Tutto arriva per chi sa aspettare. Il Canzoniere Grecanico Salentino a Loano al Festival Nazionale della Musica Tradizionale Italiana delle Rigenerazioni
di Giuseppe Corvaglia
Tutto arriva per chi sa aspettare, anche il Canzoniere Grecanico Salentino.
Da anni seguo il Festival Nazionale della musica tradizionale italiana e da anni mi aspettavo venisse a questa manifestazione un gruppo di rango della musica popolare salentina.
Quest’anno, il 26 luglio, nel festival dedicato alle RIGENERAZIONI, diretto da Jacopo Tomatis che, dopo 17 anni, riceve il testimone da John Vignola, ecco che partecipa il CGS che è proprio esempio di un gruppo “rigenerato” dalle nuove generazioni: Mauro, figlio di Daniele Durante, ed Emanuele, figlio di Roberto Licci, che hanno rinnovato il gruppo non solo anagraficamente, ma anche musicalmente.
A rendere questo evento particolarmente prezioso e unico è stata la presenza di Roberto Licci (Daniele Durante era assente perché impegnato a Melpignano come Direttore artistico della Notte della Taranta) non come reliquia, ma come parte del gruppo e in quel gruppo scatenato ed entusiasta il vecchio leone si è integrato a meraviglia.
Il pezzo forte era il concerto serale che, opportunamente, è stato spostato in Piazza Italia dal Giardino del Principe, dove tanti spettatori possono stare comodamente seduti, ma non è propriamente adatto per un concerto di musica popolare salentina dove una buona parte di canti, che sono Pizziche, ti induce naturalmente alla danza, nel Salento direbbero ”te scazzica”, ed è una esperienza che se non la danzi, godi solo a metà.
Tuttavia, per gli estimatori, un momento particolarmente interessante è stato l’incontro delle 18,30 sotto le palme dei Giardini Nassiriya dove il giornalista Ciro De Rosa ha condotto protagonisti vecchi e nuovi nel racconto di una vicenda artistica e umana complessa che dura dal 1975, ma è davvero degna di essere conosciuta.
Con Roberto Licci si sono ripercorsi gli inizi quando il Nuovo Canzoniere del Salento sente di aver esaurito la propria spinta propulsiva e con Luigi Chiriatti invita alcuni giovani di Calimera, fra cui lo stesso Licci, e nasce il Canzoniere Grecanico Salentino sotto la guida ed anima vera del gruppo: Rina Durante.
È il 1975 tutto quello che accade nella società è permeato di politica. C’è un’attenzione diversa alla cultura ed in particolare alla cultura popolare. Alcune avanguardie culturali riscoprono e recuperano la cultura e le tradizioni popolari e questo recupero passa attraverso una consapevolezza politica tesa a dare dignità ad una cultura considerata fino a quel momento subalterna rispetto alla cultura ufficiale.
Negli anni 50 e 60 un antropologo di rango come Ernesto De Martino, lavorando in equipe con una squadra di esperti, aveva esplorato il fenomeno del tarantismo per affermare che la ragione del disagio e della sofferenza non stava nel morso di un ragnetto o di uno scorpione, quanto nel disagio sociale delle tarantate che in quella esibizione trovavano sollievo e liberazione, seppure temporanea.
Rina Durante, intellettuale a tutto tondo e una delle avanguardie citate, capisce che la musica e i canti popolari sono stati e possono essere un veicolo formidabile per la diffusione di una cultura popolare, di una letteratura e di una poesia, di una arte e di una filosofia, di una saggezza e di un modo di raccontare la storia del popolo che fino a quel momento erano considerate subalterne ma che subalterne non lo erano affatto perché avevano una loro dignità.
Questo ha voluto dire Roberto Licci quando nell’intervista con De Rosa, ha parlato di connotazione politica dei concerti del CGS e il concetto lo si ritrova espresso con chiarezza proprio da Rina Durante in una intervista del 1979, quando dice che il recupero della tradizione e della cultura popolare in quegli anni passava attraverso una presa di coscienza politica.
(https://www.youtube.com/watch?v=SYq8aVceT3Y Canzoniere Grecanico Salentino dal minuto 22; dal minuto 29 intervista a Rina durante; dal minuto 31 una parte di Quannnu Diu fice lu munnu[1] interessante esempio di autoironia dei contadini).
Sono gli anni del boom economico, dell’alfabetizzazione di massa. La gente che aveva migliorato le sue condizioni spesso cercava di nascondere le proprie origini, radicate nella cultura contadina, quelle origini che ricordavano povertà, stenti e soprusi; voleva sposare il modello del benessere, del progresso, della cultura ufficiale, quello che noi oggi sappiamo essere il consumismo.
