di Armando Polito
Nell’immagine, tratta ed adattata da Google Maps, ho segnato con la freccia nera l’inizio di via G. Piccini a Lecce. Scorrendo la via dall’inizio alla fine e viceversa ho rilevato la totale inesistenza di qualsiasi tabella viaria, tanto meno con sommaria indicazione (magari il solo secolo) relativa al personaggio al quale questa via è intitolata. Mi riterrò ampiamente ripagato del tempo dedicato a questo post non da qualche lode, diarroica o stitica che sia, ma, oltre che da fondate osservazioni critiche, dalla conferma che il G. Piccini della via è proprio il nostro Giovanni Vincenzo Piccino. Io ho solo il sospetto che le cose stiano così e ne dirò le ragioni alla fine (così chi è interessato dovrà leggere il tutto per capirci qualcosa …). Probabilmente essendo la via in questione periferica, il nome le sarà stato assegnato in epoca più o meno relativamente recente, attingendo alla riserva di cittadini leccesi del passato, illustri sì, ma non tanto da aver meritato o da meritare l’sssegnazione di una via più centrale. Se esiste un registro dei verbali della commissione preposta alla toponomastica, un controllo in quelli dell’ultimo cinquantennio potrebbe diradare la nebbia.
Ma ora è tempo di entrare nel cuore dell’argomento.. Confesso che, se non fosse stato per la segnalazione fattami da Fabio Ria nel suo commento ad un mio post di qualche giorno fa (https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/09/26/dialetti-salentini-spurdacchiamientu/#comment-128428), del poeta appena nominato nel titolo avrei continuato ad ignorarne l’esistenza. Domenico De Angelis nel Catalogo degli Autori che si conterranno nella Prima Parte dell’Istoria de’ Scrittori Salentini posto in coda alla prima parte del suo Le vite de’ letterati salentini, Firenze, s. n., 1710 registra per Lecce Giovanni Vincenzo Piccinno. Si tratta senz’altro del nostro, il cui cognome, come vedremo, compare nel frontespizio di una sua opera nella forma Piccini. L’opera annunziata dal De Angelis non uscì e, quindi, non sapremo mai se in essa avrebbe incluso anche le notizie biografiche che, ammesso che ne avesse, già dovevano essere scarne, visto che ne Le vite … quella del Piccino non compare.
Di lui non fa menzione neppure Giovanni Bernardino Tafuri in Storia degli scrittori nati nel regno di Napoli uscita a Napoli in vari volumi per editori diversi dal 1744 al 1770. Risulta assente pure nella raccolta curata da Domenico Martuscelli Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli uscita in diversi volumi per i tipi di Nicola Gervasi a Napoli dal 1814 al 1822.
Ecco, invece, la scheda a lui relativa come appare in Nicolò Toppi, Biblioteca napoletana, Buliifon, Napoli, 1678, p. 171.
Quella registrata dal Toppi (1607-1681) è la prima pubblicazione del nostro e non c’è da meravigliarsi, con gli strumenti all’epoca disponibili, che manchino le successive. A me, invece, sfruttando la rete, è consentito oggi non solo di citarle ma di riportarne pure i frontespizi (ad eccezione di una risultata irreperibile). SI tratta di libri molto rari, come dimostra l’esiguo numero di esemplari custoditi in pochissime biblioteche. Procederò in ordine cronologico e, opera per opera, mi soffermerò sulle eventuali informazioni interne utili per la ricostruzione di qualche dettaglio biografico.
1) Ghirlanda di dodici rosari, Baglioni, Venezia, 1609 (due soli esemplari custoditi l’uno, mutilo, nella Biblioteca comunale Fratelli Carnacini a Roncofreddo (FC), l’altro nella Biblioteca Universitaria Alessandrina a Roma.
All’nizio vi è la dedica All’illustrissima Signora la Signora Donna Caterina Acquaviva d’Aragona Contessa di Conversano e Duchessa delle Noci1. All’inizio uno dei pochissimi dettagli biografici: La servitù, e l’obbligo che ‘l Signor Massentio mio fratello tiene con Vostra Signoria Illustrissima m’han più volte sospinto … Scrissi io questi Rosari per mio essercitio mio, e delle Religiose dell’ordine di San Francesco, che nel Monasterio di S. Matteo della mia patria santamente vivono, essendo parecchi anni stato loro Padre spirituale. In calce: Di Lecce. Il dì che la Vergine Maria andò à visitare Elisabetta. 1608.
