Nardò: un miracolo di S. Vincenzo Ferreri in un affresco del Museo diocesano

di Armando Polito

foto di Marcello Gaballo

 

Inaugurato il 7 giugno 2017, il Museo diocesano di Nardò costituisce un importantissimo polo d’attrazione per gli amanti della storia e del bello, per i turisti e per gli studiosi, grazie al numero cospicuo delle pregevoli testimonianze custodite.

Tra quelle meno appariscenti, ma non per questo meno importanti, spicca un affresco (seconda metà del XV-XVI secolo?),  raffigurante un miracolo operato da S. Vincenzo Ferreri (1350-1419)1, dopo la morte secondo alcune agiografie e in vita, con conseguente variazione in qualche dettaglio, in altre. Riporto le due versioni del miracolo dalle pubblicazioni più antiche che sono riuscito a trovare (rispettivamente del 1600 e del 1705).

pp. 439-440

 

pp. 96-97

 

Proprio a  questa variante si riferisce il nostro affresco. Si comprende come la trattazione integrale del tema, direi la traduzione pittorica del racconto in un unico quadro fosse (e resti) tutt’altro che agevole, anzi impossibile, essendo concettualmente contraddittori i due momenti della morte e della rinascita del bambino. L’anonimo artista, poi, era legato all’obbligo di rispettare la naturale direzione di lettura per ottenere un unicum narrativo ma cronologicamente scandito (madre che avanza col vassoio contenente un braccio; una gamba e la testa sul tavolo; il santo che ha appena completato il suo intervento di ricostruzione).

La fidascalia, abbastanza lacunosa, recita: INVITATO DATO DA UNO, CHE HA[VEA?] LA MOGLIE LUNATICA, CHE [ HAVEA? ]/[RIDO?]TTO IN MOLTI PEZ[Z]I UN SUO FIGLIOLO [ ………]

Di analoghe rappresentazioni ne conosco solo tre. La prima è quella di Colantonio (XV secolo). Fa parte di unpolittico  custodito nel Museo di Capodimonte a Napoli.

 

La seconda è un dipinto di Emanuele Alfani (XVII secolo) custodito nella basilica di S. Sisto Vecchio a Roma.

 

La terza è una tavola a corredo di Antonio Teoli, Storia della vita e del culto di S. Vincenzo Ferreri, Tipografia dello Stabilimento dell’Ateneo, Napoli, 1843, p. 81.

In basso a sinistra si legge Postiglione inv(enit), cioè, alla lettera,  Postiglione immaginò, cioè disegnò o dipinse. In quel periodo dei dei fratelli Postiglione erano attivi Luigi (1812-1661) e Raffaele (1818-1887). Più probabile che l’autore sia qust’ultimo (che fu pittore di soggetti sacri) piuttosto che Luigi (la cui pittura pittura fu dedicata alla decorazione si stoffe sacre). A destra si legge Lit(ografia) Dolfino. I Dolfino erano, oltre che litografi-editori, pure disegnatori.2

Nella rappresentazione del Colantonio mancava la fase del macabro pranzo, come pure in quella dell’Alfani; nella litografia, la cui composizione è la più vicina a quella dell’affresco, è rappresentata solo la parte finale del miracolo. Che l’invenzione quasi cinematografica ante litteram del nostro anonimo artista (in virtù della quale il bambino è sempre al centro dei tre “fotogrammi”: sul vassoio recato dalla madre, sul tavolo, in piedi accanto al santo) sia un apax sarebbe azzardato dirlo, ma mi sembra indiscutibile che tale scelta rappresentativa avrebbe fatto tremare il cervello e il pennello di qualsiasi pittore. Certo, gli si può rimproverare l’imprecisione di qualche dettaglio, come le dimensioni forse eccessive e la posizione innaturale di quello che nel piatto retto dalla donna si direbbe più un braccio che una gamba.

Lo spiedo, poi, infisso nella gamba sul tavolo, se fosse, come si presume, diritto, dovrebbe essere visibile nel tratto centrale; etc. etc.

Tuttavia, pur nella complessiva approssimazione e ingenuità del tratto, l’ignoto pittore a mio avviso raggiunge pregevoli risultati nella resa dello stato d’animo dei personaggi principali, ravvisabile soprattutto sui loro volti. Così In quello della madre la lunaticità è tutta in quello sguardo fisso, inesorabilmente perso nel pesante vuoto del suo male oscuro.

Nel volto del padre, invece è racchiusa tutta la tensione del momento e la postura delle mani evoca un sentimento di speranza e devozione insieme.

Lo sguardo del santo, invece, riflette un momento di concentrazione, misticismo ed estasi, sicché la stessa aureola appare un dettaglio quasi irrilevante a contrapporre questa componente animata da spirito divino alle altre umane con la loro debolezza.

 

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1 Fu proclamato santo dal papa Callisto III nel 1455.

2 Ecco, firmato da loro, un ritratto di Masaniello.

 

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