Questa realtà la scopriva bene chi si cimentava nella ricerca popolare, che spesso trovava la gente restia a parlare dei tempi andati, ma poteva pure accadere, come riporta efficacemente Roberto Licci, che il pubblico nei concerti prendesse a nocciole e mandorle i cantanti perché non cantavano Yuppi duh, canzone in voga all’epoca, e cantavano “Damme nu ricciu de li toi capelli”.
Pur tuttavia una buona parte della gente voleva riscoprire la cultura delle origini, fatta di canti e componimenti ironici ed autoironici, che strizzavano l’occhio al doppio senso, pieni di una semplice, ma gustosa allegria. Spesso questi canti erano resi più gradevoli con rifacimenti molto simili al liscio e ai ballabili. Non che il risultato fosse disprezzabile, ma se l’intento era quello di prendere coscienza della propria condizione non ci si poteva fermare all’intrattenimento.
Prendiamo per esempio, un canto popolare, riproposto sia da un noto cantante folk come Luigi Paoli (Catarineddhra ncatinata [2]), sia dal CGS (la Ceserina [3]) sono lo stesso canto in origine che parla di due innamorati in catene, ma per il Paoli le catene portata in petto da Caterina e ai polsi dall’innamorato sono catene d’amore; nella Ceserina del CGS la catena sul petto di Ceserina è d’amore, ma le catene dell’innamorato legano i suoi polsi perché lui va in prigione, lontano dalla sua bella e dalla sua vita, tradito da una infame carogna. Il canto è lo stesso, ma mentre Paoli lo edulcora in un canto d’amore il CGS lo ripropone nella sua crudezza che parla di lotte contadine, di repressione, di infamie e di prigione. Particolarmente toccante è il voto che fa il malcapitato: se il governo cambierà girerò tutto il mondo a piedi. (https://www.youtube.com/watch?v=NZ5oLsjzscA Roberto Licci con i Ghetonia)
Licci nel sottolineare la valenza politica e non solo musicale del CGS riporta a un concetto espresso bene da Rina Durante nell’intervista già citata, dove viene spiegato come il gruppo, oltre a riproporre canti popolari nei suoi spettacoli, stimolava in diversi paesi la ricerca della cultura popolare da parte di giovani.
Occorre dire che se il Canzoniere nasce dall’intuizione di Rina Durante, deve però la sua fama a un impianto vocale bellissimo dato dalle voci di Bucci Caldarulo, di Roberto Licci e di Luigi Chiriatti e Rossella Pinto, e deve pure molto al genio musicale di Daniele Durante.
Con lui anche le canzoni popolari, spesso raccolte come prodotti essenziali, acquisiscono una gradevole eleganza. Licci ricorda come qualche purista criticasse l’impianto musicale di Daniele perché a loro dire, usava la chitarra come un clavicembalo. Non credo che questo potesse essere un male, invece a volte la riproposta filologica può anche non essere un bene, specie se interpretata con rigidità.
Oggi il Canzoniere Grecanico Salentino è davvero rigenerato, lo spirito si è adeguato ai tempi, i suoi componenti sono capaci di padroneggiare il nuovo, le opportunità che la tecnologia, il progresso e il mondo offrono; è apprezzato sui palchi dei principali festival di tutto il mondo, dal WOMAD allo Sziget al SXSW Music Festival in Texas, ma sembra ancora attento ai principi che hanno ispirato il gruppo delle origini.
Una cosa straordinaria è che l’artefice di questa rigenerazione, Mauro Durante, che nel 2007 ha ereditato dal padre la conduzione del gruppo, ha saputo coinvolgere l’altro erede, Emanuele Licci e altri valenti musicisti creando un gruppo coeso, sinergico, capace di trasmettere entusiasmo con una musica gradevole, stimolante e coinvolgente.
L’impianto vocale, che era il punto di forza del primo CGS, è ancora il pilastro del gruppo attuale che sull’amalgama delle voci, crea la sua sonorità impreziosendola con strumenti vari che rendono i canti più musicali. Anche le contaminazioni si sposano con la musica tradizionale senza snaturarla anzi arricchendola gradevolmente.
Così se la magica mistura vocale, adorna della musica degli strumenti, si associa a una energia potente, nessuno riesce a rimanere indifferente e anche chi non si lancia nel vortice delle danze, non può fare a meno di scandire il ritmo con il piede o con il battito delle mani.
I canti non sono più quelli del passato CGS e questa “rigenerazione” si dichiara già con la copertina del CD in una bottiglia di Coca cola usata per conservare la salsa di pomodoro dove la salsa è il segno di un sapere antico, comune a tutte le famiglie, e la Coca cola è il segno della globalizzazione, e questo rinnovamento lo si trova nella produzione del gruppo degli ultimi anni. La musica del nuovo CGS contiene i germi della musica popolare tradizionale, ma si apre a nuove contaminazioni e a nuovi esperimenti, come nel caso di “Taranta” scritta con Ludovico Einaudi (https://www.youtube.com/watch?v=4cG6pbwx_dw ) o di altri brani che nascono dalla collaborazione con musicisti di tutto il mondo.
