di Giovani Greco
3 . L’esiguità delle fonti archivistiche non consente, fin qui, una completa ricostruzione biografica di frà Angelo. Tuttavia, in questa sede, si è in grado di fornire alcune inedite notizie che potranno costituire una significativo punto di partenza per un’analisi filologica delle sue opere. Il 4 marzo 1609, in Copertino, in un’abitazione nelle adiacenze della cappella intitolata a San Pietro Caposotto[1],Lucia Turi, moglie di Bartolomeo Tumolo, dette alla luce Giacomo Maria. Il giorno successivo l’infante fu condotto nella parrocchiale e l’arciprete, don Giovanni Maria Caputo, alla presenza dei padrini, i magnifici G. Francesco e Giacomo Racanata, gli somministrò il sacramento del battesimo[2].
Il documento che ci consente di risalire all’atto di battesimo è una Donatio fatta per frà Angelo da Cupertino del notaio leccese Giuseppe Garrapa del 7 febbraio 1632[3]; a questa data, nel convento dei cappuccini di Rugge in Lecce, alla presenza del notaio e degli opportuni testimoni “frate Angelo de Cupertino, al presente novizio dell’ordine dè Frati Minori di S. Francesco d’Assisi Capucinorum, al secolo Jacoby Maria filius legittimo di Bartolo Tumulo de Cupertino spontaneamente asserì come l’anni passati (quattro anni prima) si deliberò abbandonare il mondo e servire tutto il tempo di sua vita il Signore Dio per acquistare tesori celesti, et acciò più commodamente patire e seguire si claustrò dentro detta Religione di San Francesco e pigliò l’habito di Cappuccino dove al presente si ritrova, et persistendo à detta sua bona e santa voluntà intende à detta Religione professare et morire e dovendo de prossimo fare detta professione et avanti di quella fare la Renunzia e rifiuta dè suoi beni ha supplicato l’Ill.mo di questa Città si concedi la licenza di poter fare detta rinuncia di detti suoi beni servata la forma dell’ordine S.T.C. (Sacro Tridentino Concilio).
Il 1628, all’età di 19 anni, Giacomo Maria Tumolo abbandonò gli abiti secolari per quelli francescani abbracciando la rigida regola cappuccina nell’antico convento di Rugge, unica sede del noviziato.
- Da questo momento di frà Angelo si perde ogni traccia. A differenza della vocazione religiosa di cui ora siamo in grado di saperne di più, l’assenza di documenti non ci consente di stabilire come, dove e quando rivelò quella per l’arte. Possiamo solo immaginare che appena adolescente sia rimasto affascinato dalle opere del suo concittadino, Gianserio Strafella, e si sia applicato con ogni mezzo a perfezionare il disegno e ad affinare il linguaggio delle luci, delle ombre e dei colori.
Ma usciamo dalla sfera delle ipotesi e cerchiamo di percorrere, per quanto è possibile, le sue vicende artistiche che potremmo dividere sin d’ora in due periodi: il pre e il post romano.
Di sicuro siamo in grado di stabilire che a 27 anni era già in grado di esprimere una certa conoscenza cromatica, stilistica ed iconografica che lo poneva fra le emergenze artistiche più interessanti di Terra d’Otranto. E mi riferisco all’opera di Ruffano raffigurante L’apparizione del Bambino a Sant’Antonio di Padova nella quale è emersa recentemente la seguente iscrizione: “FRAT[ER] ANG [E]LUS A CUPA[RTI]NO / PINGEBAT 1636”. Quasi certamente il dipinto fu chiesto dai cappuccini di Ruffano ad un altro monastero in seguito al mutamento del Santo protettore del paese da S. Francesco d’Assisi a Sant’Antonio di Padova, avvenuto nel 1683 sotto Ferrante II Brancaccio, principe di Ruffano[4].
Note
[1] Sarà utile ricordare che la chiesa intitolata a San Pietro Caposotto sorse nel XVI secolo e dal 1707 mutò il nome in Madonna delle Grazie.
[2] Archivio della Chiesa Collegiata di Copertino, (ACCC), Liber Baptizatorum, 3, c. 216r.
[3] A S L, atti di notar Giuseppe Garrapa, 46/23, a. 1632, cc. 17r-18r.
[4] Cfr A. de Bernart, ‘Il convento dei Cappuccini di Ruffano’, in Nuovi Orientamenti, XIII, 75, (Gallipoli 1982). Id. Culto e iconografia di S. Antonio da Padova in Ruffano, (Galatina 1987. AA.VV. Pittura in Terra d’Otranto, tav. 314. A. de Bernart – M. Cazzato, Ruffano una chiesa un centro storico, (Galatina 1997), 50-51 e passim.
Pubblicato su “Studi Salentini”, a. 44, vol. LXXVI (1999), pp. 143-158
Per la prima parte: