Giovan Bernardino Tafuri, DELL’ORIGINE, SITO ED ANTICHITA’ DELLA CITTA’ DI NARDO’, a cura di Massimo Perrone
di Cosimo Rizzo
È stato presentato in data 10 dicembre 2016 nella Basilica Cattedrale di Nardò (Le) il volume di cui sopra in edizione anastatica dell’originale stampato a Venezia, Zane Editore, 1735, a cura di Massimo Perrone, dottore commercialista, Grande Ufficiale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Preside della Sezione Salento Lecce-Brindisi, diplomato in Archivistica nella Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica presso l’Archivio Segreto Vaticano.
Presentatori sono stati il dott. Alessandro Laporta, Direttore emerito della Biblioteca “N. Bernardini” di Lecce e il dott. Sandro Barbagallo, Curatore delle Collezioni Storiche dei Musei Vaticani e del Tesoro della Papale Arcibasilica Lateranense.
Gli storici municipalistici del Sei-Settecento, con la pubblicazione delle loro opere, si propongono di rendere con la penna servizio ai propri concittadini.
Per fare un esempio, B. Papadia inizia la sua opera Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia (1792), confessando che la brama principale, cioè “di far sapere a’ miei concittadini, pe’ quali scrivo principalmente”, “è quella che mi ha posto in mano la penna per compilare le patrie memorie; e s’eglino co’ coro lumi, e colle loro carte che gentilmente mi comunicarono, nello stato mi posero di scrivere men difettose le presenti notizie, non poco sarò loro tenuto, e nel decorso dell’opera mi farò un pregio di nominarli”.
Questo può bastare per dare un’idea delle intenzioni di Massimo Perrone che, con il suo serio impegno di ricerca ha voluto riproporre all’attenzione dei suoi concittadini le opere dello storico Giovan Bernardino Tafuri.
Per Nardò, nel suo insieme, a parte alcuni studi recenti, particolari e specifici su questo e quello aspetto della città e del feudo, delle attività agricole ed economiche, degli usi e degli abitanti e dell’arte, vale ancora, quello che scrisse Antonio De Ferraris,il Galateo, in pagine, significative anche oggi, perché precise ed austere, trepide di profonda e trattenuta commozione e percorse da personali ricordi. Il De situ Japigiae si chiude proprio con il nome di Nardò in una espressione oraziana: “Neretum longae finis chartaegue viaeqae” ed ancora “omnis, si qua est, in toto terrarum angulo disciplina, a Nerito ortum habuit”.
Ed è doveroso ricordare che Giovan Bernardin Tafuri ne curò l’edizione.
Ma per più motivi si potrebbero accostare al Galateo le pagine di Giovan Bernardin Tafuri, sciolte dalle accuse gravi per i “falsi” e talvolta anche ingenerose, tutte invece da rileggere e rimeditare secondo le misure e il gusto degli storici-letterati municipalistici del Sei-Settecento.
Ben a ragione lo studioso G. Vallone nella introduzione a Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia, Congedo Editore, 1984, ha parlato del Tafuri come dell’uomo “del tutto nuovo” della cultura salentina che non si può nel bene e nel male giudicare soltanto per i suoi contributi agli “Scriptores” muratoriani.
Accanto alle opere del Tafuri si possono porre le coeve Galatina letterata del 1709 di A. Arcudi, Le vite dei letterati salentini del 1710 di D. De Angelis, L’apologia paradossica della città di Lecce di G. A. Ferrari scritta nel 1580, pubblicata nel 1707, La Cronica de’ Minori Osservanti della Provincia di S. Nicolò (1724) di B. da Lama e così via.
E proprio in quest’ultima opera viene pubblicato del Tafuri il Ragionamento storico recitato nell’apertura dell’Accademia degli Infimi in cui si presentano in chiara sintesi le origini della Città, la fama, gli uomini illustri, le Scuole, le Accademie, le “famosissime Chiese”.
Bonaventura da Lama dà per primo il riassunto del libro di G. B. Tafuri Memorie degli uomini illustri nati in questa città, con una distinta notizia dell’antichità, origine e progressi delle sopra accennate pubbliche scuole.
Senza dubbio è estraneo all’origine di Nardò il tema del progresso civile nel senso del metodo critico e cioè del pensiero muratoriano; ma è solo avendo ben presente il tenore dell’anteriore storiografia provinciale che si può concretamente apprezzare l’importanza almeno dell’acquisto locale di una tecnica di fondo maurino che è opera più del Tafuri che di G. B. Pollidori.
“È fare torto all’autore non solo della Istoria degli scrittori, ma anche della monografia municipale, ignorare che nel Tafuri storico vibra una coscienza civile la quale tuttavia non è quella del Muratori, ma in un certo senso quella stessa che ispirò P. Giannone” (G. Vallone).
- B. Tafuri che mai uscì dalla sua Nardò e con i mezzi che allora si avevano, fu uno dei pochi e quasi il solo che, venuto in amicizia con i letterati della sua epoca, ebbe l’idea di non far perdere cronache e manoscritti, esistenti al suo tempo e si adoperò per la loro pubblicazione con la stampa inviandoli a L. A. Muratori e ad A. Calogerà.
Se la critica posteriore trova delle inesattezze e le vede apocrife, per questo rimane che il Tafuri è un manipolatore, un impostore, un falsario o peggio?
A me pare che coglie nel segno A. Laporta quando afferma nella prefazione della presente opera che il prodotto dell’intelligenza del Tafuri, questo in particolare resiste bene all’usura del tempo e si fa leggere ancora con interesse, intrecciandosi del resto con la fortuna dei suoi scritti, nettamente in risalita.
“Non si può certo, egli acutamente osserva, proporre di giustificare Tafuri, tutt’altro, ma rimettere in circolazione gli scritti potrà servire se non ad una riabilitazione, ad una più verisimile ricostruzione della sua prolifica attività di antiquario. L’opera che si presenta in edizione anastatica è un’occasione per “ripensare Tafuri” collocandolo nel suo secolo, con maggiore spirito di tolleranza”.
Massimo Perrone ha condotto una ricerca paziente negli archivi e nelle biblioteche per rinvenire l’edizione originale dell’opera del Tafuri. Ha voluto così dare un segno tangibile del suo amore per la città di Nardò.
L’avvenimento che conserva per le generazioni future il segno vivente del nostro recente e remoto passato, sia per lui di stimolo a darci la ristampa anastatica del secondo tomo dell’Origine, sito, ed antichità della città di Nardò.
Conoscere la storia, infatti, è conoscersi, tanto più se la storia che si vuole conoscere è quella del luogo in cui si è nati e si vive. Esplorandola si va alla ricerca della propria identità o, come oggi si usa dire, “delle proprie radici”