Il fratello Massenzio potrebbe essere individuato in quel Massenzio Piccinno (ancora per Piccino?) medico leccese di cui parla il De Angelis in Le vite …, op. cit. p. 222 nella biografia di Epifanio Ferdinando di Mesagne, che era uno dei più famosi medici del regno del XVII secolo
La cronologia non si oppone a ritenere che sia lo stesso personaggio designato da Cesare Prato nel suo testamento2, redatto il 6 aprile 1632 ed aperto dopo la morte dal notaio Giovanni Domenico Salviati il 22 giugno 1635, in cui nominava erede universale l’Ospedale dello Spirito Santo di Lecce e affidava l’amministrazione dell’eredità ad un collegio composto da Leonardo e Giovanni Filippo Prato, Pomponio Guarino, Nicolò Bello, Cesare De Leone, Carlo Lisgara e Massenzio Piccinno. Quest’ultimo compare già come amministratore dell’ospedale e col titolo di artis medicinae doctor in un altro atto del 2 maggio 1596.3 Ad integrazione della testimonianza del De Angelis va ricordato il primo dei titoli (di seguito li riporto tutti) di una miscellanea che Massenzio Piccino pubblicò per i tipi di Longhi a Napoli nel 1628: Antithesis veteris, et recentis medicinae, seu de usu medicamenti expurgantis in febribus. Ejusdem apologia pro Iacobo Bonauentura Clementis VII pontificis maximi medico Adversus Marium Zuccarum medicum neapolitanum. De victu Parthenopeo (Contrasto tra la vecchia e la recente medicina o sull’uso di medicamento purgativo nelle febbri. Difesa dello stesso a favore di Iacopo Bonaventura medico del pontefice massimo Clemente VII contro Mario Zuccaro medico napoletano. Il vitto partenopeo). Come autore di questo testo è riportato Massenzio Piccino in Salvatore De Renzi, Storia della medicina un Italia, Tipografia del Filiatre-Sebezio, Napoli, 1846, v. IV, p. 478.
A Massenzio Piccinni è intitolata a Lecce una via, anch’essa periferica, evidenziata dalla freccia nella foto che segue, anch’essa tratta ed adattata da Google Maps. A questo punto Piccinni va aggiunto come variante ai già visti Piccino e Piccinno.
Va rilevato che la Ghirlanda appare come la versione religiosa di un filone laico dal quale sembra aver mediato il titolo. Qualche esempio: Stefano Guazzi, Eredi di Girolamo Bartoli, Ghirlanda della Contessa Angela Bianca Beccaria contesta di Madrigali di diversi Autori, Genova, 1545; Domenico Carrega, La ghirlanda di Pallora, Deuchino, Venezia, 1613; Giovanni Rhò, Ghirlanda di eruditi fiori, Ferroni, Bologna, 1647; Tomasso Martinelli, Ghirlanda di Pindo, Monti, Bologna, 1664.
2) Sacro settenario della b. sempre vergine Maria madre di Dio, che contiene sette spirituali esercitij nelle sette festività, Erede di Damian Zenato, Venezia, 1619 (1 esemplare nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)
Purtroppo di questo libro in rete c’è solo la digitalizzazione del frontespizio e della pagina iniziale del testo vero e proprio. La lettura della dedica, che sicuramente c’è, avrebbe consentito, forse di assumere qualche altra notizia. Sfruttando il solo frontespizio e tenendo nel dovuto conto le omonimie sempre in agguato, la dedicataria potrebbe essere quell’Aurelia Marescalla di Arnesano che redasse il suo testamento nel 1662, secondo quanto si legge in Gino Giovanni Chirizzi, Arnesano: Vita religiosa e vita popolare di una comunità meridionale (secc. XVI-XX), Congedo, Galatina, 1881, p. 41. Ricordo che i Marescallo (per Marescalla vale quanto si dirà più avanti per Piccina) di Lecce acquistarono il feudo di Arnesano nel 1613.
Anche questo testo si colloca in un collaudato filone per il quale è sufficiente citare Giovanni Paolo Eustachio, Sacro settenario raccolto dalle sante scritture, Carlino, Napoli, 1579 e Carlo Sezza, Settenarii sacri overo meditationi pie. Mascardi, Roma, 1666.
