Taranto e il suo Patrono. San Cataldo, l’irlandese

di Angelo Diofano

Era il 10 maggio del 1071 quando gli operai intenti a lavorare per realizzare la nuova cattedrale di Taranto, rinvennero, nella zona dove esisteva la cappella dedicata a San Giovanni di Galilea, un sarcofago nel quale erano racchiuse le spoglie di San Cataldo: il nome (“Cataldus”) era inciso su una crocetta aurea assieme al luogo di provenienza: “Rachan” o “Rachau”. E da allora la città dei due mari, insieme ad altri comuni, festeggia il santo patrono in quella data, giorno dell’”Invenzione del Sacro Corpo”. Il sepolcro e le reliquie dal 1702 sono inglobate nell’altare dell’imponente e artistico “Cappellone” della cattedrale.

San Cataldo (Cathal) nacque a Canty (tra gli anni 610 e 620) da genitori benestanti, Eucho e Achlena. Qui c’è ancora un pozzo dall’acqua considerata miracolosa, detto appunto “pozzo di San Cataldo”, vicino alla decadente chiesa protestante, dove i pellegrini attingevano con devozione. Attualmente vi è realizzato un luogo di preghiera e di raccoglimento cui si accede attraverso una strada privata in terra battuta. Nell’agiografia dei Marini e di altri studiosi si apprende che Cataldo studiò e insegnò a Lismore, uno dei più illustri centri universitari monastici del tempo (dove probabilmente fu ordinato sacerdote) e fra le istituzioni culturali più importanti d’Irlanda, con più di mille studenti provenienti da tutto il mondo.

Quasi certamente fu il vescovo San Cartago (o Cartagh) a ricevere Cathal come studente al quale, dopo un periodo di brillante docenza, affidò la direzione. Oggi nella cattedrale di Lismore una vetrata, a destra dell’altare centrale, raffigura l’illustre irlandese, in ricordo della sua permanenza.

San Cataldo fu anche il fondatore del centro monastico di Shanrahan di cui fu anche vescovo; la cittadina (il prefisso “Shan” significa “antico”) si trovava al di là delle colline e delle montagne di Knockmealdown, nella meravigliosa valle del Vee. Oggi non esiste più e al suo posto sorge Clogheen, nella contea di Tipperary e nella diocesi di Waterford e Lismore.

Del monastero fondato da San Cataldo resiste solo un vecchio rudere nel cimitero. Come tanti monaci del tempo, tra gli anni 679 e 680, Cataldo lasciò la patria alla volta della Terrasanta. Non si sa quanto tempo egli si sia fermato in Palestina ed è possibile che uno dei luoghi fu maggiormente attratto fosse Bethlem, perché proprio su una delle colonne della basilica della Natività troviamo la presenza di un affresco del XII secolo. Durante il viaggio di ritorno in Irlanda, la Provvidenza, attraverso un naufragio, lo destinò alla nostra città per diventarne il pastore. Leggenda vuole che nella rada di Mar Grande egli lanciò in mare l’anello episcopale per calmare la tempesta, dando origini a un citro di acqua dolce denominato “Anello di San Cataldo”. Il vescovo di origini irlandesi al suo arrivo operò alcune prodigiose guarigioni e s’impegnò per risvegliare nei tarantini una fede ormai sopita.

Passò dalla terra al cielo l’8 marzo di un anno imprecisato alla fine del secolo. Le frequenti scorrerie di eserciti stranieri ne consigliarono la sepoltura in un luogo segreto per evitare che le sue spoglie fossero profanate. Taranto, fra l’altro, intorno all’anno 1916 fu distrutta dai saraceni. L’imperatore di Costantinopoli Niceforo Foca, salito al trono nel 963, concesse agli scampati il permesso di ritornare in città alla cui ricostruzione egli stesso collaborò.

Nell’anno 1071 l’arcivescovo Drogone volle ricostruire la distrutta cattedrale dedicata a Santa Maria; durante lo scavo per la posa delle fondazioni, fu rinvenuto il sepolcro: San Cataldo era così ritornato fra la sua gente.

 

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