Libri| A proposito di “Italieni”

di Antonio Di Seclì

Il poeta mantovano Alberto Cappi nell’introduzione a Il rosso e il nero di Sthendal ( vedi l’edizione di Newton Compton del 1994) scriveva: “Il gusto della citazione, l’interesse per la storia, la settecentesca e vivace curiosità, portano Sthendal a visitare con costanza le cronache della Gazette des tribunaux, un archivio sempre aperto alla sua generosa volontà di conoscere i costumi, gli atti, le passioni della società e dell’uomo del tempo”. Similmente, l’interesse per la società assieme a curiosità civica spingono il nostro Autore a indagare e scandagliare con generoso impegno e onestà i vizi e le poche virtù odierne dei connazionali.

Per comprendere con immediatezza la tipologia di contenuto delle riflessioni politiche, sociali, filosofiche, antropologiche, che assumono quasi sempre la forma di satura o di pasquinata, leggiamo insieme, a mo’ di esempio, alcuni brani tratti qui e là, quasi con casualità, da Italieni di Paolo Vincenti ( Besa Editrice, Nardò [2017], p. 282 ), secondo tomo di una trilogia ( sta per uscire il tomo terzo Avanti (O) Pop ). In precedenza l’Autore aveva già pubblicato nel 2016 L’osceno del villaggio per i tipi di argoMenti edizioni.

Leggiamo: “ L’osceno del villaggio è a piede libero. Si aggira fra di noi ( evocazione del Manifesto di Marx – Engels ), è il concentrato dei vizi e delle dissolutezze degli italiani, è il fenomeno da baraccone del gran Circo Barnum della nostra Nazione” (p.62) e ancora: “Molto italiano il vezzo di cambiar casacca, di voltare la gabbana all’occorrenza, di stare insomma dalla parte della ragione, che sta poi dalla parte del più forte” (p.65). Più oltre: “Un Governo a scadenza, come lo yogurt, quello Gentiloni, in dipendenza del tempo necessario al Parlamento a confezionare una nuova legge elettorale” (p.208) oppure “E lui [Matteo Renzi] novello Cincinnato, avrebbe lasciato i campi e la vanga e si sarebbe rivestito della giubba di rappresentanza. Dal negletto otium a un rinnovato negotium. Sì, ma ad avercela la dignità, che è merce rara, non è roba da un Renzi qualsiasi. Altrimenti pure la ministra delle riforme fallite Boschi … si sarebbe dovuta ritirare dalla politica” (p.212). E infine: “Ennesima figura di merda per il Movimento 5 stelle: il leader Grillo prima lascia l’Ukip di Nigel Farage al Parlamento Europeo e chiede di passare con il gruppo dell’Alde … Ma proprio nel momento in cui Grillo cerca di far bere ai suoi accoliti l’amaro calice, è l’Alde che lo sputtana e lo lascia sulla porta”.

Ce n’è per tutti! Vincenti non le manda a dire e tantomeno si sottrae all’uso colorito di espressioni in vero molto efficaci. Non arretra di un centimetro se si tratta di mettere alla berlina o di criticare questi e quelli, persone e movimenti, eventi e programmi televisivi e quant’altro ancora. Perciò, esemplifico casualmente, il campione pentastellato Beppe Grillo “Maitre à penser del vaffanculo e dell’arrestiamoli tutti, profeta della web devolution, spara urbi et orbi due cazzate delle sue … Proprio come negli anni d’oro di Berlusconi, infatti, tutti i media gongolano a ogni nuova uscita del memorabile Beppe” (p.238) Ma potrei continuare a dismisura con citazioni paradigmatiche su il Natale, sull’8 marzo festa delle donne, sulla sindaca di Roma Raggi, su Paolo il freddo Gentiloni, sul sindaco di Milano Sala, sul Fatto Quotidiano, sugli ambientalisti fanatici, sul pataccaro Paolo Catanzaro e via dicendo.

Gustose sono le aggettivazioni usate per fissare con veloci tratti impressionistici la luce dei vizi e delle scarse virtù dei soggetti e degli oggetti della riflessione dell’Autore. Aggettivazioni e immagini che, senza bisogno di trattati poderosi e stucchevoli, definiscono e fissano con immediatezza gli elementi più significativi del carattere e dell’operosità dei personaggi. Abbiamo già riferito del “neurolabile” Grillo che fa il paio con la “Barbie alla vaccinara” Raggi. Come anche Paolo Gentiloni “il freddo”,  “qualcuno era comunista” Piero Sansonetti, la festa delle donne “Lotto marzo” e via discorrendo.