3) La Maddalena ravveduta, Ginammi, Venezia, 1624 (3 esemplari: Biblioteca Estense Universitaria Modena; Biblioteca Nazionale Centrale, Roma; Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia)
Si tratta del titolo segnalatomi da Fabio Ria e dal quale tutto è partito. Il libro si apre con la consueta dedica all’Illustre Signora e Nipote amatissima, per cui abbiamo la certezza che si tratta di quell’Agnesa Piccina che compare nel frontespizio e che Piccina è un vezzoso adattamento nel genere (come precedentemente per Marescalla) dell’originario cognome, fenomeno ricorrente fino a poco tempo fa pure dalle nostre parti nella lingua popolare. A tal proposito vedi pure nel libro successivo Marescalla.La parte finale della dedica così recita: Priego Dio, che con occhio favorevole riguardi la sterilità di V. S. illustre, e faccia lieti d’un figliolo maschio lei, e ‘l Signor Giulio Cesare Vitale suo consorte; a cui bacio la mano. Di Lecce il dì d’Ogni Santi 1623. Di V. s. Illustre Carissimo Zio. Su Giulio Cesare Vitale tornerò al momento di presentare l’ultima pubblicazione del Piccino. Faccio presente che il tema trattato in quest’opera del Piccino risulta essere estremamente inflazionato, come mostrano i titoli che seguono e che sono solo parte di una serie sterminata: Paolo Silvio, La Maddalena penitente, Carlino & Vitale, Napoli, 1609; Felice Servidio, La Maddalena penitente, Zanobi Pignoni, Firenze, 1616; Benedetto Cinquanta, La Maddalena convertita, Como, Milano,1616; Giovanni Battista Andreini, La Maddalena, Antonio & Ludovico Ossanna: Mantova, 1617; Vincenzo Della Rena, La Maddalena pentita, Zeffi, Pisa, 1627; Giuseppe De Lauro, Madalena romita, Manelfi, Roma, 1645; Ignazio Cumbo, La Maddalena liberata, Baglioni, Venezia, 1673.
4) In Drammaturgia di Lione Allacci accresciuta e continuata fino all’anno MDCCLV, Pasquali, Venezia, 1755, p. 601 è presente la seguente scheda.
A conferma dell’alternanza della forma Piccino/Piccini di cui ho detto all’inizio, ecco come lo stesso titolo appare in Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Agnelli, Milano, 1743, v.
Tuttavia va precisato che la più antica segnalazione di tale titolo è in Libri stampati da Marco Ginammi, che si trova, con chiara finalità pubblicitaria. alla fine di il Ministro di Stato con il vero uso della politica moderna del Signor De Silhon trasportato dal francese per Mutio Ziccatta, Ginammi, Venezia, 1639. Da notare il dettaglio relativo al formato (8) contro quello dell’Allacci (4), probabilmente meno affidabile perché il libro contiene aggiunte successive all’Allacci e perché sembra strano che lo stesso editore abbia deciso di adottare due formati diversi per testi similari per contenuto. Il sospetto di errore diventa certezza perché nell’elenco di pubblicazioni dell’editore Ginammi in coda a La Maddalena ravveduta compare 8 e non 4.
Chi legge, non avendo visto la riproduzione del frontespizio, avrà già capito che l’unica opera irreperibile è proprio questa. Almeno un esemplare, però, sarà esistito fino al 1894, visti i riferimenti all’autore ed all’opera nonché la citazione di ampi brani brani in Costantino Nigra e Delfino Orsi, Rappresentazioni popolari in Piemonte. Il Natale in Canavese, L. Roux & C., Torino-Roma, 1894.
p. 28
pp. 44-45
p. 47
p. 69
p. 95
p. 103
. Come le precedenti anche quest’opera fa parte di un filone diffusissimo nel secolo XVII (due soli titoli tra i tanti: Giovanni Battista Calamai, Il parto della Vergine, Cecconcelli, Firenze, 1623; Marco Antonio Perillo, Il parto della Vergine, Roncagliolo, Napoli, 1624) e che ha il suo antesignano nel De partu Virginis di Jacopo Sannazzaro pubblicato nel 1526.
5) La mirra parte prima, Ginami, Venezia, s. d. (un solo esemplare ciascunai: Biblioteca Provinciale Nicola Bernardini Lecce e Biblioteca Comunale di Massafra (1 esemplare).
Da notare nel frontespizio di entrambi i volumi Piccini per Piccino (ne ho già detto) e l’editore Ginami invece di Ginammi che compare nelle altre opere.
Il primo volume si apre, come anticipato nel frontespizio, con la dedica in versi (un sonetto) All’Eterna Maestà di Giesu Christo crocifisso; segue un avviso dell’editore (Lo stampatore a chi legge) particolarmente importante perché ci informa che avea già disegnato l’Autore di porre non senza intollerabile fatica in fronte di ciascun oensiero una sentenza latina della divina Scrittura, in modo tanto acconcio, che con molta vaghezza ne spiccava la rima in quella guisa, che fa la gemma incastrata in oro; ma non essendo piaciuto a superiori questo congiungimento di Scrittura in lingua latina, e di concerto spiegato in rima Toscana, e veggendo l’Autore che i pensieri venivano à perdere quella grazia, e leggiadria, che risultava da’ detti latini se fossero trasportati in lingua volgare, s’è risoluto di mortificarsi … Patienza…
Non sapremo mai se al trauma subito sia dovuto il fatto che del nostro autore non ci è rimasto nulla in latino, neppure un epigramma, nonostante in quei tempi costituisse quasi una moda diffusa tra i letterati.
