di Mario Colomba
Quello che cercherò di riportare in queste note non sono nozioni tecniche per impegnative verifiche di stabilità o conoscenze di geometria per il tracciamento di curve e sagome dei diversi tipi di manufatto. Mi limiterò a descrivere, quasi esclusivamente, l’insieme di operazioni che concretamente venivano effettuate dalle maestranze e dai collaboratori, cioè cercherò di rispondere alla domanda spontanea: “come facevano?”.
La mano d’opera
L’organizzazione della produzione si fondava sulla composizione della squadra che a sua volta era costituita da un numero costante e fisso di addetti che, come forza lavoro, venivano identificati con una sineddoche in base all’attrezzo principale che utilizzavano (cucchiara, mmannara, ecc.) e che generalmente, salvo il caso di lavorazioni particolari, erano:
– un muratore; detto cucchiara (cazzuola)
– uno o più squadratori; detti ‘mmannara (mannaia)
– un manovale;
– uno o più garzoni.
A questi, in alcuni casi, si aggiungevano degli specialisti come gli scalpellini, per la realizzazione di pezzi scolpiti o scorniciati o in bassorilievo di pietra leccese, oppure, , fino oltre la metà degli anni ‘60 del secolo scorso, posatori di pavimenti e rivestimenti dotati di particolare perizia nella costruzione delle cosiddette cucine economiche, in sostituzione degli antichi focolari domestici.
– Il muratore (cazzuola – cucchiara) era l’operatore principale addetto alla posa in opera dei conci (cuzzetti) che allettava con la malta, disponendoli in file regolari e allineandoli con l’uso di una corda. gli utensili personali che adoperava erano la cazzuola, il martello da muratore, il filo a piombo (lu chiumbu), la corda sottile (firazzulu) ed un metro a stecche ripiegabili.
– lo squadratore (‘mmannara) provvedeva a squadrare i conci con le modalità che vedremo separatamente. nelle fasi di costruzione, lo squadratore componente della squadra, al servizio del muratore, provvedeva al taglio dei conci a misura e alla preparazione di pezzi speciali poiché i conci ordinari da murare erano stati già preparati in precedenza e accatastati nei pilieri.
– Il manovale trasportava a spalla i conci necessari, inerpicandosi anche su scale a pioli, al progredire dell’altezza della muratura.
– I garzoni erano addetti alla preparazione della malta che trasportavano nelle vicinanze del muratore adoperando appositi contenitori metallici troncoconici detti calderine, della capacità di circa 11 litri.
Sia i manovali che gli squadratori erano provvisti di un grembiule di tela bianca (antìle), allacciato alla vita ed esteso fin quasi alle caviglie, che i manovali arrotolavano e ripiegavano sulla spalla prima di appoggiarvi il concio da trasportare.
Più unità produttive (squadre) costituivano la forza lavoro dell’attività di impresa guidata dal maestro.
Tutta l’organizzazione produttiva costituiva un sistema in cui non potevano esistere, se non molto raramente, raccomandazioni (limitate generalmente all’offerta di un’opportunità). Si progrediva per abilità, dimostrata anche indipendentemente dai dati anagrafici.
Soprattutto i manovali provenivano spesso dall’agricoltura. infatti, per i giovani, il trasferimento nell’edilizia rappresentava una speranza di avanzamento sociale per un complesso di motivi:
– il passaggio da un settore a scarso reddito legato alla variabilità degli eventi meteorologici ad un altro che conferiva maggiore dignità e certezza del futuro;
- tipo di rapporto di lavoro quasi mai padronale ; – la minore precarietà del rapporto di lavoro, Infatti, ai braccianti agricoli il salario veniva corrisposto giornalmente, esattamente la sera in piazza, dove si sperava di ricevere l’incarico di lavoro per il giorno dopo, mentre il salario dei muratori veniva corrisposto settimanalmente, il sabato sera;C’era chi, partendo da garzone della malta, riusciva a diventare cucchiara (cazzuola) anche a vent’anni e chi restava manovale anche in età relativamente avanzata o chi rimaneva a fare lo squadratore a vita.nell’ambiente di lavoro c’era una sorta di spensieratezza e di infantile licenziosità, mai eccessivamente volgare. Si rideva con poco e non erano infrequenti lazzi ed espressioni pesanti di riferimento sessuale, solo quando il “maestro” era assente. Spesso si manifestavano con il canto di stornelli allusivi e canzoni popolari che venivano scandite dal ritmo delle lavorazioni manuali generalmente poco rumorose.Ritengo che non si possa apprezzare la validità di un manufatto edilizio senza conoscerne le modalità realizzative.I conci venivano squadrati secondo precise tipologie che comprendevano:
- – i tuttuni o legatore – squadrati solo sulle due teste e sugli assetti;
- – le curesce – usati nei paramenti delle murature a due teste;
- – i purpitagni (perpedagni) – usati nei muri ad una testa;
- – le appese – inizio delle formate delle volte – conci in parte incastrati nella muratura ed in parte sagomati secondo l’andamento dell’intradosso delle “formate”, caratterizzati da una complicata stereotomia (che veniva realizzata solo da alcuni squadratori specializzati) e che richiedevano una particolare perizia sia nella scelta dei conci più adatti allo scopo che nella determinazione delle forme geometriche di ciascun elemento.
- – i pezzi scorniciati – per le cornici e cornicioni in tufo. Tralasciamo le lavorazioni esclusive dei conci in pietra leccese ad opera di scalpellini o addirittura di scultori.
L’articolo può sembrare una piccola cosa, invece racconta con scrupolo e competenza di un mondo che ancora sopravvive ma con modalità e competenze diverse.
Non solo descrive con cura l’ambiente edile del secolo scorso, ma evoca formidabili ricordi…mi sembra di sentire sulla lingua la “prule” di tufo. Grazie
P.S. sono di Spongano ma il lessico e la sostanza non si discostano di molto.