Quella di Vincenti è veramente una scrittura interessante, perché dotta e ricca di aggettivi, erudita e generosa di immagini, forte di citazioni e di incisive voci verbali. Per rendersene conto, è’ sufficiente sbirciare anche solo per un attimo in quel che la sua penna, a pagina 270 e seguenti, semina nel concepimento di “Mondo Immondo”, articolo/cazziatone che, a mio parere, può essere a ragione ritenuto il Manifesto del pensiero e della scrittura, il manifesto intellettuale e sociale di P. Vincenti: “ Ogni giorno che Dio manda in terra, in cui mi tocca imprunarmi nel ginepraio di abiezioni che è la presente società, benedico e maledico la mia stella. La maledico perché mi costringe al contatto con tanta imbecillità, con i porci miei simili e con i loro schizzi di fango che mi fanno ritornare a casa la sera inzaccherato e maleodorante, La benedico, perché le atrocità degli implumi abitatori della terra, le pillacchere degli stolti, le ottusità degli ignoranti, empi, puttani, fanno secernere la mia bile corrosiva che, con uno scatarro catartico, nei miei cazziatoni, mi aiuta a eliminare le tossine e a vivere meglio. […] Quale maggior valenza, per chi scrive, ha la satira, che nasce dal riso e induce al riso? La satira mi permette di guardare con la lente del Giovenale, del Marziale, dell’Aretino, i miei consimili, coi loro vizi e le loro porcherie. Mai chiamandomi fuori, ma sempre con l’intento di emendare prima me. […] Non che io  mi senta un uomo di genio, però va da sé che si potrebbe scrivere un elogio degli strulli, come li definisce Papini […] Io, personalmente, non sopporto i sussiegosi, i formali, maggiordomi, scifferri …, imbalsamati, affettati, che non sai se siano davvero dei dementi oppure ti stiano prendendo per la collottola. […] Al tempo stesso, non sopporto quelli eccessivamente confidenziali, amiconi, che svaccati sulla sedia del bar ti danno il cinque, oppure sbrindellati a spasso sul corso ti corrono incontro [ qui evoca Orazio ] per salutarti e mollarti una pacca sulla spalla o un ceffone di simpatia in pieno viso. E ti chiedono dei tuoi affari, del lavoro, dei figli, come se ti conoscessero da sempre … sono gli apostoli dell’ecumenismo universale … i missionari del mal comune mezzo gaudio … E poi, la massa dei pecoroni, il popolo bue, quegli ottusi ignoranti che non distinguono la realtà dall’apparenza, che non sanno rabberciare uno straccio di idea, cognizione, e … avversano coloro che ne hanno … Non sopporto né quelli che mi incensano … perché sento lontano un miglio il loro fetore di adulatori … né coloro che non mi applaudono mai … perché è chiaro che sono rosi da livore nei miei confronti per non meglio chiarite ragioni. Per parte mia detesto gli invidiosi, i maldicenti quelli che godono dei fallimenti altrui … e detesto quelli infingardi che mi paradisano qualsiasi fesseria credendomi un beone … Non sopporto i politici di mestiere, i fancazzisti, i meschini, gli ingrati … Non sopporto i natistanchi, indolenti, taciturni … ma nemmeno i chiacchieroni, invadenti, onnipresenti … I codardi, i pacioni, i vili, i ganimedi … i bon vivant, i moderni Don Giovanni … gli esperti di tutto, i sempre informati. Vomitevoli. Si rivoltino pure nel fango del loro schifidume. Io, per quel che mi riguarda, continuerò per la mia strada”. All’autore piace, come nella citazione di p. 274 ( Pierangelo Bertoli, La fatica ), respirare la chiarezza, rompendo i bugigattoli dei dogmi culturali.

Paolo Vincenti è veramente “un cronista beffardo e mordace dell’esistente” – come afferma Massimo Melillo a p.9 – che “esercita la propria corrosiva provocazione” (p.10) attraverso  la satira che con l’Autore si rivela “graffiante, acuta, intelligente” (p.10). Vincenti dimostra “allergia all’ipocrisia e alla falsità” e “esercita al meglio la propria vis polemica” (p.10). Lui “non ama cantare nel coro” e “spinge al massimo il gusto per il paradosso e la provocazione”(p.12). Vincenti è “uomo lontano da qualsiasi parrocchia o confraternita, è contro tutto e tutti puntando il suo j’accuse in ogni direzione … senza retorica e senza acrimonia, bensì con il sorriso sulle labbra, ritenendosi un disimpegnato” (p.13),

Maurizio Nocera vede l’Autore “totalmente attratto dal richiamo filosofico della conoscenza, da un vortice fagocitante di un sapere sempre più vasto” (p.282) e i suoi scritti “sono lampi di luce fendente in un mare di oscenità” (p.282).

