di Armando Polito
Non è certo la prima bolta che nelle mie scorribande linguistiche il dialetto mi offre la prova della sua espressività spesso superiore rispetto alla lingua comune, anche se le ragioni geografiche hanno un ruolo determinante. Mi spiego meglio: se il nostro rapporto con il mare fosse stato geograficamente meno stretto, probabilmente non sarebbe mai stata in uso la voce dialettale del titolo.
Tutto, infatti, nasce da sciàbica (dall’arabo šabaka), rete per la pesca a strascico in prossimità della costa o in fondali bassi. Antonio Garrisi nel suo Dizionario leccese-italiano, Capone, Cavallino, 1990 registra, oltre al significato originario, anche quello di palandrana, ampia e lunga vestaglia svolazzante e, al lemma derivato, (sciabbecatu) trasandato nel vestire e nel comportarsi; disordinato nel lavoro.
Dopo aver detto che il Rholfs registra sciabbica solo nel suo significato originale e nessuna voce derivata, che il significato traslato (palandrana) registrato dal Garrisi è per similitudine con l’aspetto della rete, rimane da decidere se sciabbicatu non contenga in sé anche un riferimento alla nulla selettività e ai connessi effetti devastanti della rete, se, cioé, sia in ballo non solo l’aspetto esteriore ma anche anche quello comportamentale; in altre parole se la voce contenga un giudizio non solo estetico ma anche morale, come mi pare sia nell’uso neretino della voce.
La metafora, comunque, non è esclusiva del dialetto salentino, come mostrano i lemmi (col doppio coinvolgimento cui ho appena accennato) che cito dal Nuovo duizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, Pensante, Palermo, 1853:
SCIABBACUNI, s. m. accrescitivo di SCIABBICA. 2 Presso il volgo, vale uomo di bel tempo, compagnone, sollazzatore.
SCIABBICA s. f. sorta di rete, sciabica, rezzuola. 2 Per similitudine, nell’uso s’intende minuto popolo, plebe, minutaglia.