato e annotato a cura di A. Antonaci (Galatina 1972), 168-69. M. Cazzato L’area galatinese: storia e geografia delle manifestazioni artistiche. Dinamiche storiche di un’area del Salento (Galatina 1989), 306-9. Id. ‘Galatina, la storia’ Guida di Galatina, (Galatina 1994), 49.
[13] Cfr. Cazzato, L’area galatinese, 309-11. Sulla presenza degli agostiniani cfr. G. Castellani, ‘Gli insediamenti agostiniani della Puglia meridionale’, Puglia e Basilicata ecc. Miscellanea in onore di Cosimo Damiano Fonseca (Galatina 1988), 83-4.
[14] La chiesa sorse nel 1273 e fu ricostruita nel 1600. Nell’Ottocento fu annessa al regio Liceo Palmieri. Cfr De Giorgi, II, 96-9.
[15] Purtroppo di quest’opera e del crocifisso ligneo di Vespasiano Genuino si sono perse le tracce . Cfr. Paone, Chiese di Lecce, II, (Galatina 1979), 238. Sulla chiesa di S. Francesco d’Assisi cfr anche G. C. Infantino, Lecce Sacra (Lecce 1634), 96-9.
[16] La chiesa di S. Francesco della Scarpa fu un importante centro di pietas; in essa vi erano tre confraternite di antica data: quella dei Terziari, detta anche del Cordone di S. Francesco che si estinse con l’espulsione dei frati avvenuta con decreto del 12 aprile 1913; quella dell’Immacolata, detta volgarmente della Madonna del tuono e quella del Nome di Dio, chiamata in seguito del SS.mo Nome di Gesù la più antica di tutte le confraternite e arciconfraternite di Lecce. La confraternita dell’Immacolata fu posta sotto il Regio Patronato fin dal 1561 e l’8 dicembre di ogni anno celebrava la festività della Vergine con il contributo del Regio Fisco pari a 40 ducati. Cfr. G. Barrella, San Francesco della scarpa in Lecce 1219-1918 (Lecce 1921), 19.
[17] A S L , atti di notar Lorenzo Carlino 46/78, a 1757, c. 14v.
[18] A S L, Ivi, c.16r.
[19] A S L, Ivi, c 62rv
[20] A S L,Ivi, c. 80v. La Scaglione stabilì inoltre che l’abito doveva conservarsi nella sagrestia del convento in una “cassa asciutta quale cassa debba stare dentro uno stipo della sacrestia e le chiavi si debbano tenere dall’Ordinario dell’Oratio e dal Priore del Convento”. Che se in futuro la destinazione d’uso dell’abito fosse stata modificata sarebbe dovuta rimanere comunque in favore del “cappellone ed altare dell’Immacolata”. Se la confraternita si fosse trasferita altrove, dell’abito si sarebbero dovuti fare “paliotti, paramenti sacri ed altre cose simili per uso ed ordinamento di detto Cappellone”. Infine, stabilì che l’abito non si sarebbe dovuto assolutamente “Vendere, alienare, permutare, donare, imprestare”.
[21] G. Giangreco, “Scorrano tra cultura e tradizione. S. Maria degli Angeli. Convento dei Frati Minori Cappuccini”, Libera Voce, n. u. (Scorrano 1997), 1 e 3.
[22] Giuseppe Andrea Manfredi lasciò diverse tracce della sua pittura in Scorrano nella chiesa di S. Maria della Neve. Ai primi del Settecento lo troviamo impegnato nella parrocchiale di Salve dove, tra il 1704-5 per volontà di don Andrea Tommaso Lecci, indorò e affrescò i medaglioni della volta poi crollata nel 1938. Cfr. G. Cardone, Vita del Servo di Dio don Alessandro Cardone, a cura di Nicola Corciulo (Galatina 1969), 33- 4. Secondo lo Zibaldone salvese del 1750, il Manfredi “fu poi dipingitore maggiore dell’Arcivescovado di Napoli”. Cfr. A. Simone, Salve. Storia e leggende (Milano 1981), 105-8-11. Del Manfredi , che divenne molto amico del cardinale Pignatelli, cfr. il mio 1723 Viaggiatori barocchi da Copertino a Napoli (Galatina 1995), 50. L’anonimo cronista del viaggio però, lo chiamava erroneamente Giovanni.
[23] G. Ruotolo, Ugento, Leuca, Alessano, (Siena 1969), 253-4-5
[24] La cappella doveva far parte di un piccolo comprensorio di case sita in via S. Maria e costituenti un piccolo ospizio. Cfr. Simone, 128.
[25] Giuseppe Maria Venneri nel suo Cenno storico sul comune di Salve del 1860 aggiunge che posteriormente alla chiesa i frati costruirono una sacrestia preceduta dal coro dei Terziari, mentre nella parte anteriore vi era il coro dei sacerdoti e un organo che, andati via i monaci, fu portato nella chiesa di Ruggiano. Cfr. Simone, 123-124. Sulla chiesa dei cappuccini restaura negli anni trenta del Novecento a cura dell’arciprete Francesco de Filippi, poi arcivescovo di Brindisi, si veda anche Ruotolo, 255.
[26] Simone, 104.
[27] Cazzato, Guida, 51.
[28] Per questa particolare iconografia che discende da uno dei miracoli occorsi in via a S. Francesco, cfr M. Meiss, Pittura a Firenze e Siena dopo la morte nera. Arte, religione e società alla metà del Trecento (Torino 1982), specialmente 177-182.
[29] C. Frugoni, S. Francesco e l’invenzione delle stimmate (Torino 1993). AA.VV. S. Francesco in Italia e nel Mondo (Milano 1990).
Pubblicato su “Studi Salentini”, a. 44, vol. LXXVI (1999), pp. 143-158
Per la prima parte:
Per la seconda parte:
Mi permetto di aggiungere a questo pregevole lavoro, nonché di segnalare, che, sempre di frate Angelo da Copertino, vi è nella Cattedrale “Maria SS.Annunziata” di Castro (Le) la tela dell’Annunciazione, la quale troneggia sull’altare maggiore (attribuibile ad Ambrogio Martinelli).
Una identica tela si trova nella chiesa matrice di Matera.
In queste due opere si avverte anche la mano di don Giuseppe Andrea Manfredi da Scorrano, l’importantissimo prete-pittore allievo di frate Angelo.