All’avviso dell’editore, prima del testo vero e proprio, segue un componimento elogiativo di Giulio Cesare Vitale, avvocaro leccese che, come abbiamo detto, aveva sposato sua nipote Agnesa.4
Si tratta di una prassi normale per l’epoca, un po’ quello che oggi si chiama presentazione, questa in prosa, quella in versi (nel nostro caso in italiano, ma sovente in latino o, addirittura, in greco); anzi fa meraviglia che sia stato qui ospitato il solo Vitale, visto che in altri autori un buon numero delle pagine iniziali dell’opera sono riservate ad un numero talora cospicuo di “presentatori”. Non è detto che tutti conoscessero di persona l’autore, ma nel nostro caso ne abbiamo la certezza e, considerato il rapporto di parentela, sia pure acquisito, con l’autore l’elogio appare un fatto di famiglia, oltre che, direi in dialetto neretino, fattu ‘ccasa (senza le caratteristiche positive cui tale etichetta allude …). Il Vitale, però, si sarebbe dovuto impegnare meglio per l’occasione, anche perché dà prova migliore (anche se non esaltante …) negli altri componimenti che di lui ci sono rimasti: tre sonetti sono in Varii componimenti volgari, e latini, in lode dell’illustre Signor Don Francesco Lanario et Aragona, hora Duca di Carpignano, Cavaliero ell’habito di Calatrava, e del Consiglio di Guerra di Sua Maestà Cattolica ne’ Stati di Fiandra, Governator Generale della Provintia di Terra d’Otranto, c on la potestà ad modum belli, raccolti da Giulio Cesare Grandi, Gentil’huomo di Lecce, Patritio, et Senator Romano, Cirillo, Palermo, 1621, pp. 38-39.
E ancora: in Eustachio D’Afflitto, Memorie degli scrittori del regno di Napoli, Stamperia Simoniana, Napoli, 1782 a p. 207 si legge che un suo epigramma si trova alla fine di Discorso intorno al Tancredi, Poema eroico del signor Ascanio Grandi, al molto illustre Signor Giovanni Filippo Prato, Lecce, per Pietro Micheli, 1634, opera del Giovanni Pietro D’Alessandro; peccato che essa risulta irreperibile. Probabilmente, però,date le precedenti prove poetiche non abbiamo perso granché per quanto riguarda il Vitale.
Chiudo motivando al dubbio iniziale di natura toponomastica: e se il Piccini che si legge in quest’ultimo frontespizio fosse quello della via con G. che sta per Giovanni e con l’omissione di Vincenzo?
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1 PIù avanti. … moglie dell’Illustrissimo Signor Duca Giulio Acquaviva d’Aragona …; Giulio Antonio (2° Duca di Noci, 19° Conte di Conversano, 11° Conte di San Flaviano e Conte di Castellana dal 1607) e Caterina (6° Duchessa di Nardò, figlia ed erede di Don Belisario II Acquaviva d’Aragona 5° Duca di Nardò e di Donna Porzia Pepe dei Duchi di Seclì) erano cugini. Il loro matrimonio avvenne nel 1598. Lui morì nel 1623, lei nel 1636.
2 Congregazione di Carità di Lecce, O.P., Ospedale dello Spirito Santo, Actus aperturae testamenti inscriptis conditi per quondam R.dum D. Cesarem Prato, 22/06/1635-III, c. 1, b. 2, fasc. 18
3 Archivio di Stato di Lecce, atti notarili 46/9, notaio Paolo Schipa di Lecce, prot. del 08/06/1596-IX, Arrendamentum Sacri Hospitalis Spiritus Sancti litien., c. 108v.
4 Da Tommaso De Santis, Istoria del tumulto di Napoli in Raccolta di tutti i più rinomati Scrittori dell’Historia Generale del Regno di Napoli, tomo VII, Gravier, Napoli, 1769, la scheda nell’indice a p. 382 e il relativo rinvio a p. 104.
Da Francesco Gaudioso, Famiglia, proprietà e coscienza religiosa nel Mezzogiorno d’Italia: secoli XVI-XIX, Congedo, , Galatina, 2005, p. 129 apprendiamo che il suo testamento fu chiuso e sigillato il 19 marzo 1648 e aperto e pubblicato il 9 maggio 1656 dopo la morte avvenuta il 3 febbraio di quello stesso anno.
Una ricerca magistrale del nostro Armando Polito, che non ha eguali.
Complimenti !