di Antonio Soleti
Ritorna, con “Avanti (o) Pop”, la penna, graffiante e acuta, di Paolo Vincenti; il volume, che si pone in continuità ideale con “L’osceno del villaggio” ed “Italieni”, raccoglie diversi articoli scritti prevalentemente nel 2017. Anche in questa raccolta, l’autore riprende temi a lui cari, fra cui la TV e gli anni Ottanta, mescolandoli ad argomenti di attualità (la legge sul suicidio assistito, il divieto di indossare il burkini in spiaggia, la cronaca politica italiana…), in una sorta di documentario del nostro tempo: cronista attento e un po’ bizzarro, si guarda intorno e interroga la realtà, ma guarda anche dentro di sè, con felici incursioni nel suo passato di ragazzo cresciuto a “pane e serie televisive”. Ci si trova così davanti ad articoli arguti e briosi sul giornalismo, dal titolo accattivante, come “La patata è buonissima”, “Il meglio del peggio”, “Par condicio”, in cui l’autore riflette sul potere della parola e sulla forza dei media; ma ci si imbatte anche in riflessioni su temi ampiamente conosciuti e che impegnano le nostre coscienze, come, ad esempio, gli articoli sul fine vita o quelli sull’ambiente. Il suo humour emerge, frizzante, quando racconta aspetti di costume di questa società, come in “Tutti al mare”, che, mutuando il titolo da una canzonetta sin troppo famosa, schizza un bozzetto divertito della nostra vita di spiaggia, con il suo parterre di bellezze finte, rifatte, sovrapponibili. Nella sua panoramica, si diverte a sottolineare le incongruenze di personaggi pubblici dello spettacolo e della politica: Emilio Fede, la Raggi, la Boschi… difficile sfuggire ai suoi strali! Ad aprire la maggior parte dei brani sono i versi delle canzoni, non solo quelle del repertorio dei cantautori storici italiani, ma anche quelle di autori comici e disimpegnati, in linea con la leggerezza dei pezzi più ironici e corrosivi. Indispensabile, una nota sul titolo: in questi tempi, infatti, in cui il termine “populismo” viene usato ad ogni piè sospinto, a proposito e a sproposito, lui sceglie un titolo altamente provocatorio. E’ populista Vincenti? No, lo dice chiaramente in un articolo. E’ pop? Evidente è il riferimento al pop e alla società dei consumi, che egli osserva attentamente e della quale racconta già da qualche tempo. Lasciamo ad altro contesto l’approfondimento sul pop; qui fermiamoci alla società di massa, senza identità specifica, per la quale i valori di riferimento sono diventati la mercificazione, la pubblicità, il consumismo, i prodotti in serie. Nel titolo, però, il termine è accostato ad una parola, “Avanti”, che ci rimanda al ben noto inno del partito comunista italiano. Sebbene Vincenti sia ideologicamente lontano da una certa tradizione e scuola di pensiero, proprio questa è l’essenza del pop: accostare ciò che è diverso, assemblare storie e pensieri tra loro inconciliabili, in una sorta di “blob cartaceo”, come da altri critici sono stati definiti i suoi libri. Il gioco di parole ci induce, nel leggere, a sovrapporre i due contesti: un popolo alla riscossa e il pop come celebrazione della società di massa. Resta il dubbio che non vi sia alcuna riscossa possibile. Il riferimento al pop, tuttavia, si coglie soprattutto nella varietà dell’ispirazione, nell’eterogeneità degli scritti, nel melange fra impegno sociale e scherzo, nella scrittura, ricercata con nonchalance. A intervalli irregolari, si trovano delle Saturae: spaccati e frammenti di quotidianità che il Nostro raccoglie e mette insieme, a ricordarci che la realtà politica e sociale in cui siamo immersi è varia, frammentaria, molteplice: il cittadino si trova sballottato fra beghe di politici dallo spessore inesistente e drammi quotidiani. Il titolo scelto per questi pezzi è emblematico perché ci riporta alla prima fonte di ispirazione di Vincenti: la letteratura classica. Satura lanx è infatti un’espressione latina che rimanda alle prime forme di teatro rudimentale, così chiamate dal piatto di primizie che venivano offerte agli dei durante le sacre cerimonie e, in senso traslato, per indicare la varietà di temi e di ispirazione che caratterizzavano queste rappresentazioni, farse, appunto, da “farcio”, ossia “infarcitura”, di motivi comici. E la varietà è quella che rivendica Vincenti ai propri scritti, oltre all’umorismo con cui bersaglia fatti e persone dei nostri tempi. Tempi tristi, sicuramente, in cui è meglio ridere per non piangere. Che fare, allora? Il ritorno ai miti è una strada percorribile; ecco, dunque, un nutrito gruppo di articoli sui miti dell’autore: gli anni Ottanta e i Novanta, le serie TV di quegli anni, le loro sigle, gli autori. Vincenti si sofferma in particolare su questi anni, raccontando le sue emozioni, i suoi ricordi, ci regala persino alcuni frammenti della sua vita privata. Affiora, in questi articoli, una nota lieve, lunga, di nostalgia: i nostri supereroi, quelli dei cartoni animati e delle serie TV, Goldrake, Lady Oscar, L’uomo tigre, Jeeg Robot, Fonzie, erano finzione, invenzione, ma ci hanno lasciato qualcosa a cui aggrapparci e, “quando il gioco si fa duro”, sembra dirci l’autore, ecco che interviene la memoria che “a volte è come un vecchio jukebox, che aspettava solo la monetina per partire”. Troviamo un Vincenti più intimo, nostalgico; ed è proprio con un racconto sulla sua vita di scrittore complesso, in bilico tra desiderio di essere celebrato e insofferenza nei confronti di chi lo critica, “L’apprendistato del letterato”, che chiude la raccolta, senza rinunciare, tuttavia, alla sua ironia pungente, con un finale ad effetto, un vero fulmen in clausula alla Marziale. Fra citazioni colte e sberleffo, fra avvelenato pamphlet e godibile divertissement, ancora una volta, con questa Satura lanx degli anni Duemiladieci, il lettore è servito.