Il messaggio è inequivocabile e non parla di omologazione, ma dice che si può andare nel mondo con le proprie gambe e le proprie proposte musicali mantenendo le proprie radici che sono parte integrante della propria identità.
Un’altra nota di attualità nella tradizione ce l’ha spiegata Mauro Durante con un interessante paragone sulla terapeuticità della pizzica. Nei tempi andati, infatti la terapia si basava su diversi elementi: la musica, i colori, l’acqua (ricordiamo per chi non lo sappia che uno dei passaggi fondamentali della terapia era la visita alla chiesa sconsacrata di San Paolo a Galatina dove i tarantati bevevano un’acqua da un pozzo che era solfurea e li faceva vomitare liberandoli e guarendoli, secondo la credenza, per l’intervento del Santo), ma il percorso terapeutico, guidato dai musici che stimolavano la danza liberatrice, era osservato e sostenuto da tutta la comunità che, discretamente, partecipava emotivamente a quella sofferenza interiore che si manifestava con l’abbandono e l’apatia e per guarire diventava sforzo fisico spossante, obbligato, estenuante e anche umiliante.
Oggi le sofferenze della psiche non mancano, si esprimono diversamente, e la musica coinvolgente, come la pizzica, unisce e può essere una sorta di terapia di gruppo dinamica che con la danza unisce e può curare tante umanità diverse.
Così se il pomeriggio ha offerto un racconto di un quarantennale percorso articolato, fatto di successi, di fatica, di addii e di ritrovamenti, ma soprattutto di musica e di sapienza antica, non è mancata la musica con alcuni brani del repertorio classico, grico con “Aremu rindineddhra”[4] , canto struggente dove un uomo lontano chiede alla rondine che viaggia per il mondo di raccontargli qualcosa della sua terra, che sicuramente avrà visitato, dei suoi genitori, dei suoi amici, e “Damme nu ricciu”, in dialetto salentino, cantato nonostante i tempi stringenti per fare il check dello spettacolo. Dono migliore non ci poteva essere, per chi era andato ai Giardini Nassiriya, di questa canzone d’amore dove l’innamorato chiede alla donna un riccio dei suoi capelli che lo fanno innamorare e che quando si muovono baluginano come il riflesso dell’ oro e poi le chiede la mano sotto una pianta di vite per restare uniti fino alla morte come due uccelli. (qui nella versione dei Ghetonia https://www.youtube.com/watch?v=W-xdpFGS1Mg o nella versione di Antonio Amato https://www.youtube.com/watch?v=0unR40RLjEs )
Si è parlato poi di Grecìa Salentina, isola linguistica, dove il griko va scomparendo perdendosene la pratica linguistica sia perché le nuove generazioni non lo parlano, sia perché il continuo rapporto con persone di comunità vicine obbliga all’uso dell’Italiano o del dialetto salentino.
Emanuele Licci ha raccontato di come gli unici posti dove si possa ancora sentire il griko siano le sale d’attesa degli ambulatori medici, frequentati da anziani che ancora parlano il griko quando si relazionano fra di loro.
La sera in piazza Italia c’ era attesa e, invero, non è stata delusa.
Le voci di Mauro Durante, di Alessia Tondo ed Emanuele Licci, i preziosi inserti musicali di Giulio Bianco, zampogna, armonica, basso, flauti e fiati popolari, e di Massimiliano Morabito all’organetto diatonico , le movenze eleganti di Silvia Perrone e la coinvolgente energia di Giancarlo Paglialunga con la sua voce e il suo “tamburieddhu”, hanno subito scaldato la piazza e anche l’evento particolare di questa serata, la partecipazione di Roberto Licci, è stata una bellissima e preziosa parte del concerto.
In questo gruppo, insolitamente rinnovato con l’antico, non si percepiva differenza generazionale e i brani non erano solo gradevoli e coinvolgenti, ma sembravano dire noi siamo questa storia che ora state ascoltando.
Molto significativa la riproposta della “Quistione meridionale”, canto memorabile scritto da Rina Durante con la musica di Daniele Durante, che con molta ironia racconta di come il dibattito sulla questione meridionale non abbia mai portato niente di buono alla gente, ma ha portato sicuramente benefici a chi ci ha speculato e ci specula sopra. (https://www.youtube.com/watch?v=eUNlnFe-rxA )
È una canzone bella ed evocativa per i termini che usa e le immagini che sceglie. Per esempio parlando delle lotte contadine non parla della violenza fisica sui corpi dei contadini, pure molto sentita, ma di una violenza ancora più feroce, come distruggere le biciclette dei braccianti, che non è solo un danno economico, ma un umiliazione perché distrugge un bene che aveva portato benessere e aveva fatto progredire. Un po’ come dire: «Straccione, torna a camminare a piedi», come quando i padroni per punizione sequestravano ai contadini la cintura: non era solo un castigo, un danno, ma una umiliazione.
