Definizione, origine ed evoluzione nei secoli del mestiere di vasaio a Nardò
di Riccardo Viganò
È abbastanza noto l’importante ruolo che ebbe in Terra d’Otranto la città di Nardò, specialmente dal Cinquecento, nella produzione di maioliche. Una prima notizia circa l’esercizio dell’attività ceramica in Nardò è fornita da Benedetto Vetere che in una sua indagine sul patrimonio fondiario posseduto nel Medioevo dalla Chiesa neretina pubblica un documento del XIV secolo riguardante i beni del convento di S Chiara e che colloca come “prope lutificulos”[1] la chiesa di san Giovanni Battista.
Tuttavia, non è sufficiente solo quest’attestazione per confermare la presenza dell’attività manifatturiera o, comunque, di produzioni fittili legate all’argilla con addetti specializzati nella loro fabbricazione e, pertanto, la ricerca di un’ulteriore documentazione è resa necessaria perché potrebbe far attestare Nardò tra i più antichi centri di produzione della provincia di Lecce.
La notizia più remota e documentata, nella quale la definizione di ‘vasaio’ è certa, è presente nei ‘ capitoli della Bagliva’ (1558) il cui contenuto è richiamato in un atto notarile redatto nel 1650 dal notaio galateo Sabatino De Magistris[2]. In questo documento i produttori o venditori di ceramica sono denominati ‘stazzonari’ o anche ‘Stazionari’’[3]; termine col significato di ‘cretaio’ o ‘figulo’ diffuso anche in Sicilia[4] e, capillarmente registrato, anche in documenti riguardanti altri centri produttivi come quelli del periodo 1564-1597 di Laterza e quelli del 1576 di Grottaglie.
Nello stesso lasso di tempo, con l’arrivo di manodopera specializzata immigrata dalla Calabria legata alla famiglia Bonsegna, accanto alla definizione ‘stazzonaro’, appare quella di ‘scodellaro’[5].
Accanto a questi, nello stesso arco temporale e per la durata di una generazione, compaiono dei tecnonimi legati alla lavorazione della ceramica come quello di Mastro Antonello Vernai detto “Fornaci”[6].
Circa un sessantennio dopo, invece, in un frammento ormai scomparso della “Numerazione dei fuochi” del 1658 riguardante la città di Nardò, un membro di seconda generazione della famiglia Bonsegna sarà definito “piattaro”[7]; titolo, anche questo, comune in altri centri del Salento come, ad esempio, a Lecce e Cutrofiano.
È ipotizzabile che l’evoluzione della terminologia con la quale sono indicati i produttori di ceramiche sia allo stesso tempo significativa delle produzioni alle quali essi erano dediti e, perciò, non sarebbe errato ipotizzare che un “piattaro” è tale perché specializzato nella fabbricazione di ceramica da mensa smaltata.
A differenza degli altri centri salentini specializzati nella produzione di ceramica d’uso, nella documentazione archivistica di Nardò non sono menzionate le categorie lavorative alle quali appartenevano figuli e, in genere, i lavoratori d’argilla ossia nomi quali: ‘caminaru’, ‘cotimaro’ (anche nelle varianti codemaru, cutumaru), ‘capasunaru’, ‘ficolo’ ‘lavorator di crete’, ‘pignaturu’, ‘orsolaru’[8].
Nel secolo successivo anche qui, come in altri centri di Terra d’Otranto, il diffondersi del termine “faenzaro” sostituisce quello di “piattaro” che, di conseguenza, scompare definitivamente[9].
Note
[1] Vetere, Vicino ai figuli, in «Città e Monastero. I segni urbani di Nardò (Sec. XI-XV)», Congedo Ed., Galatina 1981, p. 104; L’area produttiva era posta in quella che ora è via Angelo delle Masse..
[2] Archivio di Stato Lecce, Protocolli notarili Galatone, 39/2 notaio De Magistris Sabatino, anno 1650, ff. 131-152; P. Salamac, La bagliva di Nardò, Adriatica Ed. Salentina, Lecce 1986, p. 87; Le “Disposizioni” disciplinano i rapporti tra gli abitanti di Nardò e la signoria degli Acquaviva in materia di esazioni fiscali, riscossioni di diritti e ammende esigibili nello stesso feudo.
[3] G. Rholfs, Vocabolario dei dialetti salentini (terre d’Otranto), II, Congedo Ed., Galatina 1976, p. 69: «”Stazzonaro”, sec. XVI a Grottaglie: Cretaio, Figulo. Derivazione dall’antico italico: “Stazzone” = Bottega, dal lat. statione». Viganò, Per uso della sua professione di lavorar faenze. Storia delle fornaci e delle manifatture ceramiche a Nardò tra la seconda metà del XVI e gli inizi del XIX secolo, Ed. Esperidi, Lecce 2013, p. 21: per Nardò, probabilmente, la parola è indicativa e relazionabile con membri delle principali famiglie legate alla produzione fittile come la Manieri e i Dello Castello o “de Castelli” le quali, negli stessi anni della redazione delle “Disposizioni”, risultavano attive in questo campo lavorativo oltre a possedere botteghe per lo svolgimento di tale attività.
[4] Pansini, Ceramiche Pugliesi dal XVIII al XX secolo, MIC Faenza 2001, p. 56.
[5] compare con evidente accezione in riferimento a Jacopo Antonio Bonsegna immigrato da Bisignano, centro della provincia di Cosenza..Viganò 2013, op. cit., p. 22 .
[6] ASL, protocolli notarili,Nardò,n 66/1,notaio Fontò Francesco anno 1775, c176.
[7] Vacca, La ceramica salentina,Tip. La Modernissima, Lecce 1954, p.84.
[8] Tutti questi termini sono desumibili dalla documentazione archivistica e, in particolare, dagli atti notarili rogati nei principali centri produttori di ceramica.
[9] Pansini, op. cit., p. 56: dalla lettura dei catasti del periodo, difatti, il Pansini rileva che «non si verifica mai la coesistenza delle due dizioni in un medesimo onciario». Tuttavia, anche se questa nuova definizione sembra specializzare l’opera dei ceramisti, non conferma l’esistenza di specifiche produzioni di ceramica smaltata.
Tratto da:
TUTTO CIO’ CHE RIGUARDA IL PASSATO DI NARDO’, MI RIEMPIE D’ORGOGLIO, AVENDO TROVATO UN MIO ANTENATO TRA I VASAI DI NARDO’, MI RIEMPIE DI FELICITA’, I BONSEGNA ARRIVATI DA BISIGNANO(CALABRIA) E HANNO APERTO BOTTEGA DI VASAIO IN NARDO’, NON LO SAPEVO, CONTENTO DI TUTTO CIO’, RINGRAZIO TUTTI VOI, PER LA RICCHEZZA DI CONTENUTI, PER LA RICERCA METICOLOSA E COSTANTE DEL PASSATO DELLA NOSTRA MERAVIGLIOSA CITTA’.
CLAUDIO GERARDO ORLANDO
È un onore studiare la vita, non comune, e le opere dei ceramisti di Nardò