BAROCCO NASCOSTO: LA CAPPELLA DI S. MARIA DI COSTANTINOPOLI
testi e foto di Giovanni Greco
Solitamente esclusa dal tradizionale itinerario turistico la cappella di S. Maria di Costantinopoli, detta anche dell’Iconella per la presenza di una piccola icona della Vergine col Bambino di epoca 500esca, costituisce uno dei numerosi esempi di spiritualità mariana presenti in Copertino.
La cappella, attualmente tra le proprietà della famiglia Galbiati, è a pianta rettangolare.
Secondo l’epigrafe collocata nella parte superiore della facciata, fu realizzata nel 1576 durante il sindacato di Scipione de Ventura con il contributo spontaneo dei copertinesi sei anni dopo la memorabile sconfitta dei Turchi a Lepanto (1571), in segno di gratitudine verso l’intercessione della Vergine invocata dalla flotta pontificia.
Sorge al centro dell’antico nucleo bizantino di Copertino, a ridosso del castello intorno al quale si sviluppò il primo impianto urbano della città.
Il prospetto è animato da un portale sormontato da un rosone e, alla sommità, da un campanile a vela di epoca 700esca.
La volta ottagonale è stata dipinta a tempera nel 1645, come risulta dal millesimo riportato all’interno poco sopra il rosone, da un artista dotato di buona esperienza e commissionata dalla famiglia Mongiò dell’elefante, entratane in possesso 69 anni dopo l’edificazione.
Le pareti interne sono pressoché spoglie. In quella centrale è presente un modesto altare al centro del quale campeggia il tondo che racchiude l’affresco della Vergine. Ai lati, due ovali al cui interno sono dipinti a tempera due composizioni floreali di pessima fattura.
Quasi certamente all’origine contenevano due dipinti sacri poi asportati. Il paliotto, invece, è decorato da una tela tardo 800esca raffigurante il Cristo morto.
La volta è un tripudio di angeli (ben 37 in tutto), che insieme a decorazioni in forma di foglie di acanto circoscrivono l’arma del committente e le raffigurazioni sacre. Chiaro esempio di arte barocca che allude allo spazio infinito e alla natura-spettacolo.
Nella sezione centrale la Trinità corredata alla base di un lungo cartiglio parzialmente leggibile.
Un’altra sezione della volta è dedicata all’estasi di San Francesco confortato da un angelo musicante, esemplato su un dipinto di Guido Reni del 1605 presso la Pinacoteca di Bologna. In alto campeggia un ovale in cui è raffigurato l’Angelo custode. La lettura, o perlomeno ciò che resta di un cartiglio alla base sinistra potrebbe svelare l’autore delle decorazioni.
Non meno suggestiva è la raffigurazione del “Riposo durante la fuga in Egitto” il cui refrigerio l’autore lo contestualizza ai piedi di un albero di corbezzoli a cui sembra attingere il canuto S. Giuseppe.
Altro riquadro è quello dedicato a S. Girolamo penitente in cui sono presenti tutti gli elementi della tradizionale iconografia di questo dottore della Chiesa. In alto l’arma dei Mongò. Sorprende, inoltre, l’immagine di S.Lucia racchiusa in un ottagono che rimanda all’impianto della cappella, al pari della raffigurazione del “Riposo”. Un’auspicabile analisi ravvicinata del dipinto consentirebbe di stabilire se sia coevo alla costruzione dell’edificio o perlomeno antecedente alle decorazioni del 1645.
Infine, lo stemma dei Mongiò dell’elefante con la torre, famiglia giunta nel Salento al seguito degli angioini alla fine del XIV sec. e divisa in due rami nel XVI sec. nei Mongiò del giglio e dell’elefante, appunto.