Insomma una bella serata e un concerto da ricordare che ha saputo coinvolgere il pubblico toccandolo nelle corde dell’intimo, portando gioia per una musica che, uscita dai confini del Salento, diventa sempre più apprezzata grazie anche al lavoro di questo Canzoniere Grecanico Salentino.
Nota dell’autore
Per chi vuole inquadrare meglio la storia del Canzoniere Grecanico Salentino consiglio la lettura:
– dell’articolo di Luigi Chiriatti su Blogfolk Le Ricerche Sulla Musica Tradizionale In Salento – Dalla ricerca come memoria alla ricerca come affermazione del sé http://www.blogfoolk.com/2013/05/le-ricerche-sulla-musica-tradizionale.html
- dell’articolo di Francesco Aprile su Folk bullettinSalento, anni 70: momenti socio-politici nelle linee di riproposta popolare http://www.folkbulletin.com/salento-anni-70-momenti-socio-politici-nelle-linee-di-riproposta-popolare/
- http://www.pizzicaedintorni.it/drupal/?q=node/22
Note al testo
[1] Quannu Diu fice lu munnu è una gustosa rielaborazione di una canzone popolare sceneggiata dal CGS che racconta la creazione immaginaria dove Dio chiama le sue creature per elargire un dono. I preti si prendono mangiare e cantare. I monaci dicono pazienza e il Creatore darà loro pazienza. Gli imbroglioni non potendo avere Mangiare e Cantare né pazienza chiedono almeno le trappole per gli stupidi, gli imbrogli e Dio glieli concede, ma quando arrivano i contadini non resta niente e uno di loro sfugge la frase quasi sempre detta dai nostri padri, il “fazza Diu” che esprime rassegnazione verso le disgrazie e le avversità. Iddio li accontenta e letteralmente fa lui mandandoli a zappare.
[2] Catarineddhra ncatinata di Luigi Paoli
O Caterina mia Caterina Cara/ mmienzu allu piettu tou nc’è na catina./
Se tie la porti an piettu, ieu la portu a manu/ e tutti doi ncatenati stamu.
Amore amore crida mò la nuceddhra/ se nu la cazzi nu se pote manciare./
Ieu la cazzai e truvai na carusa beddhra/ de nome se chiamava Catarineddhra.
[3] La Ceserina versione del Canzoniere Grecanico Salentino riproposta da Ghetonia
Scinnu de le muntagne caddhripuline/ no sacciu se la trou la Ceserina./
Oh Ceserina mia Ceserina Cara/ mmienzu allu pettu tou nc’è na catena/
Se tie la porti am piettu ieu la portu a manu/ e tutti ddoi ncatinati stamu./
O giudice ci puerti la pinna a manu/ no me la fare longa la mia cundanna/
Ca no aggiu ccisu e mancu aggiu rrubbatu/ pe na nfame carogna stau carciratu/
Ca ci ole Diu cu cancia stu cuvernu/ la terra la caminu parmu parmu
O Ceserina mia, Ceserina cara / le carceri de Lecce no le sapia
Le carceri de Lecce no le sapia/ me l’aje fatte mparare Cesarina mia
Le carceri de Lecce su cruci cruci/ de lu luntanu passane l’amici.
[4] Aremu Rindineddha Traduzione in Italiano
Chissà mia rondinella/ da dove stai arrivando/quale mare hai attraversato/con questo bel tempo.
Bianco hai il petto/ nere hai le ali/ il dorso color del mare/e la coda in due hai divisa.
Seduto vicino al mare/ io ti guardo/ un po’ ti levi, un po’ ti abbassi/ un po’ sfiori l’acqua.
Chissà quali paesi/ quali luoghi hai attraversato/ dove hai costruito/ il nido tuo.
Se avessi saputo che passavi/ vicino alla mia terra / quante cose / ti chiederei di dirmi.
Ma tu nulla mi dici /per quanto io ti domandi/ un poco ti levi, un po’ ti cali/ un po’ sfiori l’acqua.
Ti domanderei di mia madre/ che è tanto amata/ che è da tanto che mi aspetta/che io giunga per vedermi.
Ti domanderei di mio padre/ di tutto il vicinato,/ e, avessi la parola,/ quante cose avresti da dirmi.
Ma tu niente mi dici/ per quanto io ti domandi,/ un po’ ti levi, un po’ ti cali/ un po’ sfiori l’acqua.