Anch’ io mi sono proposto di indagare il pensiero e la scrittura di Paolo Vincenti così come emerge dai suoi articoli. E con onestà devo affermare che non mi riesce difficile condividere i giudizi critici dei due estensori della prefazione e della postfazione a Italieni.

La scrittura del colto autore di Italieni risulta essere molto generosa e ricca di aggettivi salaci, immagini esemplificative e verbi mirati. La parola profondamente posseduta è rivelazione al contempo di una cultura aperta e vasta, di un pensiero vivo, forgiato nel fuoco di mille letture e riflessioni. Il suo (s)garbo è sempre filtrato o ammantato dall’aroma di un’ironia possente, che sa anche divenire autoironia; mentre la sfera del suo sorriso, nutrito da una dolce e intelligente satira, cede favorevolmente alla materia civile, all’impegno civico.

La sua è una specie di forza fustigatrice che vigila a difesa della res publica e che in Voltaire, a mio sentire, trova l’antenato più prossimo. C’è un mordace sorriso tutto volterriano nella scrittura di Vincenti. Non so se Voltaire sia parte importante delle letture formative dell’ autore di Italieni; ma c’è tanto dell’illuminista francese nella sua plume e nel suo energico pensiero.

L’impianto di Italieni, come del precedente L’osceno del villaggio, è costituito da articoli pubblicati su varie testate soprattutto on line. Gli articoli si appuntano su questioni quasi sempre esistenziali, a carattere morale, istituzionale, civico. Traggono occasione da un evento contingente, da un episodio, rispetto al quale l’Autore è soggetto, testimone, spettatore volontario o involontario, vittima. L’Autore non si limita a tratteggiare esclusivamente l’episodio, l’occasione. Non ritrae e basta, ma si sofferma, ne indaga le cause, supporta il suo ragionamento con riferimenti ad altri autori, spesso contigui alla sua formazione classica; ma anche a tanti altri, compresi i cantautori. Le citazioni, le epigrafi tratte da testi di buoni cantautori come Pierangelo Bertoli sono di già un contributo sostanzioso alla riflessione – potrebbero trovare sintesi in una apposita pubblicazione –  e dichiarano i gusti e la buona formazione di Paolo Vincenti.

Ho conosciuto Paolo Vincenti in una serata a Taurisano, per caso. Lui presentava il suo Di tanto tempo. Io venni invitato alla presentazione dagli amici di “Arte in Terra” nella sala di Corso Umbero I°. Vincenti mi convinse, mi piacque. Acquistai le sue poesie,: l’acquisto è già rivelatore di un consenso, di un giudizio positivo. Rilessi le poesie a Trento. Mi piacquero. Ora fanno parte della mia piccola biblioteca di autori salentini. Parlai di lui ad altri amici. Finalmente lo conobbi in occasione della pubblicazione dell’Osceno del villaggio. Mi fu chiesto di dialogare con lui , sempre a Taurisano, durante una serata nella sede dell’Associazione culturale “Pietre Vive” nel 2016. Fu un successo. Stranamente il pubblico della mia città, non avvezzo all’acquisto di carta stampata, fu così entusiasta delle parole di Paolo Vincenti che molte copie del libro vennero comperate. Nacque da quell’occasione reciproca stima e un senso di amicizia. E mi piace sapere che P. Vincenti scrive e che la sua scrittura incontra consenso, spesso, ma anche dissenso, giustamente.

Infine… Non solo Paolo Vincenti è autore di Italieni, ma anche, come già detto con lui hanno collaborato senza saperlo, con la loro voce e la forza di tante buone parole un gran numero di cantautori; e ancora, assieme a costoro, ha collaborato con particolare rilevanza l’altro Paolo, Paolo Piccione, vignettista gustosissimo che rilegge e rappresenta con finezza il pensiero satirico del primo Paolo. Osservate per tutte la vignetta sui nostri progenitori (p.139) per convincervi dell’efficacia artistica del nostro disegnatore. A proposito: pourquoi en francais! Forse una sottile autocensura o soltanto esprit de finesse?

 

 

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